Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9900 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
IRPEF IVA IRAP AVVISO ACCERTAMNTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23018/2014 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , elettivamente domicilia in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’ Avvocatura generale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA N. 1057/2014, depositata il 9 maggio 2014. udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 aprile 2024 dal consigliere NOME COGNOME; dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso; sentiti l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti e l’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME per l’RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore NOME COGNOME, unitamente allo stesso NOME COGNOME in proprio e ad NOME COGNOME, entrambi in qualità di soci, ricorrono, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE , che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe.
L’Ufficio , con un primo avviso di accertamento emesso nei confronti della società, rettificava, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett d) d.P.R. n. 600 del 1973 il reddito dichiarato recuperando a tassazione, ai fini Iva ed Irap un maggiore imponibile pari alla somma di euro 171.000,00. Detto importo risultava esposto nella nota di credito n. 2 del 29 giugno 2007 emessa dalla società a storno parziale della fattura n. 1 del 20 aprile 2007 relativa alla vendita di beni in favore della RAGIONE_SOCIALE fondamento del recupero fiscale l’Ufficio assumeva che la fattura, come la successiva nota di credito, fossero relative ad operazioni oggettivamente inesistenti . L’Ufficio emetteva, altresì, nei confronti dei due soci due avvisi di accertamento personali con i quali, ai fini Irpef, attribuiva loro per trasparenza il maggior reddito accertato nei confronti della società in proporzione alle rispettive quote ex art. 5 t.u.i.r
La RAGIONE_SOCIALE, innanzi alla quale i soci e la società impugnavano i tre atti impositivi, previa riunione, rigettava i ricorsi assumendo che sia nel
p.v.c. che nell’avviso di accertamento erano state fornite tutte le prove per suffragare la fittizietà della vendita; che i contribuenti non ne avevano provato l’esistenza; che il verbale relativo alla restituzione dei beni era privo di valenza.
La RAGIONE_SOCIALEtRAGIONE_SOCIALE rigettava l’appello dei contribuenti e confermava la sentenza di primo grado. Per quanto ancora di rilievo, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di riparto dell’onere della prova in caso di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, sosteneva che i contribuenti, su cui gravava il relativo onere , non avevano fornito la prova dell’esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni sottese alla fattura ed alla nota di credito contestate dall’Ufficio.
I ricorrenti, con istanza depositata il 20 giugno 2023, chiedevano la sospensione del processo, ai sensi dell’art. 1, commi da 186 e 197, legge 29 dicembre 2022, n. 197, al fine di presentare domanda di definizione agevolata del giudizio.
Con ordinanza interlocutoria n. 20423 del 2023 questa Corte sospendeva il processo sino al 10 ottobre 2023 e rinviava a nuovo ruolo.
Con successiva istanza l’RAGIONE_SOCIALE ha chiesto fissarsi l’udienza di discussione dando atto che i contribuenti non avevano presentato nei termini previsti dalla legge n. 197 del 2022, alcuna domanda di definizione agevolata.
La società contribuente ed il solo NOME COGNOME hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. allegando alla stessa sentenza di assoluzione resa dalla Corte di Appello di Bari.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i contribuenti denunciano , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.
Assumono, in primo luogo, che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe richiamato giurisprudenza non pertinente alla fattispecie oggetto di giudizio in quanto relativa all’utilizzo di a cquisto di fatture false mentre, nella specie, veniva in rilievo l’emissione di dette ultime. Fatta detta premessa, censurano la sentenza impugnata per aver illogicamente desunto che la fattura emessa fosse falsa. In particolare assumono che la RAGIONE_SOCIALE -anche a ritenere veri i fatti indiziari presi in considerazione -ha fatto non corretta applicazione del ragionamento presuntivo in quanto: 1) ha dato rilevanza ad un fatto -assenza di una sede operativa e di una struttura aziendale idonea a realizzare opere conformi a quanto previsto dall’oggetto sociale dell’acquirente -dal quale non poteva desumersi il fatto ignoto della fittizietà di una fattura che riguardava la vendita di mobili e suppellettili; 2) ha dato rilievo alla descrizione solo generica dei beni contenuta in fattura e priva di indicazioni -quali marca, matricola e moAVV_NOTAIO -non conferenti rispetto alla natura dei beni compravenduti; 3) ha dato rilievo alla mancata disponibilità dei beni nella sede della venditrice, sebbene il rappresentante legale, al momento della consegna del p.v.c., avesse evidenziato che questi fossero disponibili; 4) ha tratto, senza alcun nesso logico, la falsità della fattura dalla mancanza di inerenza dei beni com pravenduti con l’attività dell’ acquirente.
Con il secondo motivo denunciano , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione apparente ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Dopo aver rilevato che non è dato comprendere quale vantaggio avrebbero avuto le due società dall’operazione così come ricostruita dal Fisco, censurano la sentenza impugnata per non aver considerato una serie di fatti dai quali poteva trarsi che l’ operazione era reale, ovvero: A) il contratto di locazione stipulato dall’acquirente per la gestione di un palazzo con destinazione turistico-alberghiera; B) il pagamento
della fattura a mezzo due assegni; C) l’esistenza fisica dei beni restituiti.
Con il terzo motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., vizio di motivazione apparente e violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.
Assumono che la sentenza, per sostenere l’assunto che la nota di credito si riferiva ad operazioni inesistenti, ha motivato richiamando giurisprudenza priva di attinenza logica con il thema decidenum.
Con il quart o motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 90 Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
Assumono , ai soli fini dell’Iva, che, anche a seguire la ricostruzione dell’Ufficio, con l’emissione tempestiva della nota di credito era stata eliminata ogni possibilità di perdita del gettito fiscale.
Con il quinto motivo, in via subordinata, e per l’ipotesi di non condivisione del quarto motivo, chiedono la sospensione e rimessione della causa alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell’art. 267, comma 3, T.F.U.E. al fine di accertare la compatibilità con il diritto comunitario di un’ interpretazione che, a fronte di una fattura regolarmente registrata e in ragione della quale è stata versata l’Iva, ritenuta relativa ad operazioni inesistenti, ritenga che la successiva emissione di una nota di credito, a nch’essa registrata, possa essere disconosciuta dall’Amministrazione facendo emergere un debito per Iva inesistente
Con il sesto motivo, ai fini Irap per la società ed Irpef per i soci, denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 53 Cost.
Assumono i contribuenti che la sentenza, nel ritenere legittimo il recupero a tassazione dei componenti positivi di reddito di cui alla nota
di credito, viola i principi di capacità contributiva e di divieto di doppia imposizione. Rilevano che, ove fosse falsa la fattura di vendita lo sarebbe anche la successiva nota di credito; che, conseguentemente, l’Ufficio avrebbe dovuto riconoscere minori ricavi complessivi con conseguente riduzione del reddito complessivo e della base imponibile a fini Irap.
Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., tempestivamente depositata la società e NOME COGNOME hanno argomentato in ordine alla rilevanza in questo giudizio della sentenza irrevocabile di assoluzione di quest’ultimo per i medesimi fatti contestati in questa sede -sentenza n. 474 del 31 gennaio 2023 della Corte di Appello di Bari -allegata alla memoria.
Evidenziano che l’art. 20, comma 1, lett. a) legge 09 agosto 2023, n. 111 ha demandato al Governo il compito di adeguare l’ordinamento al principio per il quale nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale fanno stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi; aggiungono che il legislatore delegato ha dimostrato di voler dare piena attuazione, mediante l’approvazione in via preliminare, in data 21 febbraio 2024 da parte del Governo del Decreto legislativo sulla revisione del sistema sanzionatorio tributario. Per l’effetto, chiedono, in via principale, l’immediata applicazione del principio di cui alla delega in quanto fonte immediatamente produttiva di norme giuridiche e, in via subordinata, l’applicazione del la sentenza irrevocabile in forz a dell’esigenza di coordinamento tra procedimenti, imposta dal principio del ne bis in idem.
Deve premettersi, al fine di inquadrare la vicenda in esame, che l’operazione intercettata dall’Ufficio , in quanto qualificata come inesistente, consisteva nella vendita di beni (beni strumentali e
rimanenze) da parte della società contribuente nei confronti di una terza società a cui era seguita emissione di fattura e successiva emissione di nota di credito per parte dell’importo sull’assunto che parte della merce fossero stata restituita alla venditrice a seguito di contestazioni mosse dall’acquirente. L’Ufficio , pertanto, ha recuperato a tassazione l’importo di cui alla nota di credito assumendo l’inesistenza della vendita di cui alla precedente fattura, e di conseguenza della successiva restituzione sottesa alla detta nota.
8.1. Orbene, l’emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti comporta effetti sul piano fiscale sia per chi la emette sia per chi la riceve. Nella fattispecie in esame la contribuente è pacificamente il soggetto che ha emesso la fattura e la successiva nota di credito. Secondo la prospettazione dell’Ufficio, seguita dalla C.t.r., l’emissione di una fattura relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti non esclude la tassazione dell’imponibile da questa desumibile, restando irrilevante anche il successivo storno. Di qui la tassazione, ai fini Iva ed Irap, dell’importo di cui alla nota di credito, asseritamente restituito all’acquirente, ed il successivo recupero dell’Irpef in capo ai soci.
Il motivo aggiunto di cui alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ. è infondato.
9.1. In primo luogo va disattesa la richiesta di applicazione immediata dei principi di cui alla legge delega.
E’ chiara nell’ordinamento la distinzione tra disposizioni della legge delega che interessano il rapporto di delegazione legislativa e le disposizioni che, pur inserite nel medesimo testo legislativo, sono invece estranee a quest’ultimo, perché destinate a dettare una disciplina diretta e di immediata applicazione. Nella fattispecie in esame, gli stessi ricorrenti mettono in evidenza che la regolazione del rapporto tra processo penale e processo tributario è oggetto nella delega di affermazione di principi per i quali non può prescindersi dalla
applicazione in sede di decreti delegati che, allo stato, non risultano in vigore.
9.2. Quanto alla sua efficacia riflessa, va rammentato che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. 27/06/2019, n. 17258). Si è precisato, infatti, che in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta RAGIONE_SOCIALE parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio. (Cass. 24/11/2017, n. 28174).
9.3. Così chiarito, il valore che, astrattamente, la sentenza penale di assoluzione potrebbe avere nel presente giudizio, va preliminarmente rilevata l’inammissibilità della sua produzione.
Questa Corte, infatti, ha precisato quanto alla produzione RAGIONE_SOCIALE sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 378 cod. proc. civ., che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen. unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. 09/06/2023, n. 16413, Cass. 26/09/2017, n. 22376, Cass. 19/11/2010 n. 23483).
Il terzo motivo, da esaminarsi in via preliminare rispetto agli altri in quanto prospetta, in via esclusiva, un error in procedendo tale da determinare la nullità della sentenza impugnata, è infondato.
10.1. I contribuenti assumono che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe reso motivazione apparente in quanto, per sostenere la falsità della fattura e della nota di credito, avrebbe fatto riferimento ad una giurisprudenza relativa al diverso caso dell’utilizzo di fatture di acquisto per operazioni
inesistenti mentre nel caso di specie era la fattura emessa che l’Ufficio supponeva essere relativa a dette ultime.
10.2 La sentenza non incorre nel vizio denunciato. Deve rilevarsi, infatti, che la RAGIONE_SOCIALE ha esposto in maniera adeguata e nel rispetto del cd. minimo costituzionale le ragioni sottese alla ritenuta legittimità del recupero a tassazione di cui alla nota di credito.
In primo luogo, richiamando precedenti di questa Corte, la C.t.r. ha fissato il criterio di ripartizione tra le parti dell’onere probatorio precisando che, qualora l’Amministrazione proceda a recupero fiscale in ragione di operazioni ritenute inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere e che tale prova può essere data anche mediante presunzioni; che, se tale prova è raggiunta, spetta al contribuente provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni; che, pertanto, il giudice, ove ritenga che gli elementi indiziari forniti dall ‘Amministrazione s iano gravi precisi e concordanti, è chiamato a valutare la prova contraria. Di seguito, ha applicato alla fattispecie il principio enunciato, affermando che i contribuenti non avevano vinto la presunzione di inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni che, invece, si fondava sul l’assenza in capo all’acquirente di una sede operativa e di una struttura aziendale idonea a realizzare opere conformi a quant o previsto dall’oggetto sociale; sulla genericità della descrizione dei beni contenuta in fattura; sulla mancata disponibilità dei beni nella sede della venditrice; sulla mancanza di inerenza dei beni compravenduti con l’attività della acquirente.
11. Il primo motivo, se pure ammissibile, è infondato.
11.1. Va in primo luogo precisato che è ammissibile la denuncia in sede di legittimità della violazione di legge che si realizza quando il giudice del merito «abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cio è̀ , sotto la previsione dell’art. 2729 cod. civ., fatti privi dei caratteri legali, e
incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della fattispecie astratta, ma erroneamente applicata alla fattispecie concreta» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, in motivazione). Di qui l’infondatezza, in questi limitati termini, dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione.
11.2. Tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il ragionamento seguito dalla RAGIONE_SOCIALE.t.r. non è affetto da alcun errore logico di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta. La RAGIONE_SOCIALE.t.r., infatti, ha correttamente evidenziato gli elementi dai quali poteva desumersi che non vi fosse stata alcuna vendita (mancanza di una sede, mancanza di una struttura idonea a realizzare l’oggetto sociale, genericità RAGIONE_SOCIALE fattura, mancanza di inerenza dei beni acquistati all’oggetto sociale). Si tratta, inoltre, di elementi idonei a corroborare l’assunto secondo il quale la società acq uirente era una mera cartiera e l’operazione contestata era inesistente. Resta esclusa, pertanto, la scorretta applicazione da parte della C.t.r. RAGIONE_SOCIALE norme che presiedono alla prova presuntiva.
11.3. Il motivo, invece, è inammissibile nella parte in cui sollecita ad opera una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che vorrebbe demandarsi a questa Corte non è più l’analisi e l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme, bensì l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
E’ consolidato il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione AVV_NOTAIO stesso. Inoltre,
l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non richiede che egli dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato RAGIONE_SOCIALE prove lo deve stabilire il giudice di merito. Diversamente opinando, la stessa Corte, inevitabilmente, compirebbe un non consentito giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, Cass. 20/02/2024, n. 4583, Cass. 15/09/2022, n. 27250, Cass. 11/12/2023, n. 34374 Cass. 21/01/2015, n. 961).
12. Il secondo motivo è inammissibile.
12.1. Il ricorrente sussume il vizio ivi denunciato sia nel paradigma di cui a. n. 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. che nel paradigma di cui al n. 5, cod. proc. civ. facendo valere contestualmente una motivazione assolutamente apparente e l’omissione di fatti decisivi.
L’articolazione del motivo, tuttavia, è congrua solo con la fattispecie di cui al n. 5. Del resto, il vizio di motivazione, è oggetto del terzo motivo, come detto preliminare e già delibato nel precedente paragrafo al quale, pertanto, non può che farsi riferimento.
12.2. Quanto al dedotto omesso esame di fatti decisivi, questa Corte ha chiarito (cfr. Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437) che nell’ipotesi di «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di riget to dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430).
Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 2013, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. doppia conforme), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario.
13. Quanto agli ulteriori motivi, va preliminarmente disattesa l’ecce zione di inammissibilità per asserita novità RAGIONE_SOCIALE questioni trattate, sollevata dall’Ufficio. I motivi, infatti, si collocano nell’alveo de ll’origin aria impugnazione come descritta in ricorso (cfr. pag. 5 punto 5 ricorso per cassazione) ed attingono la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo il recupero dell’Iva, dell’Irap e
dell’Irpef in relazione ad un’operazione ritenuta oggettivamente inesistente.
14. Il quarto motivo è infondato.
14.1. L’ art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972 prevede espressamente che se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi RAGIONE_SOCIALE operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. La disposizione costituisce attuazione dell’art. 21, paragrafo 1, lett. c), della direttiva 77/388/CEE, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del COGNOME, del 16 dicembre 1991 al quale è subentrato l’art. 203 della direttiva 2006/112/CE a cui tenore chiunque indichi l’Iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta (Cass. 09/06/2014, n. 12995)
In particolare, tale soggetto è debitore dell’Iva indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta all’imposta ( v. Corte giustizia, 18/06/ 2009, Stadeco, C-566/07, punto 26; Corte giustizia, 31/01/2013, LVK-56 EOOD C-643/11, , punti 53-56; Corte giustizia 31/01/2013, C642/11, Stroy trans EOOD, punto 44). La stessa giurisprudenza della Corte Europea è ferma nel sottolineare che il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come un tentativo di frode fiscale e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni pecuniarie previste dal loro diritto nazionale (V. Corte giustizia 19/09/2000, C-454/98, COGNOME; nello stesso senso Cass. 22/10/2019, n. 26983, Cass. n. 12995 del 2014 cit.).
In sintonia con i principi sopra esposti, questa Corte ha avuto modo di affermare che l’art. 21, comma 7, cit. va interpretato nel senso che
il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato «fuori conto», e la relativa obbligazione, conseguentemente, isolata da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra Iva c.d. «a valle» ed «a monte») che presiede alla detrazione d’imposta di cui al l’art. 19 d.P.R. cit; ciò anche perché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto. Tale regola prevale, peraltro, su qualsiasi regime speciale o agevolativo (cfr. Cass. 12/03/2021, n. 6983, Cass. n. 26983 del 2019 cit.Cass. n. 12995 del 2014 cit.);
14.2. Quanto alla successiva nota di credito si è ritenuto che l’emittente di fatture fittizie non può giovarsi di quest’ultima per evitare il pagamento dell’Iva indebitamente fatturata perché la speciale procedura di variazione prevista dal l’art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972 presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel comm a 2 della norma stessa, sia un’ operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò proprio in forza dell’art. 21, comma 7 cit. che, da un lato, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con gli artt. 19, comma 1, e 26, comma 3, d.P.R. cit. anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (cfr. Cass. n. 12995 del 2014 cit.).
Pertanto, se la fattura si riferisce a un’operazione inesistente, non è consentita la variazione in diminuzione; conseguentemente, il cedente, o falso prestatore, deve sempre versare l’imposta esposta in fattura, mentre l’acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l’Iva per assenza del suo presupposto, ossia l’acquisto di beni o servizi acquistati nell’esercizio d’impresa, arte o professione (cfr. Cass. n. 26983 del 2019 cit.).
14.3. La RAGIONE_SOCIALE, nel ritenete dovuta l’Iva dalla società contribuente in ragione dell’emissione di una fattura inesistente anche sull’importo oggetto di successivo storno a mezzo di nota di credito, si è attenuta a questi principi.
15 . Alla luce di quanto sopra esposto va, altresì, disattesa l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di G iustizia in quanto che l’Iva sia dovuta anche in caso di emissione di fattura per un’operazione inesistente costituisce act clair.
Per giurisprudenza di questa Corte la parte non ha diritto all’automatico rinvio pregiudiziale ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cass., S.U., 08/07/2016, n. 14043), bastando che le ragioni siano espresse (Corte EDU, in caso NOME COGNOME e Rezabek c. Belgio), ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, in caso RAGIONE_SOCIALE c. Italia, § 36), ovverosia quando l’interpretazione della norma e del caso siano evidenti (Cass., S.U., 24/05/2007, n. 12067). Infatti, un organo giurisdizionale di ultima istanza non è tenuto a presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale (art. 267, terzo co., T.F.U.E.), qualora esista già una giurisprudenza consolidata in materia o qualora la corretta interpretazione della norma di diritto di cui trattasi non lasci spazio a nessun ragionevole dubbio (Raccomandazioni 2016. C. 439.01, § 6)(Cass. Sez. U., 19/06/2018, n. 16157, in motivazione, p.
5.5.; nello stesso senso, tra le tante, Cass. 20/12/2023, n. 35633, Cass. 07/06/2018, n. 14828; Cass. 16/06/2017, n. 15041, secondo cui il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché l’interpretazione sia auto -evidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale).
Anche la Corte costituzionale (sentenza n. 28 del 2010, in motivazione) ha ritenuto che sia da escludere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, non «necessario quando il significato della norma comunitaria sia evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia». Infine, secondo la Corte di giustizia (C. giust., 06/10/1983, RAGIONE_SOCIALE a., C283/81; C. giust., 05/04/2016, C-689/13, RAGIONE_SOCIALE. Nello stesso senso, cfr. C. giust., 28/07/2016, C-379/15, RAGIONE_SOCIALE; C. giust., 06/10/2021, C-561/19), viene meno l’obbligo di rinvio pregiudiziale allorquando la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea si imponga con una evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da fornire alla questio ne sollevata (c.d. teoria dell’ acte clair ).
16. Il sesto motivo è fondato.
16.1. I contribuenti contestano la ripresa a tassazione, anche ai fini Irap ed Irpef, dell’importo di cui alla nota di credito sebbene nella prospettazione dell’Ufficio l’operazione a monte fosse inesistente sicché, come tale non poteva dare origine a proventi.
16.2. Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 d.l. 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, sia in materia di accertamento dell’Iva, che RAGIONE_SOCIALE imposte dei redditi, qualora
l’Amministrazione, ritenendo fittizia, oggettivamente o soggettivamente, un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione; l’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, nè era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati
Tuttavia, l ‘art. 8, comma 2, d.l. cit. -costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3, a tenore del quale le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4bis , previgente anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli -ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi, non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese (Cass. 25/11/2020, n. 26790, Cass. 20/04/2016, n. 7896, Cass. 19/12/2014 n. 27040).
16.3. Tanto premesso, tenendo conto che nel caso di specie si discute della assoggettabilità alle imposte sui redditi ed all’Irap dei proventi conseguiti dai contribuenti attraverso l’emissione di fatture inesistenti, la sentenza impugnata non risulta aver fatto applicazione dei principi desumibili dai referenti normativi sopra richiamati, con riguardo alla specifica doglianza della incompatibilità logica esistente tra l’affermazione della natura fittizia RAGIONE_SOCIALE operazioni e la loro idoneità a produrre redditi effettivi in quanto tali assoggettabili a tassazione ai
fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette ed a concorrere al valore della produzione quanto all’Irap.
Ne consegue, in accoglimento del sesto motivo di ricorso, relativo esclusivamente all’Irpef ed all’Irap, disattesi tutti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigettati gli ulteriori; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 5 aprile 2024.