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Fatture inesistenti: onere della prova per l’IVA

Una società si vedeva contestare la deducibilità di costi e la detrazione IVA per fatture relative a operazioni ritenute oggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22490/2025, ha stabilito che, a fronte di un quadro indiziario grave, preciso e concordante fornito dall’Amministrazione Finanziaria, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione, non essendo sufficienti la fattura e la prova del pagamento. La buona fede è irrilevante in caso di inesistenza oggettiva.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: L’Onere della Prova Ricade sul Contribuente

Il tema delle fatture inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per le imprese, con pesanti conseguenze in termini di sanzioni, recupero di imposte e risvolti penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22490/2025) torna a fare chiarezza su un punto cruciale: l’onere della prova. La Corte ha ribadito che, di fronte a un solido quadro indiziario presentato dall’Amministrazione Finanziaria, spetta al contribuente dimostrare con prove concrete che l’operazione fatturata sia realmente avvenuta. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati.

I Fatti di Causa: Un Accertamento per Costi Indebiti

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società per l’anno d’imposta 2013. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi e la detrazione dell’IVA relative a fatture emesse da un’impresa individuale per presunte attività di consulenza. Secondo l’Ufficio, si trattava di operazioni oggettivamente inesistenti.

Inizialmente, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società, ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito prove sufficienti della fittizietà delle operazioni. I giudici di merito avevano dato peso all’esistenza dei pagamenti e a una relazione tecnica che attestava lo svolgimento del lavoro prevalentemente da remoto.

Il Ricorso in Cassazione e le Prove dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione di secondo grado, sostenendo che i giudici avessero ignorato un quadro indiziario solido e convergente. Tra gli elementi portati a sostegno della tesi delle fatture inesistenti figuravano:

* La sistematica retrocessione delle somme pagate, desumibile da prelievi in contanti effettuati dal fornitore subito dopo aver incassato i bonifici.
* L’assenza di una struttura operativa e di dipendenti da parte dell’impresa emittente.
* La mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte del fornitore.
* L’assenza di investimenti o spese significative che potessero giustificare un’attività economica reale.
* La genericità delle prestazioni descritte in fattura.

Secondo l’Agenzia, i giudici di merito avevano erroneamente parcellizzato questi indizi e si erano concentrati sull’assenza di prova della ‘consapevolezza’ della società circa la condotta illecita del fornitore, un aspetto irrilevante in caso di inesistenza oggettiva.

Onere della Prova per le Fatture Inesistenti: La Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza e rinviando il caso a un nuovo esame. Il principio di diritto ribadito è fondamentale: in materia di fatture inesistenti, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio fornendo elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, la palla passa al contribuente.

È il contribuente a dover dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione. A tal fine, non è sufficiente esibire la fattura o la prova del relativo pagamento (come un bonifico bancario). Questi elementi formali, infatti, sono spesso creati ad arte proprio per dare una parvenza di realtà a un’operazione fittizia.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha specificato che il giudice di merito ha commesso due errori principali. Il primo è stato quello di analizzare gli indizi in modo frammentato, senza valutarli nel loro insieme. Il secondo, e più grave, è stato confondere il piano dell’inesistenza oggettiva con quello della consapevolezza del contribuente. Quando un’operazione non è mai avvenuta (inesistenza oggettiva), la buona o mala fede di chi riceve la fattura è del tutto irrilevante ai fini della deducibilità del costo e della detraibilità dell’IVA. Se il servizio non è stato reso o il bene non è stato consegnato, semplicemente non esiste il presupposto per il riconoscimento fiscale del costo e dell’imposta.

Conclusioni

La decisione in esame rafforza un principio cardine per la gestione fiscale e la compliance aziendale. Per le imprese, la lezione è chiara: non basta pagare una fattura per essere al sicuro. È indispensabile dotarsi di tutta la documentazione idonea a provare l’effettività della prestazione ricevuta (contratti dettagliati, report sull’attività svolta, documentazione di trasporto, stati di avanzamento lavori, etc.). L’onere della prova, in caso di contestazione, ricade in ultima istanza sull’azienda, che deve essere in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la realtà e la concretezza delle operazioni economiche che pone alla base delle proprie dichiarazioni fiscali.

In caso di contestazione per fatture inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere iniziale di fornire indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano la non esistenza dell’operazione. Una volta fornito questo quadro probatorio, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare con prove concrete l’effettiva esecuzione della prestazione o la consegna del bene.

È sufficiente esibire la fattura e la prova del pagamento per dedurre il costo e detrarre l’IVA?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura e la dimostrazione della regolarità dei pagamenti non sono sufficienti a provare l’esistenza dell’operazione, poiché questi elementi sono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

La buona fede del contribuente è rilevante in caso di operazioni oggettivamente inesistenti?
No. La sentenza chiarisce che, quando la contestazione riguarda operazioni oggettivamente inesistenti (cioè mai avvenute), la buona fede del contribuente è irrilevante. Una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile una buona fede, poiché il contribuente sa se ha effettivamente ricevuto o meno il bene o la prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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