LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Fatture inesistenti: quando si paga l’IVA ma non l’IRPEF

La Cassazione chiarisce il trattamento fiscale delle fatture inesistenti. Con la sentenza 9900/2024, ha stabilito che chi emette una fattura falsa deve versare l’IVA indicata, ma i proventi fittizi non concorrono a formare il reddito imponibile per IRPEF e IRAP, poiché un’operazione inesistente non può generare ricchezza reale. La Corte ha quindi parzialmente accolto il ricorso di una società, annullando la pretesa fiscale su redditi e IRAP ma confermando quella sull’IVA.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: l’IVA si Paga, ma il Reddito non si Tassa. La Spiegazione della Cassazione

La gestione delle fatture inesistenti rappresenta uno dei nodi più complessi del diritto tributario, con implicazioni diverse a seconda dell’imposta considerata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9900 del 11 aprile 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale, tracciando una netta distinzione tra gli obblighi ai fini IVA e la tassazione dei redditi (IRPEF e IRAP). La Corte ha stabilito un principio di coerenza: un’operazione fittizia, pur generando un debito IVA per chi emette la fattura, non può produrre un reddito imponibile reale. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso: Fattura e Nota di Credito Sotto la Lente del Fisco

Una società in accomandita semplice emetteva una fattura per una cospicua vendita di beni a un’altra azienda. Successivamente, la stessa società emetteva una nota di credito per un importo quasi identico, giustificandola con una presunta restituzione parziale della merce. L’Agenzia delle Entrate, insospettita, avviava un accertamento e concludeva che l’intera operazione commerciale, sia la vendita che la successiva restituzione, fosse oggettivamente inesistente.

Di conseguenza, l’Ufficio recuperava a tassazione l’importo della nota di credito, sostenendo che, essendo l’operazione fittizia, la società non aveva diritto di ridurre i propri ricavi. Questo comportava una maggiore imposta da versare ai fini IVA e IRAP per la società, e ai fini IRPEF per i soci, in virtù del principio di trasparenza.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al Fisco, ritenendo che i contribuenti non avessero fornito prove sufficienti a dimostrare l’effettività dell’operazione. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Cassazione sulle Fatture Inesistenti

La Suprema Corte ha analizzato il caso separando nettamente la disciplina dell’IVA da quella delle imposte dirette, arrivando a conclusioni opposte per le due tipologie di tributi.

La Questione dell’IVA: Il Principio di Cartolarità

Per quanto riguarda l’Imposta sul Valore Aggiunto, la Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato, sia a livello nazionale che europeo. L’articolo 21 del D.P.R. 633/1972 stabilisce che chiunque emetta una fattura, anche per fatture inesistenti, è comunque tenuto a versare l’imposta in essa indicata. Questo principio, detto ‘di cartolarità’, ha una finalità antifrode: serve a neutralizzare il rischio che il destinatario della fattura falsa possa indebitamente detrarsi l’IVA, causando un danno all’erario.

In questo contesto, la successiva emissione di una nota di credito è irrilevante. La procedura di variazione IVA, infatti, è ammessa solo per operazioni reali che subiscono modifiche (es. sconti, resi effettivi), non per sanare un’operazione fittizia sin dall’origine. Pertanto, la pretesa dell’Agenzia delle Entrate per il versamento dell’IVA è stata ritenuta legittima.

La Questione di IRPEF e IRAP e il trattamento delle fatture inesistenti

Diametralmente opposta è stata la conclusione per le imposte sui redditi. La Corte ha accolto il ricorso dei contribuenti su questo punto, basandosi su un principio di logica e coerenza. Se l’Agenzia delle Entrate qualifica un’operazione come inesistente, non può poi, contraddittoriamente, sostenere che da quella stessa operazione sia derivato un ricavo reale e quindi un reddito tassabile.

Un’operazione fittizia non sposta ricchezza e non può incrementare la capacità contributiva del soggetto, principio cardine del nostro sistema fiscale (Art. 53 della Costituzione). La tassazione di un provento fittizio si tradurrebbe in un prelievo su una ricchezza inesistente, violando tale principio.

La Corte ha inoltre richiamato la normativa sopravvenuta (l’art. 8 del D.L. n. 16/2012), che ha codificato proprio questa regola: i componenti positivi di reddito (ricavi) legati a operazioni inesistenti non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di mantenere una coerenza logica all’interno dell’ordinamento tributario. L’obbligo di versare l’IVA su fatture inesistenti risponde a una specifica esigenza di tutela del sistema IVA e di prevenzione delle frodi. È una sanzione impropria che prescinde dalla reale produzione di ricchezza.

Al contrario, le imposte sui redditi (IRPEF e IRAP) devono colpire unicamente la ricchezza effettiva. Affermare che un’operazione è inesistente significa negare che abbia prodotto un utile. Pertanto, il Fisco non può, per la stessa operazione, negare la deducibilità dei costi (se fosse l’acquirente a essere accertato) e allo stesso tempo pretendere la tassazione dei ricavi (come nel caso dell’emittente). L’operazione, se fittizia, lo è a tutti gli effetti, sia positivi che negativi, ai fini della determinazione del reddito.

Le conclusioni

La sentenza 9900/2024 della Corte di Cassazione offre un importante principio guida per imprese e professionisti. L’emissione di fatture inesistenti comporta conseguenze gravi e immediate ai fini IVA: l’imposta indicata va comunque versata. Tuttavia, la stessa operazione fittizia non può essere utilizzata dal Fisco per fondare una pretesa impositiva su redditi mai realmente prodotti. La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando il caso alla corte di merito per un nuovo esame limitatamente alla questione IRPEF e IRAP, che dovranno essere ricalcolate escludendo i proventi fittizi.

Perché chi emette una fattura per un’operazione inesistente deve comunque pagare l’IVA?
Perché la legge (art. 21, d.P.R. 633/1972) lo prevede espressamente per prevenire frodi. L’emissione della fattura crea di per sé il debito IVA per l’emittente, per evitare che il destinatario possa detrarre un’imposta che non è stata versata, causando un danno allo Stato.

Se un’operazione è inesistente, perché i ricavi indicati in fattura non sono tassabili ai fini IRPEF e IRAP?
Perché le imposte sui redditi devono colpire la capacità contributiva effettiva, cioè la ricchezza reale. Un’operazione che non è mai avvenuta non può generare un reddito reale. Tassare un provento fittizio sarebbe contrario al principio costituzionale della capacità contributiva, in quanto si tratterebbe di un prelievo su ricchezza inesistente.

Una nota di credito può annullare l’IVA dovuta su una fattura inesistente?
No. La sentenza chiarisce che la procedura di variazione tramite nota di credito (art. 26, d.P.R. 633/1972) è applicabile solo a operazioni reali che sono venute meno o sono state modificate. Non può essere utilizzata per rettificare un’operazione che era fittizia fin dall’inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati