LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Fatture inesistenti: sanzioni anche se corrette

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 525/2024, ha respinto il ricorso di una società sanzionata per l’emissione di fatture inesistenti. La Corte ha stabilito che la successiva emissione di note di credito non annulla l’illecito e ha dichiarato il ricorso inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza, confermando la legittimità delle sanzioni.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: Sanzioni Inevitabili Anche Dopo la Correzione

L’emissione di fatture inesistenti rappresenta un grave illecito fiscale, le cui conseguenze non possono essere semplicemente annullate da una successiva correzione contabile. Con l’ordinanza n. 525 del 8 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, dichiarando inammissibile il ricorso di una società e confermando la legittimità delle sanzioni applicate dall’Agenzia delle Entrate. La decisione mette in luce l’importanza cruciale del principio di autosufficienza del ricorso, un requisito formale che può determinare l’esito del giudizio di legittimità.

Il caso: fatture inesistenti per ottenere finanziamenti

Una società in accomandita semplice veniva sanzionata dall’Amministrazione Finanziaria per aver emesso fatture relative a operazioni mai avvenute durante l’anno d’imposta 2008. Lo scopo di questa condotta non era l’evasione fiscale diretta, bensì quello di ottenere fondi da istituti bancari. Successivamente, la società aveva tentato di regolarizzare la propria posizione contabile emettendo note di credito per stornare i ricavi fittizi.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate contestava l’illecito, applicando una sanzione pari al 25% dei costi fittizi contabilizzati, come previsto dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012. Secondo l’Ufficio, la condotta illecita si era già perfezionata con la sola emissione dei documenti falsi, indipendentemente dalla successiva neutralizzazione contabile.

Il percorso giudiziario e i motivi del ricorso

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità della sanzione. I giudici di merito avevano sottolineato che le fatture inesistenti non potevano essere rettificate tramite note di credito, poiché mancava alla base un’operazione reale. La condotta, pur finalizzata al finanziamento bancario, aveva comunque effetti distorsivi sulla libera concorrenza e violava i principi di collaborazione e buona fede nei rapporti con il Fisco.

La società ricorreva quindi in Cassazione, affidandosi a due principali motivi:
1. Violazione di legge: Sosteneva che, avendo corretto i ricavi fittizi, non si erano realizzati i presupposti per l’applicazione della sanzione, che punisce l’indicazione di elementi passivi fittizi in dichiarazione. La Commissione Regionale, a loro dire, non aveva esaminato la questione nel merito.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: Lamentava la mancata comparazione tra la sanzione prevista dalla normativa in vigore al momento della violazione e quella, più favorevole, applicata dall’Ufficio, in violazione del principio del favor rei.

Le motivazioni della Cassazione: il principio di autosufficienza

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, senza entrare nel merito delle questioni sollevate. La decisione si fonda interamente su ragioni di carattere processuale.

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha richiamato il consolidato principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.). Secondo questo principio, il ricorso deve contenere in sé tutti gli elementi necessari per consentire al giudice di comprendere la censura, senza dover accedere a fonti esterne o ad altri atti del processo. Nel caso specifico, la società ricorrente non aveva trascritto integralmente nel proprio ricorso né l’avviso di accertamento né le dichiarazioni fiscali contestate. Questa omissione ha impedito alla Corte di verificare se effettivamente i presupposti per la sanzione sussistessero o meno, rendendo la doglianza inammissibile.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha applicato l’art. 348-ter, comma 5, del codice di procedura civile, che preclude l’impugnazione per omesso esame di un fatto decisivo quando le sentenze di primo e secondo grado sono conformi (c.d. “doppia conforme“). Poiché sia la Commissione Provinciale che quella Regionale avevano rigettato le tesi della società, questa via di ricorso era legalmente sbarrata.

Le conclusioni: la rigidità processuale e le conseguenze

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione sulla centralità delle regole processuali nel contenzioso tributario. Anche in presenza di argomentazioni potenzialmente fondate nel merito, la mancata osservanza di requisiti formali come il principio di autosufficienza può portare a una declaratoria di inammissibilità, precludendo ogni esame della questione.

Per i contribuenti e i loro difensori, emerge la necessità di redigere ricorsi per cassazione estremamente dettagliati, che includano la trascrizione puntuale degli atti e dei documenti fondamentali per la controversia. La decisione conferma che l’emissione di fatture inesistenti costituisce un illecito grave e istantaneo, la cui sanzionabilità non viene meno per effetto di successive manovre contabili di “correzione”. La finalità extra-fiscale (come l’ottenimento di credito) non funge da scusante, poiché la condotta altera comunque la trasparenza del mercato e i rapporti con l’amministrazione finanziaria.

È possibile annullare una sanzione per fatture inesistenti emettendo successivamente delle note di credito?
No. Secondo la sentenza, l’illecito si perfeziona con la sola emissione della fattura per un’operazione inesistente. La successiva emissione di una nota di credito non è sufficiente a sanare la violazione già commessa.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione deve rispettare il principio di autosufficienza?
Significa che l’atto di ricorso deve contenere tutti gli elementi e i documenti necessari (trascrivendone le parti rilevanti) per permettere alla Corte di decidere la questione senza dover consultare altri fascicoli o atti esterni. Se il ricorso non è ‘autosufficiente’, viene dichiarato inammissibile.

Si può ricorrere in Cassazione per ‘omesso esame di un fatto decisivo’ se le sentenze di primo e secondo grado sono identiche nella decisione?
No. La legge (art. 348-ter c.p.c.) esclude questa possibilità in caso di ‘doppia conforme’, ovvero quando i giudici di primo grado e d’appello hanno basato le loro decisioni sulle stesse ragioni di fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati