Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32768 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32768 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
IRPEF, IVA,
ACCERTAMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26302/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di delega in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 2120/22/2016 depositata il 03/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con avviso di accertamento NUMERO_DOCUMENTO/2012 notificato il 06/12/2012 l’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale Roma INDIRIZZO, accertava nei confronti di Trani Eugenio un maggior reddito per lavoro autonomo pari ad euro 39.041,00 a causa della ritenuta
indeducibilità di costi recati e da incongruenze nella dichiarazione dei redditi.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma. L’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo la conferma dell’accertamento. La Commissione adita accoglieva il ricorso ritenendo che il professionista contribuente avesse provato il mancato incasso di importi fatturati con copia dell’estratto conto bancario, con le lettere di messa in mora sottoscritte dall’avvocato e con l’elenco delle parcelle non riscosse.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza 2120/22/16 del 13.04.2016, accoglieva l’appello ritenendo che l’onere probatorio gravante sul contribuente non fosse stato adempiuto e valutando come applicabili nella fattispecie gli artt. 54, comma 1, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 e 6, comma 3, d.P.R. 26/10/1972, n. 633. La sentenza affermava che, stante i principi normativi richiamati, le prove offerte dal contribuente non erano sufficienti a dimostrare il mancato pagamento delle prestazioni di cui alle fatture emesse, anche perché il professionista non aveva depositato il registro degli incassi e dei pagamenti.
Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale del Lazio, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 03/10/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso COGNOME NOME deduce la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa così come risultante dall’art. 24 cost. e dall’art. 31 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 stante l’omessa notificazione al
ricorrente, nel procedimento di appello, dell’avviso di trattazione dell’udienza.
1.1. Il motivo è infondato. COGNOME NOME non era parte costituita nel procedimento di appello; la sentenza impugnata non lo indica tra le parti costituite e, seppure senza procedere ad una esplicita declaratoria di contumacia, lo indica come non costituito. Il COGNOME non deduce nel suo ricorso in Cassazione di essersi costituito in appello, né risulta in alcun modo agli atti che l’odierno ricorrente si fosse costituito innanzi alla Commissione tributaria regionale. Orbene, l’art. 31 d.lgs. 546/1992 impone la comunicazione dell’udienza di trattazione alle «parti costituite», dunque uguale comunicazione non spetta alla parte contumace, quale era NOME COGNOME innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 54, comma 1, d.P.R. 22/12/1986, n. 917 e del principio di cassa per i redditi da lavoro autonomo in relazione all’art 360, primo comma, cod. proc. civ.. Secondo il ricorso, il professionista aveva emesso alcune fatture ma non aveva ricevuto il corrispettivo indicato e, pertanto, legittimamente ne avrebbe escluso l’importo dal reddito imponibile, mentre sarebbe caduta in errore la commissione tributaria regionale nel ritenere risolutivo, in senso contrario, il disposto dell’art 54 t.u.i.r. e dell’art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633/1972.
2.1. Osserva il Collegio come la motivazione della sentenza impugnata si fondi sulle seguenti argomentazioni: la pratica commerciale lascia presumere che i corrispettivi indicati siano stati ricevuti al momento dell’emissione delle fatture e l’art. 6, comma 3, d.P.R. 26/10/1972, n. 633, stabilisce: «se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi o indipendentemente da essi sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura
o a quella del pagamento». Applicandosi il principio di cassa, enunciato dall’art. 54 t.u.i.r., e presumendosi l’incasso del corrispettivo al momento della emissione della fattura, secondo la Commissione tributaria regionale, spettava al contribuente fornire la prova del mancato pagamento delle prestazioni e «la sola esibizione dell’estratto conto bancario, dell’elenco delle parcelle non riscosse e delle lettere di invito delle fatture insolute e spedite dall’Avv. COGNOME nel novembre del 2013 non può ritenersi prova idonea a superare la pretesa impositiva dell’Ufficio».
2.2. Orbene, ad avviso del Collegio la motivazione della pronuncia va condivisa nella misura in cui fa discendere dall’emissione della fattura la presunzione circa la ricezione del corrispettivo e attribuisce al contribuente l’onere della prova contraria. In proposito assume rilievo l’orientamento di questa Corte, da ultimo ribadito da Cass. 28/09/2022, n. 28253, secondo il quale «in tema di IVA, il fatto generatore dell’imposta coincide con l’espletamento della prestazione fatturata mentre l’esigibilità del tributo coincide con il pagamento (Cass. S.U. n. 8059 del 21/04/2016), che è poi anche il termine ultimo per l’emissione della fattura; una volta emessa la fattura, peraltro, sorge il diritto alla detrazione dell’imposta, indipendentemente dall’avvenuto pagamento del corrispettivo (Cass. n. 6793 del 11/03/2020); per quanto riguarda, invece, le imposte dirette, i redditi da lavoro autonomo vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza ai sensi dell’art. 50 (attuale art. 54), primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Ne consegue che l’importo delle fatture emesse dal professionista nell’anno d’imposta oggetto di accertamento da parte dell’Ufficio, ove sia comprovato da contribuente che l’incasso è avvenuto in epoca ad esso successiva, non concorre alla determinazione del reddito da lavoro autonomo del professionista ai fini IRPEF per l’anno oggetto di accertamento». Dunque, la presunzione di pagamento della prestazione in ragione di emissione
della fattura, applicata dalla Commissione tributaria regionale, trova piena giustificazione nella disciplina dell’IVA e il giudice di appello ha escluso che il ricorrente, ai fini delle imposte dirette, abbia fornito la prova della mancata percezione del corrispettivo: si tratta di una valutazione in fatto del materiale istruttorio sottratta al sindacato di legittimità di questa Corte. La Commissione tributaria regionale ha aggiunto che le fatture erano state riportate nel registro IVA delle vendite e che il contribuente non aveva prodotto il registro degli incassi e dei pagamenti: si tratta di osservazioni coerenti con il disposto dell’art. 26, commi 3 e 3 -bis, d.P.R. 633/1972 e con la circostanza che il professionista non aveva esperito la procedura indicata da quelle norme e solo a seguito dell’accertamento fiscale e dopo diversi anni ha affermato di non aver conseguito i corrispettivi in questione. Anche il secondo motivo di ricorso deve, allora, essere respinto.
Il ricorso merita integrale rigetto; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.600,00 (duemilaseicento) a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 3 ottobre 2024.