Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24820 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26957/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 5795/2016 depositata il 10/11/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente è stata destinataria, per l’anno d’imposta 2007, di un avviso di accertamento volto al recupero di costi ritenuti indeducibili, in quanto riferiti a fatture relative ad operazioni inesistenti. L’Ufficio ha proceduto alla rettifica del reddito d’impresa dichiarato, al ricalcolo del valore della produzione ai fini IRAP e alla ripresa dell’IVA correlata ai costi disconosciuti.
L’accertamento trae origine da un’attività di controllo avviata nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, conclusasi con la redazione di un processo verbale di constatazione (PVC) in data 14 gennaio 2010. In occasione dell’accesso presso la sede legale della società, effettuato nel novembre 2009, è stata riscontrata la coincidenza con la residenza privata del legale rappresentante, nonché la mancata tenuta delle scritture contabili obbligatorie.
Dall’interrogazione della banca dati dell’anagrafe tributaria è emerso che la RAGIONE_SOCIALE aveva omesso, per l’anno 2006, il versamento delle imposte, e per l’anno 2007 sia la presentazione del modello Unico sia il versamento delle imposte, avendo compensato un credito IVA relativo all’anno 2006 rivelatosi inesistente.
Sulla base del PVC, l’Agenzia ha emesso distinti avvisi di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE unipersonale per gli anni d’imposta 2007 e 2008, in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Dall’attività di verifica, che ha evidenziato l’inesistenza e la non operatività della società, è emersa, tra gli elenchi clienti e fornitori trasmessi per l’anno 2007, la società RAGIONE_SOCIALE, alla quale l’Ufficio ha rivolto richiesta di esibizione della documentazione relativa ai rapporti intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE unipersonale.
In riscontro all’invito, la società ha prodotto le fatture ricevute nel 2007 dalla RAGIONE_SOCIALE, i contratti di subappalto stipulati con la medesima, gli estratti conto e le contabili attestanti
il pagamento delle fatture, nonché i registri IVA acquisti e vendite per l’anno 2007 e il partitario relativo al fornitore.
Dall’analisi della documentazione prodotta sono emerse numerose criticità: non risultano prodotti i contratti relativi a diversi cantieri; alcuni contratti di subappalto, pur trasmessi all’Ufficio, non sono stati registrati e sono privi di data certa; nei contratti non è indicato il committente principale né l’importo dei lavori; gli stessi fanno riferimento ad elaborati progettuali non allegati. Le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE si riferiscono genericamente a lavori eseguiti, richiamando allegati privi di riferimenti ai singoli cantieri e sprovvisti delle firme delle parti.
Si è inoltre rilevato che, sulla base dei bilanci presentati, la RAGIONE_SOCIALE non ha mai avuto dipendenti, nonostante nei contratti di subappalto si faccia riferimento all’esecuzione di opere edili da parte del personale della società.
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento notificatole. La Commissione Tributaria Provinciale di Brescia ha accolto il ricorso. Il successivo appello proposto dall’Agenzia è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
L’Agenzia propone ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi. La contribuente è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione degli articoli 39, co. 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR affermato che l’Ufficio non ha fornito sufficienti riscontri probatori della propria pretesa fiscale, contraddicendo i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riparto dell’onere probatorio in ipotesi di fatture per operazioni inesistenti.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992 e il vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 364, n. 4, c.p.c., laddove la CTR ha assertivamente negato la consapevolezza della frode in capo alla contribuente.
Il secondo motivo va trattato preliminarmente al primo per ragioni di priorità logica. Esso è infondato ed esige il rigetto. La motivazione che sia assume mancante, in realtà sussiste. La CTR ha testualmente così argomentato il rigetto dell’appello erariale: ‘ Nella fattispecie in esame l’ufficio sovrappone entrambi gli aspetti, ritenendo oggettivamente inesistenti le operazioni commerciali poste in essere con la RAGIONE_SOCIALE ma anche sostanzialmente soggetto inesistente quest’ultima in realtà, tuttavia, la documentazione prodotta in atti consente di affermare, senza dubbio alcuno, che la RAGIONE_SOCIALE società evasore è inadempiente ai propri obblighi tributari ma non permette di affermare che questione logicamente differente, che le operazioni fatturate con la resistente non fossero effettive. In atti la contribuente ha prodotto i contratti di subappalto per i vari cantieri (anche se non in modo esaustivo, mancandone peraltro una minima parte) e la prova del pagamento delle relative fatture (peraltro circostanza mai contestata): ciò costituisce prova, a parere del collegio dell’effettività dei costi e della relativa deducibilità. le circostanze dedotte in senso contrario dall’ufficio, invero, così come già statuito dai giudici di prime cure, non costituiscono indizi decisivi in senso contrario: l’irregolarità dei contratti di subappalto, certamente rilevante in sede civilistica, può non essere decisiva, nel senso dell’effettività delle sottostanti operazioni, nell’ambito di rapporti evidentemente continuativi tra le due società. Così la mancata produzione dei contratti di appalto a Monte o del consenso del committente al subappalto. Quanto alla presunta assenza di dipendenti, va detto che la contribuente ha prodotto libro matricola
(da cui risultano n. 145 dipendenti in capo alla RAGIONE_SOCIALE) e due DURC (attestanti la regolarità contributiva) a dimostrazione dell’esistenza di dipendenti e, quindi, dell’astratta idoneità della Gemma ad eseguire i contratti di subappalto. La circostanza, legata dall’ufficio, che la Gemma non avesse mai portato a costo spese per i dipendenti si inserisce nel delineato quadro di soggetti inadempiente gli obblighi tributari: in mancanza di diverse specificazioni, infatti, deve ritenersi che tale mancata indicazione dei costi si riferisca alle annualità 2006 e 2007 (uniche di cui vi è traccia in atti), annualità in cui la NOME si è rivelata evasore è inadempiente ai fondamentali obblighi tributari di denuncia appunto sotto il profilo dell’inesistenza soggettiva, infine, la documentazione prodotta giustifica senza ombra di dubbio la buona fede della resistente ‘.
Non ricorre nella specie il vizio di motivazione apparente , che determina la nullità della sentenza per error in procedendo , quando la motivazione, pur graficamente esistente, si riveli obiettivamente inidonea a rendere percepibile il percorso logico -giuridico seguito dal giudice, non consentendo di comprendere le ragioni della decisione e lasciando all’interprete il compito di integrarla con ipotetiche congetture (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la motivazione apparente si configura quando la sentenza, pur formalmente motivata, non consente alcun controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, non raggiungendo la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 25 marzo 2021, n. 8400). Nel caso in esame, la sentenza impugnata non si limita a richiamare giurisprudenza di merito o di legittimità, ma espone in modo chiaro le ragioni poste a fondamento del convincimento del
giudice. La decisione, pertanto, assolve pienamente alla funzione di esternare un ragionamento giuridico che, partendo da premesse fattuali e normative, perviene in modo logico e consequenziale alla soluzione adottata, risultando idonea alla comprensione e alla verifica in sede di impugnazione.
Il primo motivo è, invece, fondato.
Osserva questa Corte che, quando – come nel caso di specie l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni poste a fondamento della deducibilità dei relativi costi o della detraibilità dell’imposta, il consolidato orientamento nomofilattico attribuisce a quest’ultima l’onere di dimostrare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non sia mai stata effettivamente realizzata, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione. Al contribuente, invece, spetta dimostrare la legittima fonte della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono normalmente impiegati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia.
Più in particolare, l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria si considera assolto qualora vengano forniti elementi validi che, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, possano assumere la consistenza di attendibili indizi, tali da dimostrare che le fatture siano state emesse per operazioni fittizie o da provare, in modo certo e diretto, l’inesattezza degli elementi dichiarati o delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Nell’ordinamento tributario, infatti, gli elementi indiziari, quando rivestono i caratteri di gravità, precisione e concordanza, costituiscono presunzioni semplici idonee, di per sé, a fondare il convincimento del giudice. Una volta assolto l’onere probatorio a
carico dell’amministrazione finanziaria, grava sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, esplicitando in motivazione i risultati del proprio giudizio. Solo successivamente, qualora tali elementi risultino dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, il giudice deve prendere in considerazione la prova contraria offerta dal contribuente, a tal fine onerato dall’art. 2697, comma 2, c.c. (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628).
In materia di IVA, una volta che l’amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi. Tale onere non può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura o con la regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento impiegati, poiché essi vengono di regola utilizzati proprio per dare apparente consistenza a operazioni fittizie (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
Per individuare quali elementi presuntivi possano essere forniti dall’amministrazione finanziaria a supporto della propria contestazione in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, occorre che gli stessi conducano, mediante un procedimento inferenziale, a ritenere che l’operazione non sia mai stata posta in essere. Costituisce, sotto tale profilo, valido elemento indiziario il fatto che il soggetto emittente la fattura fosse privo di una struttura organizzativa idonea (locali, mezzi, personale, utenze), da cui risulti ragionevolmente che la mancata disponibilità di tali elementi essenziali impedisca lo svolgimento dell’attività
commerciale e, di conseguenza, la realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
È consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui i requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere valutati nel loro insieme e non in modo atomistico, poiché ogni elemento, anche se singolarmente privo di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dagli altri in un rapporto di vicendevole completamento (Cass., 25 ottobre 2019, n. 27419; Cass., 12 aprile 2018, n. 9059; Cass., 16 maggio 2017, n. 12002).
In questo contesto, l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alle presunzioni, la verifica dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, la scelta dei fatti noti alla base della presunzione e il procedimento logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto, rimane riservato al giudice di merito. Il sindacato della Corte di legittimità si limita alla verifica della correttezza della motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1234; Cass., 23 gennaio 2006, n. 1216).
Nella fattispecie, la sentenza d’appello ha operato una valutazione degli elementi presuntivi indicati dall’Agenzia in maniera parziale, atomistica e meramente formale, trascurando di esaminarli nel loro insieme. Ogni elemento, anche se singolarmente privo di valenza indiziaria, può rafforzare o trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Va ricordato, al riguardo, che in tema di prova presuntiva il giudice deve ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, valutando preliminarmente tutti gli elementi indiziari, scartando quelli irrilevanti, e poi verificando se la loro combinazione consenta una prova presuntiva valida (Cass. n. 9054 del 2022; Cass. n. 14151 del 2022).
Tali criteri avrebbero dovuto guidare la disamina degli elementi di prova indiziaria volti a confermare o escludere l’inesistenza
oggettiva delle operazioni, e trarne i relativi effetti. Il ragionamento presuntivo del giudice di appello risulta, pertanto, viziato.
In conclusione, il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo e rigettato quanto al secondo. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame, con regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Lombardia.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, rigettatone il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Lombardia.
Così deciso in Roma, il 10/07/2025.