Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24496 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 2725/2024 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso (PEC: EMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, n. 4477/12/2023 depositata il 20.07.2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Salerno accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di pulizia
Oggetto: Tributi -Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti
generale non specializzata di edifici, avverso un avviso di accertamento, relativo ad IVA ed altro, per l’anno di imposta 2014, per la ritenuta indetraibilità dell’IVA addebitata alla contribuente con le fatture emesse dalle imprese individuali RAGIONE_SOCIALE COGNOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE COGNOME COGNOME , ritenute soggettivamente inesistenti;
con la sentenza indicata in epigrafe, la CGT-2 della Campania rigettava l’appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate e accoglieva quello incidentale proposto dalla contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che avendo l’ Amministrazione finanziaria contestato che le fatture attenevano ad operazioni soggettivamente inesistenti, incombeva sulla stessa l’onere di provare , anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore , ma anche la consapevolezza, da parte del destinatario, che l’operazione si inseriva in un’evasione di imposta ; nel caso di specie, non si rilevavano elementi oggettivi specifici tali da poter presumere che il contribuente fosse a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CGT-2 con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
la RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l’ unico motivo l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 7, d.P.R. 633/1972 e 1 lett. a) d.lgs. 74/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere i giudici di secondo grado ritenuto la buona fede del contribuente nell’esecuzione di operazioni soggettivamente inesistenti senza tener conto che in forza di elementi fattuali, immediatamente
percepibili dalla contribuente, avrebbe dovuto esservi la consapevolezza, da parte della stessa, che le operazioni si inserivano in un meccanismo evasivo;
preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, in quanto il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e consente a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass., Sez. U., 24 febbraio 1998, n. 1998);
peraltro, gli atti e i documenti richiamati nel ricorso sono stati sufficientemente localizzati e, comunque, nel corpo del ricorso ne è stato riportato il contenuto nelle parti essenziali;
-va disattesa anche l’ulteriore eccezione della controricorrente di inammissibilità del motivo, in quanto volto ad ottenere un ulteriore esame delle emergenze istruttorie, dato che la parte ricorrente lamenta, in realtà, la non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito del paradigma astratto delle citate disposizioni, laddove il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio non avesse assolto all’onere di prova su di esso gravante per contestare la inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate, oltre che la conoscenza o la conoscibilità della frode;
ciò posto, il motivo è fondato;
-la censura investe la questione della detraibilità dell’IVA nel caso di fatturazione per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti e riguarda sia l’oggetto della prova dell’inesistenza soggettiva di dette operazioni sia il riparto dell’onere probatorio tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente;
va ribadito che, nel caso di operazione soggettivamente inesistente l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426);
poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490);
-con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova
logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);
anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022);
il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame
delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022);
– in tema di evasione IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, questa Corte ha precisato che l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. n. 10120/2017; Cass. n. 35591 del 2023);
il giudice del gravame non ha seguito i principi sopra indicati, non avendo considerato il valore sintomatico degli elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo (e richiamati, in ossequio al principio di autosufficienza, nel ricorso), quali, a titolo meramente esemplificativo, per le fatture emesse nell’anno 2014 dall’impresa NOME COGNOME (evasore totale), la generica descrizione delle prestazioni fatturate (‘lavori di facchinaggio presso diversi stabilimenti di produzione per il periodo giugno -dicembre 2014 ‘), senza indicazione dei nominativi dei lavoratori impiegati, orari, retribuzione, ecc., e per le fatture emesse nell’anno 2014 per cessioni di merci dall’impresa RAGIONE_SOCIALE COGNOME LucaCOGNOME per un totale imponibile pari ad euro 326.941,00, la tardiva produzione del contratto di fornitura, la mancanza di dipendenti, di beni strumentali
e di autoveicoli commerciali, la mancata indicazione nelle fatture di indirizzo mail, numeri di telefono e fax;
a tale proposito occorre altresì considerare che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di IVA, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, quindi, idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate (Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10), sebbene il contribuente possa integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010);
colui che chiede la detrazione dell’IVA, pertanto, ha l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, quindi, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta; le indicazioni richieste dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 rispondono ad una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione, da indicarsi specificandone natura, qualità e quantità, e, di conseguenza, a permettere l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 21980/2015);
questo collegio intende dare continuità al richiamato orientamento, anche recentemente confermato ( ex multis , Cass. n. 18208/2021; n. 3225/2025 ), conforme, per quanto riguarda, in particolare, l’IVA, alla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, COGNOME RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Aduaneira ), secondo la quale la
normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi, al fine di consentire alle Amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA;
-pertanto, il contribuente che chiede la detrazione dell’Iva ha l’onere di dimostrare che sono state soddisfatte le relative condizioni e, di conseguenza, anche di fornire elementi integrativi rispetto alle fatture che l’Ufficio ritenga necessari ai fini della valutazione della richiesta (Cass. n. 3225/2025 cit.);
-la CTR si è limitata ad affermare che gli elementi forniti dall’Amministrazione non dimostravano l’interposizione fittizia del cedente rispetto ad altri soggetti non individuati, finalizzata alla frode fiscale e, tantomeno, la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario, evidenziando, per quanto riguarda l’impresa RAGIONE_SOCIALE, la avvenuta produzione in appello del contratto di fornitura stipulato con la contribuente, la consegna dei prodotti presso la sede a mezzo di terzi trasportatori, la cessione a prezzi di mercato e i pagamenti effettuati tramite bonifici bancari, e per l’impresa COGNOME la mancanza di elementi fattuali immediatamente percepibili dal contribuente come idonei a dimostrare la sua consapevolezza circa l’inserimento dell’operazione in un meccanismo fraudolento; in tal modo, tuttavia, il giudice di appello ha alterato le regole di ripartizione dell’onere probatorio gravanti sulle parti, in quanto non ha analizzato, in concreto, gli elementi indicati dall’Amministrazione, confrontandoli poi con quelli prodotti dalla contribuente;
– in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza va cassata, con rinvio, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 giugno 2025.