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Fatture soggettivamente inesistenti e onere prova

Una società ha ricevuto un avviso di accertamento per l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione di merito, ha chiarito che in tali circostanze spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e la massima diligenza per poter detrarre l’IVA e dedurre i costi. L’applicazione del meccanismo del ‘reverse charge’ non è, da sola, sufficiente a legittimare le deduzioni in presenza di una frode fiscale.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture soggettivamente inesistenti: quando l’onere della prova salva dalla contestazione fiscale

L’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti rappresenta una delle problematiche più complesse nel diritto tributario, ponendo seri interrogativi sulla detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, ribadendo i principi che regolano l’onere della prova a carico del contribuente per dimostrare la propria buona fede e l’estraneità a meccanismi fraudolenti. Il caso analizzato riguarda una società operante nel settore dei metalli che si è vista contestare ingenti costi e IVA a seguito di operazioni commerciali ritenute fittizie sotto il profilo soggettivo.

I fatti del caso: un accertamento per operazioni inesistenti

Una società a responsabilità limitata è stata raggiunta da un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2008, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deduzione di costi per oltre 2,6 milioni di euro e l’esposizione di IVA indetraibile per più di 500.000 euro. Secondo l’amministrazione finanziaria, tali importi derivavano da fatture relative a operazioni inesistenti.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in riforma della decisione di primo grado, aveva annullato l’accertamento. I giudici di merito avevano infatti concluso che le operazioni non fossero oggettivamente inesistenti (la fornitura di rottami metallici era effettivamente avvenuta), ma solo soggettivamente inesistenti, poiché le fatture erano state emesse da soggetti diversi dagli effettivi fornitori. Sulla base di questa qualificazione, la CTR aveva ritenuto di dover annullare l’atto impositivo. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione contro tale decisione.

La decisione della Cassazione su fatture soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno censurato la decisione dei giudici di merito per illogicità e violazione di legge, delineando con precisione i principi da applicare in materia.

La motivazione dell’avviso di accertamento

In primo luogo, la Corte ha stabilito che l’avviso di accertamento era sufficientemente motivato, anche in assenza dell’allegazione del processo verbale di constatazione (pvc). Secondo gli Ermellini, non è richiesta una specifica indicazione di ogni singola norma violata, essendo sufficiente il riferimento agli articoli di legge che legittimano il potere di accertamento. La mancata allegazione di un documento non invalida l’atto se la motivazione, anche per relationem, è comunque adeguata a permettere al contribuente di comprendere le contestazioni e difendersi.

L’onere della prova e la diligenza del contribuente

Il cuore della pronuncia risiede nel secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha affermato che la CTR, una volta accertata la natura soggettivamente inesistente delle operazioni, ha commesso un errore logico-giuridico annullando l’avviso senza ulteriori approfondimenti.

In questi casi, infatti, il giudizio non si esaurisce con la qualificazione del fatto. Al contrario, si apre una fase successiva in cui è necessario verificare se il contribuente abbia assolto al proprio onere probatorio. Spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede, ovvero di non essere a conoscenza, e di non aver potuto esserlo usando la massima diligenza, del carattere fraudolento dell’operazione.

Le motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha ribadito che, sia per la detrazione dell’IVA sia per la deducibilità dei costi, la prova della buona fede è un requisito sostanziale. L’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare gli elementi oggettivi della frode (ad esempio, la natura fittizia del fornitore) e gli indizi che suggeriscono la consapevolezza del cessionario. Una volta fornita tale prova, l’onere si inverte e grava sul contribuente dimostrare di aver adottato tutte le cautele ragionevolmente esigibili da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode.

Inoltre, la Corte ha chiarito che il regime del reverse charge, sebbene sposti gli obblighi formali di versamento dell’IVA, non costituisce uno scudo contro le conseguenze di operazioni fraudolente. Se il cessionario è consapevole o avrebbe dovuto essere consapevole della frode, il diritto alla detrazione dell’IVA viene meno, poiché manca il presupposto sostanziale di un’operazione genuina. Analogamente, per dedurre i costi, il contribuente deve provare non solo che siano stati sostenuti, ma anche la loro inerenza, coerenza economica e l’assenza di finalità illecite.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per gli operatori economici. La semplice ricezione di una fattura e il relativo pagamento non sono sufficienti a garantire la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi quando emergono indizi di una frode fiscale. Il contribuente ha un dovere di diligenza che lo obbliga a verificare, nei limiti del ragionevole, l’affidabilità dei propri partner commerciali. L’ordinanza riafferma un principio fondamentale: la lotta all’evasione prevale su un’applicazione meramente formalistica delle norme, e la buona fede del contribuente deve essere provata con elementi concreti e non può essere semplicemente presunta.

Cosa si intende per fatture soggettivamente inesistenti?
Si tratta di fatture emesse per documentare operazioni commerciali che sono realmente avvenute, ma il soggetto che emette la fattura non è quello che ha effettivamente fornito il bene o il servizio. La falsità riguarda l’identità di uno dei soggetti dell’operazione.

In caso di fatture soggettivamente inesistenti, il contribuente può detrarre l’IVA?
Il diritto alla detrazione dell’IVA non è automatico. Il contribuente può detrarre l’imposta solo se dimostra di essere in buona fede, cioè di non sapere e di non aver potuto sapere, usando la massima diligenza, che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione fiscale. L’onere di fornire questa prova contraria grava sul contribuente.

Il meccanismo del ‘reverse charge’ protegge il contribuente in caso di frode?
No, il regime del ‘reverse charge’ non protegge il contribuente. Se viene accertato che il cessionario (l’acquirente) ha consapevolmente partecipato a un’operazione fraudolenta o non ha usato la dovuta diligenza per evitarla, il diritto alla detrazione dell’IVA viene negato, nonostante l’applicazione formale del meccanismo di inversione contabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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