Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32038 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32038 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10921/2022 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO n. 4688/2021, depositata in data 21 ottobre 2021, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso avente ad oggetto gli avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2011, 2012 e 2013, con i quali era stato contestato l’utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti emesse dai fornitori RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a Mutualità Prevalente, per euro 893.974,00 ed Iva indetraibile per euro 46.512,52.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che la società contribuente avesse dimostrato la sua parziale estraneità, la sua buona fede e il suo corretto operato e che in qualità di cessionario non aveva partecipato al meccanismo frodatorio e non aveva utilizzato consapevolmente le forniture per la rivendita al fine di trarne indebiti vantaggi commerciali.
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente. Violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza era nulla per carenza di
motivazione, in quanto non aveva indicato, neanche in estrema sintesi, i presupposti di fatto su cui si fondavano le riprese a tassazione annullate dai giudici di primo grado e non aveva neppure dato conto del contenuto della sentenza di primo grado e delle censure di merito sollevate dall’Ufficio avverso tale sentenza e ciò senza prescindere dall’erronea identificazione dei fondamenti giuridici e fattuali delle riprese, avendo l’Ufficio contestato operazioni oggettivamente e non già soggettivamente inesistenti.
Il secondo mezzo deduce, in subordine, la violazione o falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, anche in combinato disposto con l’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Era pacifico che l’Ufficio aveva contestato alla società intimata che le fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a Mutualità Prevalente afferivano a operazioni oggettivamente inesistenti, come emergeva dalla pagina n. 3 dei tre avvisi di accertamento. Alle pagine 4-5 del ricorso in appello l’Ufficio aveva, inoltre, riepilogato gli elementi di fatto sulla cui base la Guardia di Finanza era giunta alla conclusione che le fatture emesse dalle due società afferivano a operazioni oggettivamente inesistenti. Inoltre, la valorizzazione della buona fede in ipotesi come quella in oggetto era illogica, in quanto nel caso di fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti, la conoscenza della frode da parte del soggetto utilizzatore delle fatture era in re ipsa , e non poteva né doveva essere provata.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
2.2 Va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che, dovendo l’obbligo motivazionale ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata, viene al contrario meno all’obbligo in parola, e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione, la decisione nella quale « il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento » (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
2.3 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).
2.4 Tanto premesso, nel caso in esame, l’impugnata decisione si mostra palesamente afflitta dal vizio qui lamentato, poiché essa ha inteso respingere i motivi di gravame senza illustrare il percorso logico ed argomentativo seguito, avuto riguardo al contenuto della sentenza di primo grado e alle tesi illustrate nell’atto di gravame, ovvero disancorandosi del tutto dalla fattispecie concreta portata alla sua valutazione e oggetto di contestazione negli avvisi di accertamento impugnati, che riguardavano operazioni oggettivamente inesistenti e non già operazioni soggettivamente inesistenti. La Commissione
tributaria regionale, in particolare, senza prescindere, come già detto, dall’erronea identificazione dei fondamenti giuridici e fattuali delle riprese fondate sulla emissione di fatture per operazioni oggettivamente e non già soggettivamente inesistenti, dopo l’enunciazione astratta dei principi giurisprudenziali sul tema dell’onere della prova nelle ipotesi di operazione oggettivamente e soggettivamente inesistenti, ha affermato, a pag. 3, che « In conclusione, il Collegio ritiene che la società contribuente abbia dimostrato la sua parziale estraneità, buona fede, corretto operato e che in qualità di cessionario non ha partecipato al meccanismo frodatorio e non ha utilizzato consapevolmente le forniture per la rivendita al fine di trarne indebiti vantaggi commerciali », senza indicare le risultanze processuali sulla cui base era pervenuta alla conclusione che la società contribuente avesse dimostrato la propria buona fede. Si tratta, all’evidenza, di una motivazione fondata su una mera formula di stile, riferibile a qualunque controversia, disancorata dalla fattispecie concreta e sprovvista di riferimenti specifici, del tutto inidonea dunque a rivelare la ≪ ratio decidendi ≫ e ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità.
2.5 Va, altresì, ricordato, con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità
formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ. (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628).
2.6 In particolare, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva
inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
2.7 Al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
2.8 Da ultimo, con specifico riferimento alla prova della consapevolezza di partecipare ad una frode, che questa Corte ha affermato che « In tema d’Iva, l’amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta
accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo » (Cass., 10 novembre 2020, n. 25113 e, più di recente, Cass., 12 aprile 2022, n. 11737), così escludendosi che, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, possa configurarsi la buona fede del cessionario o del committente, in quanto soggetto perfettamente consapevole di avere ricevuto o meno una determinata fornitura di beni o di prestazioni di servizi.
Per quanto esposto, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 3 dicembre 2024.