Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 525 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 525 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
legge n. 16 del 2012. Fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 1/08/11/2023 C.C. PU R.G. 7025/2016
COGNOME
Consigliere – Rel. –
TANIA HMELJAK
Consigliere
Cron. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 7025/2016 proposto da:
NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , COGNOME NOME, quale socio accomandatario e titolare di quota, e COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME e socio accomandante, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i
R.G.N. 17987/2019
cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 3870/67/15, depositata in data 14 settembre 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio de ll’8 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Bergamo, con sentenza n. 218/10/213 del 29 ottobre 2013, aveva dichiarato legittimo l’atto di contestazione n. T9FCOA300247-2013 relativo all’anno d’imposta 2008, impugnato dalla società e dai due soci, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con cui era stata irrogata la sanzione amministrativa calcolata nella misura del 25% dei costi fittizi contabilizzati prevista dal comma 2 dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società e dai soci, ritenendo che:
-) l’emissione di fatture fittizie ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 per operazioni inesistenti, sia pure emesse per procacciarsi la provvista di fondi presso gli istituti bancari, non potevano essere stornate con le note di credito, se non in presenza di un’operazione reale, in quanto era necessaria la rettifica dell’imponibile;
-) non si erano avverate nella fattispecie la regolare e legittima emissione di fattura e la riconducibilità dell’operazione a un negozio giuridico reale destinato a produrre effetti tra le parti;
-) le considerazioni sulla neutralità fiscale delle operazioni poste in essere per fini esclusivamente di finanziamento bancario erano,
dunque, inconferenti con il tema sanzionatorio perché, a parte gli effetti distorsivi provocati da una simile condotta delittuosa sul piano della libera concorrenza, l’illegittimità della emissione cartolare, unita alla conseguente impossibilità di correzione a mezzo note di credito, violavano l’articolo 10 dello Statuto del Contribuente che disponeva che i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente dovevano essere improntati sul principio della collaborazione e della buona fede; -) l’Ufficio, peraltro, aveva inteso applicare una sanzione più favorevole tenendo conto delle recenti modifiche normative in materia, anche se la sanzione applicabile per l’anno 2008 avrebbe dovuto essere quella prevista dallo stesso art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, né potevano essere invocate dai ricorrenti circostanze attenuanti ed esimenti contenute nello Statuto del contribuente.
La società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, il socio accomandatario e titolare di quote COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME e socio accomandante, hanno proposto ricorso per cassazione, con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e la decisione nel merito della causa, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 2 e 3, del decreto legge n. 16 del 2012, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la Commissione tributaria regionale si era limitata ad affermare l’inammissibilità della rettifica contabile di fatture emesse per operazioni inesistenti mediante emissioni di note di credito e non aveva esaminato la questione primaria, ovvero se la violazione contestata fosse prevista
sia dalla legge precedente che da quella successiva, con conseguente possibilità di applicazione della sanzione di cui al citato art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012. La norma di cui all’art. 8, comma 2, del decreto legge n. 16 del 2012 non presentava alcuna attinenza con i comportamenti adottati dalla società che, ai fini dichiarativi, non aveva esposto né maggiori ricavi inesistenti, né maggiori costi inesistenti, pechè la rettifica dei ricavi, seppure discutibile, era avvenuta già in sede contabile mediante l’emissione delle note di accredito in diminuzione dei ricavi, con la conseguenza che i dati esposti in bilancio e successivamente in dichiarazione dei redditi erano i dati reali appurati dallo stesso Ufficio accertatore. Inoltre, l’Ufficio con l’avviso di accertamento n. T9F02A300683/2013, emesso per lo stesso periodo d’imposta 2008 , aveva ritenuto indeducibile solo una quota di interessi perché non inerente e, dunque, non era stata operata alcuna rettifica delle imposte dovute dalla società, ma soltanto una maggiore quota di partecipazione ai fini Irpef a carico dei soci. I giudici di secondo grado avevano omesso qualsiasi raffronto comparativo al fine dell’individuazione del favor rei riconosciuto dalla norma, mentre il richiamato art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 disponeva soltanto gli obblighi dei contribuenti in tema di fatturazione delle operazioni e non stabiliva alcun effetto sanzionatorio.
1.1 Il motivo è inammissibile.
1.2 Come questa Corte ha precisato, il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il
ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469).
1.3 Con riguardo, poi, al tema di specificità dei motivi di ricorso, questa Corte, da ultimo, ha avuto occasione di precisare che « Ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito » ( Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
1.4 Il principio, escludendo l’eccessivo rigore nella imposizione di oneri di integrale trascrizione e allegazione di documenti, ha sottolineato come i motivi debbano comunque indicare puntualmente, per le parti di rilievo, il contenuto degli atti richiamati, in modo da consentire al giudice l’esatta comprensione e portata della doglianza, oltre che l’esatta collocazione del documento nel fascicolo di causa.
1.5 Dunque, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, deve ritenersi apprezzato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (cfr. Cass., 19 aprile 2022, n. 12481) e non può, invece, ritenersi
rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sull’idoneità del c ontenuto delle censure a consentire la decisione (cfr. Cass., 1 marzo 2022, n. 6769).
1.6 A tali oneri la società ricorrente non ha ottemperato, come era, invece, necessario, anche alla luce del contenuto di parte della motivazione dell’atto di contestazione , riportato a pag. 13 del controricorso, (« la RAGIONE_SOCIALE ha indicato nella dichiarazione dei redditi sia le componenti positive che quelle negative di reddito afferenti alle suddette operazioni inesistenti ») ed è, dunque, evidente che, alla luce dei principi richiamati, la censura in disamina si rileva priva della necessaria compiutezza atta ad assicurarne l’autosufficienza, in tal modo precludendo alla Corte di poter attingere il contenuto della censura dalla diretta lettura del ricorso.
1.7 L’osservanza del principio di autosufficienza avrebbe imposto, nel caso in esame, l’onere per la società ricorrente di trascrivere integralmente l’ avviso di accertamento e le dichiarazioni fiscali, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per l’esame della censura sollevata e la mancata trascrizione, nell’odierno ricorso, dello specifico contenuto di tali atti impedisce, allora, la necessaria verifica dell’astratta idoneità del motivo di ricorso ad incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni che sorreggono la decisione impugnata.
Il secondo mezzo deduc e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., costituito dal raffronto tra la norma, in vigore al momento in cui la violazione era stata commessa e quella vigente alla data in cui la violazione era stata contestata. La invocata comparazione avrebbe dovuto considerare da
una parte la sanzione applicabile in base al citato art. 8 e dall’altra la sanzione, già applicata, scaturita dall’accertamento dei redditi della società per lo stesso periodo d’imposta.
2.1 Il motivo è inammissibile, trovando applicazione, nel caso in esame, la previsione di cui all’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, (appello depositato in data 19 giugno 2014, cfr. pag. 1 della sentenza impugnata) (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 8 novembre 2023.