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Fatture soggettivamente inesistenti: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7102/2024, ha rigettato i ricorsi di una società e dell’Agenzia delle Entrate in un caso di fatture soggettivamente inesistenti. La vicenda riguardava una società del settore metallurgico che aveva dedotto costi e detratto l’IVA da fatture emesse da un fornitore. È emerso che le prestazioni non erano state rese dalla società emittente, ma personalmente dal suo ex amministratore. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito: i costi sono deducibili ai fini delle imposte dirette, poiché la prestazione è stata effettivamente eseguita, ma l’IVA è indetraibile, dato che il contribuente non ha agito con la dovuta diligenza per verificare la reale identità del fornitore.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Soggettivamente Inesistenti: Guida Pratica all’Ordinanza della Cassazione

La gestione delle fatture e la corretta deduzione dei costi e detrazione dell’IVA sono al centro della vita di ogni impresa. Un’area particolarmente delicata è quella delle fatture soggettivamente inesistenti. Con la recente ordinanza n. 7102 del 15 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo tema, delineando i confini tra deducibilità del costo e indetraibilità dell’IVA. Questa decisione sottolinea l’importanza della diligenza del contribuente nel verificare i propri partner commerciali.

I Fatti del Caso: La Controversia sulle Fatture

Una società operante nel commercio all’ingrosso di metalli ferrosi si è vista recapitare tre avvisi di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per gli anni 2006, 2007 e 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’indebita deduzione di costi documentati da fatture emesse da un’altra società, ritenendole relative a operazioni oggettivamente inesistenti.

Nei primi due gradi di giudizio, le Commissioni Tributarie hanno riqualificato la contestazione. Hanno stabilito che le operazioni non erano ‘oggettivamente’ inesistenti (cioè mai avvenute), bensì ‘soggettivamente’ inesistenti. In pratica, il servizio di ‘assistenza alla vendita’ era stato effettivamente reso, ma non dalla società che aveva emesso le fatture, bensì dal suo ex amministratore a titolo personale, il quale era decaduto dalla carica. Di conseguenza, i giudici di merito hanno riconosciuto la deducibilità dei costi ai fini IRES e IRAP, ma hanno confermato l’indetraibilità dell’IVA.

Sia la società contribuente che l’Agenzia delle Entrate hanno presentato ricorso in Cassazione per contestare la decisione.

La Decisione della Cassazione sulle fatture soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando integralmente la sentenza di secondo grado. Gli Ermellini hanno stabilito che la riqualificazione da operazione oggettivamente a soggettivamente inesistente rientra nei poteri del giudice tributario e non costituisce un vizio di ‘extra petitio’.

Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra il trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette e dell’IVA. Per le fatture soggettivamente inesistenti, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il costo è deducibile se la prestazione è stata effettivamente eseguita e ha contribuito all’attività d’impresa. L’IVA, invece, non è detraibile se il ricevente della fattura non dimostra di aver agito con la massima diligenza e in buona fede, non potendo essere a conoscenza della frode perpetrata dal fornitore.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha articolato la sua decisione su diversi punti chiave, fornendo una motivazione solida e coerente con la giurisprudenza precedente.

La Riqualificazione delle Operazioni

In primo luogo, la Corte ha respinto la censura della società contribuente secondo cui i giudici di merito sarebbero andati ‘oltre le richieste’ nel riqualificare le operazioni. La Cassazione ha chiarito che il giudice tributario ha il potere di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale, senza che ciò alteri la ‘causa petendi’ (la ragione della domanda).

Il Principio delle fatture soggettivamente inesistenti e l’IVA

Il cuore della motivazione risiede nell’analisi della soggettività passiva. La Corte ha osservato che la prestazione era stata eseguita direttamente e materialmente dall’ex amministratore della società fornitrice. Quest’ultimo, essendo decaduto dalla carica e coinvolto in procedure fallimentari, non poteva più spendere il nome della società né impegnarla contrattualmente.

La società contribuente, in qualità di committente, aveva rapporti diretti con questa persona fisica. Pertanto, secondo la Corte, avrebbe dovuto usare l’ordinaria diligenza per accertarsi della reale situazione del suo interlocutore. La pubblicità legale legata alla dichiarazione di fallimento e alla decadenza dalla carica di amministratore rendeva queste informazioni facilmente accessibili. La mancata adozione di tali cautele ha determinato l’impossibilità di detrarre l’IVA, in quanto la società contribuente non poteva dimostrare la propria buona fede e l’impossibilità di essere a conoscenza dell’irregolarità.

L’Onere della Prova e la Diligenza del Contribuente

La Corte ha specificato che, a fronte di elementi che indicano l’inesistenza soggettiva dell’operazione, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare non solo la regolarità formale dei documenti (fattura e pagamento), ma anche di aver fatto tutto il possibile per assicurarsi che il fornitore non fosse coinvolto in un’evasione. In questo caso, la società non ha fornito tale prova contraria.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un messaggio fondamentale per tutte le imprese: la forma non prevale sulla sostanza, ma la diligenza è essenziale. Anche quando un costo è reale e inerente all’attività, il diritto a detrarre l’IVA può essere negato se non si adottano le necessarie precauzioni nella scelta e verifica dei propri fornitori. La decisione evidenzia come la consultazione dei pubblici registri e una valutazione critica dei partner commerciali non siano mere formalità, ma obblighi sostanziali per proteggersi da contestazioni fiscali in casi di fatture soggettivamente inesistenti.

Cosa si intende per ‘fatture soggettivamente inesistenti’?
Si tratta di fatture emesse a fronte di operazioni che sono state realmente eseguite, ma da un soggetto diverso da quello indicato nel documento fiscale. L’operazione economica esiste, ma c’è un’interposizione fittizia di un soggetto nella fatturazione.

In caso di fatture soggettivamente inesistenti, i costi sono deducibili e l’IVA è detraibile?
Secondo la Corte, il costo sostenuto è deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES, IRAP) se l’operazione è effettiva, reale e inerente all’attività d’impresa. L’IVA, invece, è indetraibile se il contribuente che riceve la fattura non dimostra di aver agito in totale buona fede e con la massima diligenza, non essendo in grado di accorgersi della frode del fornitore.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede e poter detrarre l’IVA?
L’impresa deve dimostrare di aver adottato l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore accorto. Questo include la verifica della regolarità del fornitore, ad esempio controllando i pubblici registri (come il Registro delle Imprese). In questo caso, la Corte ha ritenuto che la pubblicità legale della dichiarazione di fallimento e della decadenza dalla carica dell’amministratore fossero elementi che il contribuente avrebbe dovuto conoscere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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