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Fatture non incassate: la presunzione di incasso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32768/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di fatture non incassate. Se un professionista emette una fattura, si presume che abbia ricevuto il pagamento. Spetta al contribuente fornire una prova rigorosa del mancato incasso per evitare la tassazione del relativo importo. Nel caso di specie, le prove fornite dal professionista (estratti conto e lettere di messa in mora) sono state ritenute insufficienti a superare tale presunzione, confermando l’accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture non incassate: quando l’emissione vale come incasso per il Fisco

La gestione delle fatture non incassate rappresenta una sfida costante per professionisti e lavoratori autonomi. Sebbene per le imposte dirette viga il principio di cassa, secondo cui si tassa solo il reddito effettivamente percepito, un’ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un concetto cruciale: l’emissione di una fattura genera una presunzione di avvenuto pagamento. Spetta al contribuente l’onere, spesso arduo, di dimostrare il contrario. Analizziamo insieme la decisione per capire come tutelarsi.

I Fatti di Causa

Un professionista si è visto notificare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, che contestava un maggior reddito da lavoro autonomo per quasi 40.000 euro. L’importo corrispondeva a fatture emesse ma, a dire del contribuente, mai saldate dai clienti. Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione al professionista, ritenendo sufficienti le prove da lui prodotte, quali estratti conto bancari, lettere di messa in mora e un elenco delle parcelle insolute.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione e la Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato il verdetto. Secondo i giudici d’appello, le prove fornite non erano adeguate a vincere la presunzione di incasso derivante dall’emissione delle fatture. Il caso è quindi approdato in Corte di Cassazione.

Fatture non incassate e la presunzione di pagamento

Il cuore della questione risiede nella divergenza tra la disciplina IVA e quella delle imposte dirette (IRPEF). Per l’IVA, l’emissione della fattura è il momento in cui l’imposta diventa esigibile. Per l’IRPEF dei professionisti, invece, vale il principio di cassa: il reddito si considera prodotto solo al momento dell’effettivo incasso.

Nonostante questo, la Suprema Corte ha confermato l’orientamento secondo cui la prassi commerciale e la normativa IVA creano una presunzione di pagamento al momento dell’emissione della fattura. Questa presunzione, sebbene relativa (cioè ammette prova contraria), sposta l’intero onere della prova sul contribuente. In sostanza, per il Fisco, una fattura emessa è una fattura pagata, fino a prova contraria.

L’Onere della Prova a Carico del Contribuente

La Corte ha specificato che la valutazione sulla sufficienza delle prove fornite dal contribuente è una questione di merito, insindacabile in sede di legittimità. Tuttavia, ha avallato il ragionamento dei giudici regionali, i quali avevano ritenuto le prove del professionista insufficienti.

Due elementi sono stati decisivi per indebolire la posizione del contribuente:
1. Mancata produzione del registro degli incassi e dei pagamenti: Un documento contabile obbligatorio che avrebbe potuto supportare la tesi del mancato incasso.
2. Mancato esperimento della procedura di variazione IVA: La normativa IVA (art. 26 d.P.R. 633/1972) prevede specifiche procedure per recuperare l’imposta versata su crediti divenuti inesigibili. Il fatto che il professionista non avesse attivato tali strumenti è stato interpretato come un indizio a suo sfavore.

Di conseguenza, semplici lettere di sollecito o estratti conto che non riportano l’accredito non sono stati considerati prove abbastanza forti da superare la presunzione di pagamento.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del professionista. Ha chiarito che la presunzione di pagamento che scaturisce dall’emissione della fattura, sebbene trovi la sua radice nella disciplina IVA, si estende ai fini della prova anche nel campo delle imposte dirette. Il giudice di merito ha correttamente ritenuto che il contribuente non avesse fornito prove adeguate della mancata percezione del corrispettivo. La valutazione del materiale probatorio è un giudizio di fatto che non può essere riesaminato in Cassazione. La Corte ha quindi confermato la coerenza delle argomentazioni della Commissione Tributaria Regionale, che aveva sottolineato come il professionista avesse affermato il mancato incasso solo a seguito dell’accertamento fiscale e a distanza di anni, senza aver attivato gli strumenti normativi a sua disposizione.

Conclusioni

Questa pronuncia serve da monito per tutti i professionisti: emettere una fattura è un atto con importanti conseguenze fiscali. Per difendersi da accertamenti su fatture non incassate, non è sufficiente una semplice affermazione o prove documentali deboli. È fondamentale conservare una contabilità impeccabile, incluso il registro degli incassi e dei pagamenti, e, soprattutto, agire tempestivamente per il recupero del credito. Intraprendere azioni legali formali contro il debitore moroso o avviare le procedure di variazione IVA per inesigibilità del credito non solo aiuta a recuperare quanto dovuto, ma crea anche una solida base probatoria per dimostrare al Fisco, in modo inconfutabile, il mancato incasso.

Per un professionista, l’emissione di una fattura equivale a un incasso ai fini delle imposte dirette (IRPEF)?
No, per le imposte dirette vige il principio di cassa, quindi si tassa solo ciò che è stato effettivamente incassato. Tuttavia, l’emissione della fattura crea una presunzione legale di avvenuto pagamento che il contribuente deve superare con prove concrete.

Su chi ricade l’onere di provare che una fattura non è stata pagata?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. È il professionista che deve dimostrare in modo inequivocabile di non aver ricevuto il corrispettivo, superando la presunzione creata dall’emissione della fattura.

Quali prove sono considerate sufficienti per dimostrare il mancato incasso di una fattura?
La sentenza chiarisce che la sola esibizione di estratti conto, elenchi di parcelle insolute o lettere di messa in mora può non essere sufficiente. La Corte ha ritenuto rilevante la mancata produzione del registro degli incassi e dei pagamenti e il mancato esperimento delle procedure IVA per il recupero dell’imposta su crediti inesigibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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