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Fatture oggettivamente inesistenti: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32038/2024, ha cassato una sentenza di merito per ‘motivazione apparente’. Il caso riguardava l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, in tali circostanze, la buona fede del contribuente è irrilevante. Una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi sull’inesistenza dell’operazione, spetta al contribuente l’onere di provare l’effettiva esecuzione della prestazione, non essendo sufficiente la sola documentazione formale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture oggettivamente inesistenti: La Cassazione chiarisce l’onere della prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in ambito fiscale: le fatture oggettivamente inesistenti. La decisione in esame offre importanti chiarimenti sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, e sul concetto di ‘motivazione apparente’ che può invalidare una sentenza tributaria. Approfondiamo i contorni di questa vicenda e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Una società si vedeva recapitare alcuni avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA e la deduzione di costi relativi a fatture emesse da alcuni fornitori. Secondo il Fisco, tali fatture documentavano operazioni mai avvenute, configurando un’ipotesi di inesistenza oggettiva.

La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, accoglieva le ragioni del contribuente, ritenendo che la società avesse dimostrato la propria buona fede e la sua estraneità a qualsiasi meccanismo fraudolento. L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta della decisione, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due vizi principali: la nullità della sentenza per motivazione apparente e la violazione delle norme sull’onere della prova in materia di fatture oggettivamente inesistenti.

L’onere della prova nelle fatture oggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata. Il punto centrale della decisione ruota attorno alla distinzione tra operazioni soggettivamente inesistenti (l’operazione è reale, ma intercorre tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura) e operazioni oggettivamente inesistenti (l’operazione non è mai avvenuta).

Nel caso in esame, il Fisco contestava l’inesistenza oggettiva. La Corte ha chiarito che in queste situazioni, l’onere probatorio è così ripartito:
1. Amministrazione Finanziaria: Deve fornire elementi, anche presuntivi, dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, per dimostrare che l’operazione fatturata non è mai stata posta in essere. Un valido indizio, ad esempio, può essere la totale assenza di una struttura organizzativa (mezzi, personale, locali) in capo al soggetto emittente della fattura.
2. Contribuente: Una volta che il Fisco ha assolto al suo onere, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, ovvero dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione. A tal fine, non è sufficiente esibire la fattura formalmente corretta o la prova del pagamento, strumenti spesso utilizzati proprio per dare un’apparenza di realtà a operazioni fittizie.

Motivazione Apparente e Irrilevanza della Buona Fede

La Corte ha censurato la sentenza della Commissione Regionale definendola viziata da ‘motivazione apparente’. I giudici di merito si erano limitati a una formula di stile, affermando che la società aveva dimostrato ‘la sua parziale estraneità, buona fede, corretto operato’, senza però indicare concretamente su quali risultanze processuali si basasse tale convincimento. Una motivazione così generica, slegata dai fatti specifici della causa, non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice e, pertanto, rende la sentenza nulla.

Ancora più importante, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: nel caso di fatture oggettivamente inesistenti, il concetto di ‘buona fede’ del soggetto che riceve la fattura non è configurabile. A differenza delle operazioni soggettivamente inesistenti, dove il cessionario potrebbe non essere a conoscenza della frode, nell’inesistenza oggettiva il destinatario della fattura è perfettamente consapevole di non aver mai ricevuto alcun bene o servizio. Accertata l’assenza dell’operazione, la mala fede è in re ipsa, cioè implicita nella situazione stessa.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione sul principio secondo cui una sentenza deve illustrare in modo chiaro il percorso motivazionale che ha condotto il giudice a una determinata conclusione. Nel caso di specie, la sentenza di secondo grado era palesemente viziata perché non aveva illustrato il percorso logico seguito, disancorandosi completamente dalla fattispecie concreta, che riguardava operazioni oggettivamente e non soggettivamente inesistenti. L’affermazione sulla buona fede della società contribuente è stata considerata una ‘mera formula di stile’, inidonea a rivelare la ‘ratio decidendi’ e a consentire un controllo di legittimità. La Corte ha inoltre sottolineato che, quando l’amministrazione finanziaria fornisce elementi presuntivi sull’inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza delle stesse. La buona fede, in un contesto di inesistenza oggettiva, non può essere invocata, poiché il ricevente della fattura sa con certezza se ha ricevuto o meno il bene o la prestazione.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza la rigorosa posizione della giurisprudenza in materia di fatture oggettivamente inesistenti. Per le imprese, il messaggio è chiaro: la regolarità formale dei documenti e dei pagamenti non è uno scudo sufficiente di fronte a contestazioni di operazioni fittizie. È fondamentale poter dimostrare, con prove concrete e tangibili, l’effettiva esecuzione delle prestazioni ricevute. Inoltre, la decisione evidenzia come le sentenze tributarie debbano essere ancorate a motivazioni specifiche e dettagliate, pena la loro nullità per ‘motivazione apparente’, a garanzia del diritto di difesa e della trasparenza del processo decisionale.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ in una sentenza tributaria?
Si ha ‘motivazione apparente’ quando la giustificazione della decisione, pur esistendo nel testo, è talmente generica, astratta o basata su formule di stile da non rendere comprensibili le ragioni specifiche e il percorso logico seguito dal giudice per decidere quel caso concreto, impedendo così un controllo sulla sua logicità e correttezza.

In caso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente può difendersi provando la propria buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede del soggetto che ha ricevuto la fattura. Questo perché tale soggetto è perfettamente consapevole di non aver mai ricevuto il bene o la prestazione, a differenza di quanto potrebbe accadere in casi di frode con operazioni soggettivamente inesistenti.

Qual è l’onere della prova per il contribuente quando il Fisco contesta operazioni oggettivamente inesistenti?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito indizi gravi, precisi e concordanti sull’inesistenza dell’operazione, spetta al contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La semplice esibizione della fattura e delle evidenze di pagamento non è considerata una prova sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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