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Fatture inesistenti: si applica la norma favorevole?

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di accertamento per fatture inesistenti, la normativa successiva più favorevole al contribuente (ius superveniens) deve essere applicata retroattivamente. Se i costi sono indeducibili, anche i ricavi correlati devono essere esclusi dalla base imponibile, a patto che l’accertamento non sia definitivo. La Corte ha accolto il ricorso dell’azienda su questo punto, cassando la precedente sentenza e rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture inesistenti: la Cassazione applica la norma più favorevole

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene sul tema delle fatture inesistenti, chiarendo un principio fondamentale a tutela del contribuente: l’applicazione retroattiva della legge più favorevole (ius superveniens). Il caso riguardava una società a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione di costi derivanti da operazioni fittizie, senza però escludere i corrispondenti ricavi dalla tassazione. La Corte ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, affermando che la normativa introdotta nel 2012, che prevede la correlazione tra costi indeducibili e ricavi da escludere, si applica anche ai fatti precedenti.

I fatti di causa

Una società S.r.l. riceveva un avviso di accertamento per Ires, Irap e Iva relativo all’anno d’imposta 2007. L’Amministrazione Finanziaria contestava la contabilizzazione di fatture per operazioni considerate oggettivamente inesistenti, negando la deducibilità dei relativi costi. La società impugnava l’atto, ma il suo ricorso veniva respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale sia da quella Regionale.

I giudici d’appello, in particolare, avevano ritenuto che non si potesse applicare la normativa del 2012 (art. 8 del D.L. n. 16/2012), che consente di sterilizzare fiscalmente anche i ricavi connessi ai costi indeducibili, poiché i fatti risalivano al 2007. Inoltre, avevano dichiarato inammissibile la costituzione in giudizio del legale rappresentante, in quanto non aveva partecipato al primo grado, nonostante agisse per conto della società, nel frattempo fallita.

Contro questa decisione, la società e il suo legale rappresentante hanno proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali.

L’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso, accogliendone due e rigettandone uno. La decisione si è rivelata cruciale per definire importanti principi procedurali e sostanziali.

La legittimazione del legale rappresentante del fallito

Il primo motivo, accolto dalla Corte, riguardava un errore procedurale. I giudici di merito avevano confuso la costituzione in giudizio del legale rappresentante per conto della società con una sua costituzione in proprio. La Cassazione ha chiarito che il legale rappresentante agiva in nome e per conto della società (sebbene fallita) e, data l’inerzia degli organi fallimentari, era pienamente legittimato a impugnare l’atto per tutelare gli interessi della società stessa. L’errore della corte territoriale è stato quindi corretto.

La competenza dell’organo accertatore

Il secondo motivo, con cui si contestava la competenza della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate a redigere il processo verbale di constatazione, è stato respinto. La Corte ha confermato il suo orientamento consolidato, secondo cui le Agenzie fiscali godono di autonomia organizzativa. In base a questa autonomia, è legittimo che le Direzioni Regionali svolgano attività ispettive e di verifica, i cui risultati possono essere utilizzati dagli uffici provinciali per emettere gli avvisi di accertamento.

L’applicazione della norma più favorevole per le fatture inesistenti

Il terzo motivo, anch’esso accolto, è il cuore della sentenza. La società lamentava la mancata applicazione dell’art. 8 del D.L. n. 16/2012, che ha introdotto il principio di correlazione tra costi indeducibili per fatture inesistenti e i relativi componenti positivi di reddito. Questa norma stabilisce che, se un costo è indeducibile, anche il ricavo direttamente collegato non concorre a formare il reddito imponibile.

La Corte ha affermato che questa disposizione costituisce ius superveniens, ovvero una nuova legge che, se più favorevole, si applica anche a fatti, atti o attività posti in essere prima della sua entrata in vigore, a condizione che i provvedimenti impositivi non siano ancora divenuti definitivi.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la Commissione Tributaria Regionale ha commesso un errore di diritto nel ritenere inapplicabile ratione temporis la nuova disciplina. Prima del 2012, l’amministrazione poteva disconoscere i costi senza essere obbligata a ridurre i ricavi corrispondenti. La nuova legge ha introdotto un meccanismo di simmetria per evitare un’imposizione iniqua. La natura di ius superveniens favorevole impone la sua applicazione retroattiva. L’affermazione della CTR sulla inapplicabilità della norma è stata quindi giudicata errata, mentre spetterà al giudice del rinvio verificare nel merito la sussistenza della correlazione tra costi e ricavi.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il primo e il terzo motivo del ricorso e rigettato il secondo. Ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda alla luce dei principi affermati. Questa sentenza rafforza la tutela del contribuente, garantendo che le norme fiscali più favorevoli, anche se successive, possano essere applicate per correggere accertamenti relativi ad annualità passate, purché non ancora definitivi.

Quando una legge tributaria più favorevole entra in vigore, può essere applicata a violazioni commesse in anni precedenti?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’art. 8 del D.L. n. 16/2012, che consente di escludere dalla tassazione i ricavi correlati a costi indeducibili per operazioni inesistenti, costituisce ‘ius superveniens’. Pertanto, si applica retroattivamente anche a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore, a condizione che l’accertamento fiscale non sia ancora definitivo.

Le Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate sono competenti a svolgere attività di accertamento fiscale?
Sì. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui, in virtù del potere di autoregolamentazione, l’Agenzia delle Entrate può legittimamente attribuire alle proprie Direzioni Regionali la competenza a svolgere attività di verifica e indagine, i cui esiti sono poi utilizzati dagli uffici competenti per l’emissione degli atti impositivi.

Se una società è fallita, il suo ex legale rappresentante può continuare a difenderla in un processo tributario?
Sì, in via eccezionale. La sentenza chiarisce che, in caso di inerzia degli organi della procedura fallimentare (come il curatore), il soggetto fallito, e per esso il suo ex legale rappresentante, è abilitato a impugnare un atto impositivo per tutelare gli interessi della società. La Corte ha ritenuto errata la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato inammissibile tale intervento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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