Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25341/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nella persona del liquidatore e legale rappresentante COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrenti- contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA, sezione staccata di Catania, n. 649/6/19, depositata in data 6 febbraio 2019, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29
gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto gli avvisi di accertamento, relativi a Ires, Irap e Iva, anni 2005 e 2006, che, a seguito dei processi verbali di constatazione del 21 giugno 2005 e del 10 marzo 2008 della Guardia di Finanza, emessi a seguito di attività ispettiva espletata nei confronti della ditta COGNOME Antonio, avente ad oggetto una frode Iva realizzata attraverso il meccanismo dell’interposizione fittizia nelle transazioni con fornitori comunitari, per avere utilizzato fatture soggettivamente inesistenti e il regime del margine.
2. I giudici di secondo grado hanno ritenuto ammissibile la produzione in grado di appello dei processi verbali di constatazione del 5 aprile 2006 e del 21 giugno 2005 e hanno accertato che, a fronte di tutta una serie di elementi oggettivi forniti dall’Amministrazione finanziaria (la ditta COGNOME non svolgeva attività di impresa, mancata tenuta dei registri Iva e mancato versamento dell’imposta, mancata documentazione del trasporto degli autoveicoli da cui verificare l’effettivo destinatario degli stessi, cessioni dei beni ad un prezzo i nferiore a quello d’acquisto), che dimostravano che la ditta COGNOME era una «scatola vuota» , la società contribuente non aveva fornito la prova di non avere partecipato alla frode, ma anche di non essere a conoscenza della frode utilizzando la normale diligenza; ne conseguiva la indetraibilità e l’indeducibilità della fatture soggettivamente
inesistenti, anche se le fatture erano state regolarmente annotate e la spesa era stata sostenuta.
La società RAGIONE_SOCIALE nella persona del liquidatore e legale rappresentante, COGNOME AngeloCOGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e l’omessa e comunque insufficiente motivazione della sentenza su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) in relazione all’art. 56 del d.P.R. n. 6 33 del 1972 e all’art. 7 della legge n. 212 del 2000. La Commissione tributaria regionale aveva ipotizzato che la società ricorrente non potesse non essere a conoscenza della frode senza indicare gli elementi fondanti il proprio convincimento e non aveva motivato su quali elementi avevano fatto ritenere fondati i rilievi dell’Ufficio e la mancanza di diligenza della società contribuente. Del resto, COGNOME NOME, quale legale rappresentante e liquidatore, era stato assolto dal Tribunale Penale di Ragusa, per i medesimi fatti per i quali era causa, « perché i fatti non sussistono » e l’accertamento di fatto, in quanto incontrovertibile, avrebbe dovuto essere considerato vincolante e tenuto nel debito conto dalla Commissione tributaria regionale. Inoltre, i giudici di secondo grado avevano omesso di motivare sulla nullità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, in quanto l’Ufficio si era limitato a richiamare i processi verbali di accertamento senza, tuttavia, integrare l’atto con le obbligatorie motivazioni.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 E’ orientamento consolidato di questa Corte ritenere che gli estremi della dedotta doglianza di nullità processuale della sentenza, per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente, siano integrati nell’ipotesi di « assenza » della motivazione, quando cioè « non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione », non configurabile nel caso di « una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata » (cfr. Cass., 15 novembre 2019, n. 29721) ovvero nel caso di « motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado » (cfr. Cass., 25 ottobre 2018, n. 27112) ovvero (è quello che rileva in questa sede) qualora la motivazione « risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione » (Cass., 25 settembre 2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione », Cass., 25 giugno 2018, n. 16611).
1.3 Questa Corte ha, inoltre, affermato che « costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare
se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata » (Cass., 8 settembre 2022, n. 26477, in motivazione).
1.4 Dunque la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla in quanto affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758).
1.5 Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha affermato, a pag. 3 della sentenza impugnata, che, a fronte di tutta una serie di elementi oggettivi forniti dall’Amministrazione finanziaria specificamente indicati ( la ditta COGNOME non svolgeva attività di impresa, mancata tenuta dei registri Iva e mancato versamento dell’imposta, mancata documentazione del trasporto degli autoveicoli da cui verificare l’effettivo destinatario degli stessi, cessioni dei beni ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto ), che dimostravano che la ditta COGNOME era una «scatola vuota», la società contribuente non aveva fornito la prova di non avere partecipato alla frode, ma anche di non essere a conoscenza della frode utilizzando la normale diligenza; ne conseguiva la in detraibilità e l’indeducibilità della fatture soggettivamente inesistenti, anche se le fatture erano state regolarmente annotate e la spesa era stata sostenuta.
1.6 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
1.7 Ciò in conformità ai principi statuiti da questa Corte e secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851) e che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario,
su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
1.8 Ancor più specificamente In tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’ operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass., 21 aprile 2017, n. 10120; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27629).
1.9 E’ utile, in ultimo, precisare che l ‘operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini
soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719).
1.10 E’ infondato pure il profilo di censura riguardante il difetto di motivazione dell’atto impositivo, dovendosi precisare che « La motivazione dell’avviso di rettifica che rinvii a processi verbali della Guardia di Finanza, individuando in tal modo la causa giustificativa della pretesa impositiva, è requisito formale di validità dell’atto che si distingue da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa » (Cass., 9 marzo 2020, n. 6524) e che « L’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, va inteso in necessaria correlazione con la finalità «integrativa» delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241; il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore «narrativo»), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione » (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., 10 febbraio
2016, n. 2614; Cass., 16 maggio 2012, n. 7654), con la conseguenza che, in difetto di prova, non offerta dalle società contribuente, che il contenuto dei processi verbali di constatazione richiamati dall’avviso di accertamento fosse necessario ad integrare la motivazione de ll’atto impositivo emesso a suo carico, deve ritenersi che ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente ai fini probatori, ma non ai fini motivazionali.
1.11 Inoltre, « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109).
1.12 In relazione, poi, alla sentenza di assoluzione di COGNOME AngeloCOGNOME quale legale rappresentante e liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE, la censura è inammissibile, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass., 23 agosto 2018, n. 20974); la parte che eccepisce il giudicato esterno ha, dunque, l’onere di fornirne la prova, non soltanto producendo la sentenza emessa in altro procedimento, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c.,
dalla quale risulti che la stessa non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Cass., 2 marzo 2022, n. 6868), onere che nel caso in esame non è stato assolto.
Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 1 e 2 e 3 del decreto legge n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360, comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo errato la Commissione tributaria regionale a ritenere indetraibili e indeducibili i costi delle operazioni di cui alle fatture.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2 Senza prescindere dal principio statuito da questa Corte secondo cui, in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass., 15 marzo 2022, n. 8480), deve osservarsi che nel giudizio di legittimità, lo «ius superveniens», che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perché, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni
agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 cod. proc. cic.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorché dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass., 24 luglio 2018, n. 19617; Cass., 8 maggio 2006, n. 10547 e, più di recente, Cass., 13 febbraio 2023, n. 4421).
Il terzo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6 e 7 del decreto legislativo n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, in quanto non essendovi prova in capo alla società ricorrente del suo comportamento cosciente e volontario a prendere parte alla c.d. frode carosello, nei suoi confronti non andava applicata alcuna sanzione, stante la totale assenza dell’elemento della colpevolezz a.
3.1 Il motivo è inammissibile sotto plurimi motivi.
3.2 E’ in primo luogo inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass.,
13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
3.3 E’ in secondo luogo inammissibile in quanto , per effetto della nuova formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, oggetto del vizio di cui alla citata norma è esclusivamente l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti». Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio «fatto», in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un «fatto» costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.4 Il motivo è, in ultimo, inammissibile, in quanto non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che ha affermato, per quanto rilevato sopra, che la società ricorrente, a fronte della prova presuntiva fornita dall’Amministrazione finanziaria sul fatto che la ditta
COGNOME fosse una scatola vuota, non aveva provato di non essere consapevole della frode e di avere operato con la normale diligenza.
Il quarto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 462 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo e specificamente del mancato riconoscimento dell’istituto della continuazione.
Il quinto mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e specificamente dell’eccezione con la quale, sin dal ricorso introduttivo di primo grado, era stato contestato il metodo utilizzato dall’Ufficio per quant ificare il valore delle autovetture non rinvenute all’atto della verifica e sul quale valore era stata calcolata la percentuale afferente l’Iva, oggetto di sanzione; la quantificazione veniva, infatti, parametrata a non meglio specificate percentuali di ricarico medio applicato dalla società alle vendite effettuate nello stesso periodo.
5.1 Il quarto e quinto motivo devono essere trattati unitariamente perchè inammissibili per la stessa ragione.
5.2 Ed invero, il vizio contemplato dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (nella formulazione disposta dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis ), concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti e postula l’esatto adempimento degli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, qui, invece, rimasti assolutamente inosservati (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415).
5.3 E’ utile rammentare che Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che « la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti » ; inoltre, il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608).
6. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della socieetà ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 gennaio 2025.