Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19635 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19635 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
Operazioni oggettivamente inesistenti-art. 8 d.l. 16/2012
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6903/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME già legale rappresentante nonché RAGIONE_SOCIALE della società RAGIONE_SOCIALE, rappresentati da ll’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma al INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4898/2015 depositata in data 18/09/2015; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 4/06/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso; udito l’ Avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente; u dito l’Avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale de l Lazio rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso proposto contro l’avviso di accertamento n. RCG030602022 emesso per Ires, Irap e Iva dell’ anno di imposta 2007 con cui erano contestate la ricezione di fatture per operazioni inesistenti dalla società RAGIONE_SOCIALE e la contabilizzazione di fatture nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE; in particolare i giudici dell’appello dichiaravano inammissibile la comparsa di costituzione di NOME COGNOME, legale rappresentante della società, in quanto questi non aveva partecipato al giudizio di primo grado; ritenevano poi ammissibile l’appello proposto personalmente dal fallito in quanto, nell’inerzia degli organi fallimentari, il fallito è eccezionalmente abilitato a impugnare l’atto impositivo; nel merito evidenziavano trattarsi di operazioni oggettivamente inesistenti ricavate da false fatture e che nel p.v.c. era ben spiegato il motivo per il quale le fatture erano ritenute inesistenti (genericità delle causali tutte eguali, le società erano parte dello stesso gruppo COGNOME e nonostante il loro notevolissimo ammontare non erano mai stati esibiti i contratti giustificativi o le prove dei pagamenti); ritenevano altresì infondato il motivo con il quale la società si era doluta
che pur essendo state considerate inesistenti le fatture, e quindi ingiustificati i costi, non erano stati annullati i ricavi risultanti dalle fatture emesse dalla società appellante, ritenendo inapplicabile ratione temporis, in relazione all’annualità in contestazione , l’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012 convertito nella legge n. 44 del 2012.
Contro tale sentenza la società e NOME COGNOME propongono ricorso affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 4/06/2025. Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2380bis e 2384 c.c., e dell’art. 42 legge fallimentare, laddove la CTR ha ritenuto inammissibile la costituzione di NOME COGNOME quale legale rappresentante della società poiché non aveva partecipato al giudizio di primo grado; deduce infatti che la comparsa di costituzione era imposta dalla necessità di nominare nuovi difensori e la stessa procura era rilasciata dal COGNOME nella qualità di rappresentante della società, rimanendo indiscusso che il giudizio riguardava la società; lamenta in sintesi che la CTR abbia confuso la comparsa dei nuovi difensori su mandato del legale rappresentante della società in fallimento con la costituzione in proprio del medesimo soggetto, che non vi era mai stata in quanto in tutto il giudizio aveva agito la società.
1.1. Il motivo è fondato.
L’ affermazione della CTR è contraddittoria; posto che è pacifico che in giudizio sia sempre stata la società, in bonis all’inizio d i esso, e che la stessa CTR ha riconosciuto (con statuizione rimasta incensurata in
questa sede) la legittimazione ad agire (e in particolare a proporre appello) in capo alla stessa, benchè nel frattempo fallita, sul presupposto dell’inerzia del curatore, è errata la declaratoria di inammissibilità della «costituzione di NOME COGNOME, legale rappresentante della società, non avendo questi partecipato al giudizio di primo grado» che, per come espressamente evidenziato dalla stessa CTR, non pare fare riferimento ad una costituzione in proprio ma ad una costituzione nella qualità di rappresentante della società, il che è confermato dalla lettura dell’atto prodotto dalla ricorrente .
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 300 del 1999, dell’art. 23 lett. pp) del d.P.R. n. 107 del 2001 e dell’art . 14 Cost., laddove la CTR non ha ritenuto illegittimo il p.v.c. redatto da organo incompetente, la Direzione regionale dell ‘ Agenzia delle entrate.
2.1. Il motivo, relativo alla attribuzione di poteri istruttori e di accertamento ai soli uffici periferici, in primo luogo è inammissibile, poiché la sentenza non esamina tale doglianza né fa riferimento alla sua proposizione. Né il ricorrente allega che essa fosse stata proposta fin dal ricorso, contribuendo a determinare l’originario thema decidendum , anzi evidenzia, alla quarta pagina, e ribadisce, alla decima pagina, che la questione fu da esso (pur appellante) sollevata nella comparsa e nelle memorie difensive in appello, con ciò rivelandosi evidentemente inammissibile in quanto tardiva.
Ed infatti nel giudizio tributario d’appello è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si
chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del medesimo decreto (Cass. 24/10/2014, n. 22662; Cass. 24/07/2018, n. 19616).
2.2. Il motivo, comunque, anche nel merito non è fondato, alla luce di un consolidato orientamento di questa Corte, ribadito con numerose pronunce (Cass. 28/02/2025, n. 586; Cass. 02/08/2024, n. 21936; Cass. 31/05/2022, n. 17482; Cass. 08/10/2020, n. 21694; Cass. 21/12/2018, n. 33289; Cass. 14/10/2016, n. 20856; Cass. 19/01/2016, n. 848; Cass. 27/11/2015, n. 24263; Cass. 03/10/2014, n. 20915), applicabile, per quanto di seguito indicato, anche al caso di specie.
I principi affermati da tale costante giurisprudenza sono i seguenti. Il d.lgs. n. 300 del 1999, in sede di istituzione delle Agenzie fiscali, ha espressamente attribuito un potere di autoregolamentazione all’Agenzia delle Entrate. L’art. 57, primo comma, in particolare, ha previsto che «alle agenzie fiscali sono trasferiti i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia». L’art. 61, secondo comma, ha poi aggiunto che «in conformità con le disposizioni del presente decreto legislativo e dei rispettivi statuti, le agenzie fiscali hanno autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria», indicazione poi ripresa dal successivo art. 66, il cui primo comma ha previsto che «Le agenzie fiscali sono regolate dal presente decreto legislativo, nonché dai rispettivi statuti deliberati da ciascun comitato di gestione»; il secondo comma ha aggiunto che «gli statuti … recano principi generali in ordine all’organizzazione e al funzionamento dell’Agenzia» e il terzo comma che «l’articolazione degli Uffici a livello centrale e periferico, è stabilita con disposizioni interne che si conformano alle esigenze della conduzione aziendale».
In base a tale quadro normativo, quindi, il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate ha previsto che le Direzioni regionali «…esercitano, nell’ambito della rispettiva regione o provincia, funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli uffici, curano i rapporti con gli enti pubblici locali e svolgono attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento e del contenzioso». In base a ciò, con provvedimento 23/02/2001, n. 36122 il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha stabilito esplicitamente la competenza anche delle Direzioni regionali all’attività di verifica.
Tale esito, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, non si pone in contrasto con i principi costituzionali in tema di riserva di legge in materia fiscale, sanciti dall’art. 14 Cost. – il cui terzo comma, a tutela del domicilio, ammette ispezioni e accertamenti fiscali alle condizioni stabilite da leggi speciali – posto che la ripartizione delle competenze degli organi operata dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate costituisce diretta attuazione dei poteri conferiti dal d.lgs. n. 300 del 1999. Ne deriva, inoltre, che l’espressa abrogazione dell’art. 62sexies d.l. n. 331 del 1993 – da ritenersi necessaria in ragione dell’originaria collocazione delle Direzioni regionali nel Ministero delle Finanze – non può in alcun modo avere amputato i poteri delle Direzioni regionali regolati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, risultando i poteri di accesso, ispezione e verifica già ex lege in capo all’Agenzia delle Entrate nel suo complesso e già attribuiti in via generale dagli artt. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 e 33 d.P.R. n. 600 del 1973 e dalla medesima esercitati secondo la disciplina adottata nell’ambito dei poteri di autorganizzazione.
Da ultimo, va sottolineato, quanto all’intervento operato con l’art. 27 d.l. n. 185 del 2008, che il legislatore non ha inteso attribuire «alle Direzioni Regionali delle Entrate una competenza in materia di
accertamento fiscale prima inesistente», ma solamente «fondare su norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi» (Cass. 21/12/2018, n. 33289).
Da ciò, in conclusione, segue la legittimità dell’attività d’indagine e dell’avviso di accertamento emesso in base a processo verbale redatto dalla Direzione regionale delle Entrate e la infondatezza anche nel merito del secondo motivo.
3. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.l. n. 16 del 2012 conv. nella legge n. 44 del 2012, laddove la CTR, nell’esaminare il motivo di appello relativo al fatto che l’ufficio nel disconoscere integralmente i costi di cui alle fatture inesistenti non aveva anche escluso dalla imposizione i corrispondenti ricavi, non ha ritenuto applicabile tale normativa nonostante l ‘ esplicita disciplina transitoria di cui al co mma 3 dell’art. 8 , che prevede che le nuove disposizioni si applichino anche «ai fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4bis dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 non si siano resi definitivi».
3.1. Il motivo è fondato.
L’art. 8 d.l. n. 16 del 2012 conv., nella legge n. 44 del 2012 ha inserito nell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 l’art. 4 -bis , che prevede al suo secondo comma, che «Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti
negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione e’ riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472»
A sua volta il comma 3 prevede espressamente che «Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4bis previgente non si siano resi definitivi».
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 d.l. 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, sia in materia di accertamento dell’Iva, che delle imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione, ritenendo fittizia, oggettivamente o soggettivamente, un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione; l’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati.
Tuttavia, l’art. 8, comma 2, d.l. cit. costituisce ius superveniens , applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, sopra richiamato, in luogo di quanto disposto dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4bis , previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli (Cass. 11/04/2024, n. 9900; Cass. 25/11/2020, n. 26790; Cass. 20/04/2016, n. 7896; Cass. 19/12/2014, n. 27040).
L’affermazione in diritto (unicamente resa dalla CTR) della inapplicabilità delle nuove disposizioni al caso di specie appare quindi errata, mentre l’esistenza di una correlazione tra i costi disconosciuti e i redditi da escludere a tassazione è quaestio facti rimessa al l’apprezzamento del giudice del merito.
4. Il ricorso va quindi accolto nel primo e nel terzo motivo, respinto il secondo; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame, cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, rigettato il secondo; cassa in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 4 giugno 2025.