Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7066 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7066 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 20823/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anche disgiuntamente fra loro, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, giusta delega a margine del ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 1773/16, depositata in data 24 febbraio 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, n. 25870/2014, depositata in data 3 novembre 2014, che aveva rigettato il ricorso presentato avverso l’avviso di accertamento, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva recuperato a tassazione ai fini IVA la somma di euro 108.814,00 per l’anno di imposta 2010, in quanto aveva ritenuto fittizie ed in particolare relative ad operazioni soggettivamente inesistenti le fatture relative ai rapporti intercorsi tra la RAGIONE_SOCIALE (presunto fornitore della RAGIONE_SOCIALE) ed i suoi principali fornitori.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello , ritenendo che non sussisteva il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento , in quanto l’Ufficio aveva chiarito gli elementi di fatto e di diritto a sostegno della propria pretesa fiscale, consentendo alla società contribuente di formulare immediatamente ed esaurientemente le proprie difese e che la società contribuente non aveva fornito la prova della buona fede e della sua inconsapevolezza di partecipare al meccanismo di frode fiscale, che non poteva essere ricavata dalla circostanza che la società appellante era realmente operativa sul mercato ovvero dalla formale regolarità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, giacché nel caso in esame le operazioni erano state qualificate soggettivamente e non oggettivamente inesistenti. A fronte degli elementi indiziari, richiamati nel PVC e nell’avviso di accertamento, che costituivano senza dubbio idonei indizi oggettivi a sostegno della natura di mero filtro rivestito dalla RAGIONE_SOCIALE, la società appellante
avrebbe dovuto sospettare dell’esistenza di irregolarità o di evasioni da parte dell’emittente RAGIONE_SOCIALE fatture, così da indurla ad approfondire la posizione non solo del soggetto da cui acquistava la merce, ma anche degli stranamente pochi fornitori di quest’ultimo. La mera acquisizione di documentazione, tra cui la visura camerale e l’iscrizione nel registro RAGIONE_SOCIALE imprese, non poteva ritenersi esaustiva per dimostrare la buona fede della società contribuente e la sua inconsapevolezza del meccanismo di evasione RAGIONE_SOCIALE imposte, tenuto conto degli altri predetti sintomatici elementi probatori di segno contrario. Inoltre, proprio dai documenti contabili della RAGIONE_SOCIALE (situazione contabile al 31 dicembre 2009) prodotti dalla società appellante emergeva la palese gestione societaria antieconomica della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che la società RAGIONE_SOCIALE ben avrebbe potuto sospettare del sottostante meccanismo di frode, dovendo invece ipotizzarsi nella specie un consapevole vantaggioso utilizzo, da parte della società appellante, di false fatture soggettive.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1 . Il primo motivo lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di secondo grado avevano respinto il motivo di ricorso afferente la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione. La sentenza, nella parte di rilievo, era viziata, per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. L’avviso di accertamento si fondava unicamente su un mero richiamo alle verifiche svolte nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE che, a detta dell’Ufficio, sarebbe stata parte di un meccanismo fraudolento, volto ad evadere
l’IVA. Ciò risultava con evidenza dalla lettura di pagina tre dell’avviso di accertamento, ove veniva fatto riferimento esclusivamente alla società RAGIONE_SOCIALE richiamando le risultanze di tale verifica. In esito a tali affermazioni l’Ufficio osserva che tra i cessionari della società RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2010 vi sarebbe stata anche la socieà RAGIONE_SOCIALE, elencando gli acquisti da quest’ultima effettuati. Quindi, con un evidente salto logico, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva asserito l’inesistenza soggettiva RAGIONE_SOCIALE operazioni tra la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE, e l’indetraibilità dell’IVA in capo a quest’ultima. L’ufficio, invece, per poter contestare la detraibilità dell’IVA in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto motivare in maniera chiara ed esaustiva le ragioni per le quali quest’ultima doveva essere ritenuta a conoscenza della presunta frode o avrebbe potuto/dovuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza. La sentenza impugnata era errata, in quanto aveva omesso di riconoscere il totale vizio di motivazione che affliggeva l’atto impugnato.
2. Il secondo motivo lamenta la violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria in caso di contestazioni aventi ad oggetto l’indebita detrazione ai fini IVA di fatture ritenute relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. La sentenza, nella parte di rilievo, era viziata, per violazione degli artt. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 e 2697 cod. civ, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era meritevole di annullamento, laddove si risolveva nell’addossare alla società ricorrente un presunto mancato rispetto dell’onere della prova, che spettava all’Ufficio, in quanto attore sostanziale. Era, infatti, onere dell’Ufficio, che intendeva contestare la detraibilità dell’IVA pagata da un cessionario, dimostrare, anche attraverso elementi presuntivi, la partecipazione di quest’ultimo alla frode posta in essere dal cedente e non il contrario. I giudici di appello avrebbero dovuto, in primo luogo, verificare se l’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avesse o meno fornito dimostrazione della fondatezza della propria pretesa tributaria e, segnatamente, della consapevolezza da parte dalla società ricorrente dell’effettuazione di una «frode» da parte di terzi e, poi, solo dopo che tale onere fosse stato adempiuto, valutare gli elementi difensivi della Società.
Il terzo motivo lamenta l’illegittimità della sentenza siccome fondata sull’accertamento di fatti mediante presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ.. La sentenza, nella parte di rilievo, era viziata, per violazione degli artt. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Le presunzioni che si potevano desumere dal PVC, oltre a non essere gravi, non erano neppure concordanti; ed invero, il prezzo praticato dalla società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE era assolutamente in linea con quello di mercato, smentendo così una RAGIONE_SOCIALE basi su cui si fondava la tesi accusatoria dell’Amministrazione finanziaria. I Giudici di appello avevano posto alla base della propria decisione elementi di natura strettamente indiziaria, privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge, con conseguente illegittimità della sentenza.
Il quarto motivo lamenta la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di appello avevano confermato il diniego di detrazione dell’IVA nonostante la mancata evidenza di elementi idonei a determinare la conoscenza o la conoscibilità da parte della società del presunto omesso versamento dell’imposta da parte di altri soggetti e la presenza di valide ed ineliminabili argomentazioni difensive dedotte in giudizio dalla società. La sentenza era, nella parte di rilievo, viziata, per difetto di motivazione, ai sensi degli artt. 1, secondo comma, e 36, secondo comma, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. I giudici di appello non avevano preso posizione in maniera puntuale, in ordine agli elementi dedotti dalla società nelle proprie difese e specificamente: 1) dell’ampia dimensione aziendale, della sua organizzazione commerciale e dei rigidi protocolli osservati dai propri dipendenti nei rapporti con i clienti e fornitoti, sintomatici di un’azienda che operava una puntuale verifica della piena regolarità dei soggetti con i quali si interfaccia; 2) della marginalità RAGIONE_SOCIALE operazioni in esame rispetto al totale degli acquisti dell’annualità, pari ad appena l’1 per cento; 3) del fatto che i prezzi praticati dalla società RAGIONE_SOCIALE erano assolutamente in linea con quelli di mercato; 4) RAGIONE_SOCIALE condizioni di vendita che erano senz’altro coerenti con quelle ordinariamente praticate, tuti elementi dedotti in giudizio e, da ultimo, ben illustrati nella consulenza tecnica, depositata nel giudizio di secondo grado, asseverata con giuramento da parte del dott. NOME COGNOME.
5. Il quinto mezzo (dedotto in alternativa al precedente, laddove si riteneva che il vizio che colpiva in maniera insanabile la motivazione della sentenza costituiva diretta violazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni che imponevano tale onere motivazionale in capo al giudice e fosse pertanto formulabile esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) lamenta la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di appello avevano confermato il diniego di detrazione dell’IVA nonostante la mancata evidenza di elementi idonei a determinare la conoscenza o la conoscibilità da parte della società del presunto omesso versamento dell’imposta da parte di altri soggetti e la presenza di valide argomentazioni difensive dedotte in giudizio dalla società. La sentenza era, nella parte di rilievo, viziata, per violazione degli artt. 1, secondo comma, e 36, secondo comma, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118
disp. att., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. I giudici di appello avrebbero dovuto tenere in considerazione la consulenza tecnica depositata nel giudizio di secondo grado, che recava una puntuale e precisa analisi RAGIONE_SOCIALE dinamiche aziendali, con specifico riguardo proprio alle operazioni intercorse con la società RAGIONE_SOCIALE, giungendo ad escludervi del tutto, qualsiasi elemento di anomalia che potesse indurre a ritenere (o anche solo a sospettare) che altri soggetti avessero posto in essere una frode.
Il sesto motivo lamenta la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. Nel giudizio d’appello la società aveva tempestivamente devoluto all’esame dei giudici una propria consulenza tecnica di parte, recante un’approfondita analisi sulle dinamiche societarie oggetto di giudizio. L’esame di tale elemento di natura fattuale assurgeva dunque ad un tema che avrebbe dovuto essere valutato dai Giudici d’appello in quanto decisivo ed avente oggetto res litigiosa dedotta in giudizio.
Il quarto e quinto motivo, la cui trattazione è prioritaria, e che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibile e pure infondati.
7.1 Sono inammissibili, in quanto si tratta di doglianze dirette, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie di causa, che non costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313) e, specificamente, della consulenza di parte depositata nel giudizio di appello.
7.2 Ciò tenuto anche conto che , alla stregua della giurisprudenza di questa Corte non è censurabile in cassazione l’omesso esame di perizia stragiudiziale di parte, che, avendo natura di mero atto difensivo, è priva di autonomo valore probatorio, essendo sufficiente, sul piano
motivazionale, che il giudice di appello enunci considerazioni con essa incompatibili, senza necessità di specifica confutazione (cfr. Cass., Sez. U., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass., 9 febbraio 2018, n. 3207; Cass., 18 gennaio 2017, n. 1121; Cass., 29 luglio 2011, n. 16650).
7.3 I motivi sono pure infondati, in quanto i giudici di secondo grado, dopo avere messo in evidenza, alla pagina 4 della sentenza impugnata, gli elementi presuntivi posti a fondamento dell’accertamento condotto nei confronti della società ricorrente ( la RAGIONE_SOCIALE negli anni dal 2009 al 2011 si era approvvigionata del 99% della merce dalle stesse tre società, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE; le tre società da cui aveva acquistato merce non avevano presentato dichiarazioni fiscali nei predetti anni di imposta, non possedevano alcuna struttura, non conservavano scritture contabili, né avevano fornito idonea documentazione a riprova dell’avvenuto trasporto e consegna della merce compravenduta; in sede di contraddittorio il legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato una scarsa conoscenza di clienti e fornitori; la società RAGIONE_SOCIALE aveva movimentato ingenti volumi di prodotti avendo in compenso un numero ristretto di clienti e fornitori; la predetta società di fatto non aveva operato ricarichi sulla merce, risultando bonifici in entrata ed in uscita, coincidenti temporalmente e quasi di pari importo; i ricavi RAGIONE_SOCIALE vendite della società RAGIONE_SOCIALE negli anni 2009, 2010 e 2011 erano risultati appena superiori ai costi di acquisto RAGIONE_SOCIALE merci ), hanno ritenuto che, sulla base degli stessi elementi, si poteva ritenere accertato e provato il ruolo di mero intermediario rivestito dalla società RAGIONE_SOCIALE nel descritto meccanismo della frode carosello e ne hanno tratto la conseguenza che gli acquisti effettuati, nell’anno 2010, dalla società RAGIONE_SOCIALE, pari all’importo di euro 544.074,00, erano soggettivamente inesistenti; di poi, hanno ritenuto non provata la buona fede della società RAGIONE_SOCIALE sulla base RAGIONE_SOCIALE circostanze che la stessa era realmente operativa sul mercato o della formale regolarità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, in ragione del fatto che, nella vicenda in esame, venivano in rilievo operazioni soggettivamente inesistenti. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno precisato che, a fronte degli elementi indiziari sopra evidenziati a sostegno della natura di mero filtro della società RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto approfondire la posizione non solo del soggetto da cui acquistava la merce, ma anche dei pochi fornitori di quest’ultimo e che non poteva ritenersi esaustiva la mera acquisizione di documentazione tra cui la visura camerale e l’iscrizione nel registro RAGIONE_SOCIALE imprese, al fine di dimostrare la buona fede della società RAGIONE_SOCIALE e la sua inconsapevolezza del meccanismo di evasione RAGIONE_SOCIALE imposte. Inoltre, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato che proprio dai documenti contabili della società RAGIONE_SOCIALE, riguardanti la situazione contabile di quest’ultima società al 31 dicembre 2019, prodotti dalla stessa società RAGIONE_SOCIALE, emergeva, in modo palese, la gestione societaria antieconomica della società RAGIONE_SOCIALE e che, in particolare, nel 2009, così come nel 2010, i ricavi RAGIONE_SOCIALE vendite della società erano di poco superiori ai costi di acquisto RAGIONE_SOCIALE merci con un ricarico applicato davvero esiguo (costo del venduto pari a euro 6.836.402,00; ricavi pari a euro 6.958.266,00, con un ricarico dell’1,78%) , tenuto anche conto del fatto che a ciò dovevano aggiungersi gli altri costi, quali quelli del personale, del godimento di beni e servizi e dell’ammortamento.
7.4 Ciò peraltro, in conformità ai principi statuiti da questa Corte, secondo cui «In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale
inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita RAGIONE_SOCIALE merci o dei servizi» (Cass., 15 luglio 2020, n. 15005).
7.5 Questa Corte ha anche precisato che « L’operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità RAGIONE_SOCIALE fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719). In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso
di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229) (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369, in motivazione).
7.6 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
7.7 Va osservato, infatti, con la giurisprudenza di questa Corte, che, dovendo l’obbligo motivazionale ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata, viene al contrario meno all’obbligo in parola – e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale «il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
7.8 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione,
pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).
7.9 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo non appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata risultano chiaramente esposte le ragioni della decisione.
Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza della censura, nella parte in cui la società ricorrente non riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in contestazione , neppure riassunto nel suo specifico contenuto, non consentendo così a questa Corte di esprimere il suo giudizio sulla correttezza o meno della valutazione compiuta dalla Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., 28 giugno 2023, n.18418, in motivazione).
Il secondo e il terzo motivo, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili, in quanto la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., 19 luglio 2021, n. 20553).
9.1 Ed invero, il giudizio di merito non può essere ulteriormente revisionato in questa sede, tenuto conto del principio di diritto secondo cui « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che
l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
9.2 In sede di legittimità è, poi, possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541), evenienza che, nel caso in esame, non è stata dedotta dalla società ricorrente.
9.3 Né sussiste la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l ‘onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769).
Il sesto motivo è inammissibile ai sensi dell’art . 348 te r cod. proc. civ., vertendosi in fattispecie nella quale la società ricorrente è risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, sulla base di statuizioni fondate sui medesimi rilievi in fatto, che hanno disatteso i diversi argomenti -sostanziali e probatori -dalla stessa proposti.
10.1 Ed invero, la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ., che
esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo grado, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello «che conferma la decisione di primo grado», si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione successivamente all’11 settembre 2012 (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439), così nella fattispecie in esame dove l’appello, come risulta dalla pag. 1 della sentenza impugnata, è stato depositato in data 20 aprile 2015.
11. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 febbraio 2024.