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Fatture inesistenti: onere della prova per le aziende

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in caso di contestazione di costi derivanti da fatture inesistenti. L’Amministrazione finanziaria deve fornire prove, anche solo indiziarie, della fittizietà dell’operazione. A quel punto, spetta al contribuente fornire una prova rigorosa del contrario, che non può limitarsi alla sola esibizione della fattura o delle scritture contabili. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente posto a carico dell’Agenzia fiscale l’onere di una prova incontrovertibile.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: Chi Deve Provare Cosa? La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

L’utilizzo di fatture inesistenti è una delle pratiche fraudolente più contestate in ambito fiscale, poiché consente di abbattere illegittimamente il reddito imponibile e l’IVA dovuta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, delineando con precisione i confini dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Comprendere chi deve dimostrare cosa è fondamentale per ogni impresa che si trova a gestire costi, specialmente quelli legati a servizi immateriali come le sponsorizzazioni.

Il caso: costi di sponsorizzazione e il sospetto di fatture fittizie

Il caso esaminato ha origine da un accertamento fiscale nei confronti di una società di carburanti. L’Agenzia fiscale aveva contestato la deduzione di costi e la detrazione dell’IVA relative a fatture emesse da due associazioni sportive dilettantistiche (ASD) per presunte prestazioni di sponsorizzazione. Secondo l’Amministrazione, tali operazioni erano oggettivamente inesistenti.

Nonostante l’assenza di un contratto scritto di sponsorizzazione, la società era stata invitata a documentare analiticamente le prestazioni ricevute. Mentre i costi per una delle due ASD sembravano giustificati, per l’altra l’Agenzia riteneva che l’azienda non avesse fornito prove adeguate a dimostrare l’effettiva erogazione dei servizi di sponsorizzazione. Di conseguenza, le fatture erano state considerate emesse per operazioni inesistenti, con conseguente recupero fiscale anche a carico dei soci della società a ristretta base sociale.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società e ai suoi soci. Tuttavia, l’Agenzia fiscale ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nell’applicare le regole sull’onere della prova.

La ripartizione dell’onere probatorio per le fatture inesistenti

Il punto centrale della decisione della Suprema Corte riguarda l’inversione dell’onere della prova. La Corte ha ribadito un principio consolidato: quando l’Amministrazione finanziaria contesta la deducibilità di costi derivanti da fatture inesistenti, essa ha il compito di fornire elementi di prova, anche solo indiziari, che facciano dubitare della veridicità dell’operazione.

Questi indizi possono includere, ad esempio, l’assenza di una struttura adeguata da parte del fornitore, la mancanza di documentazione che attesti l’effettiva esecuzione della prestazione, o altre anomalie. Una volta che l’Ufficio ha fornito questa prova presuntiva, l’onere si sposta interamente sul contribuente. A quest’ultimo spetta il compito di fornire una “prova rigorosa” del contrario, dimostrando cioè che l’operazione è reale e che il costo è stato effettivamente sostenuto per una prestazione inerente all’attività d’impresa.

Le motivazioni della Corte Suprema

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza precedente con rinvio a un nuovo esame. I giudici supremi hanno evidenziato come la Commissione Tributaria Regionale avesse commesso un errore fondamentale: aveva imposto all’Agenzia l’onere di fornire una “prova incontrovertibile” dell’inesistenza delle operazioni, alleggerendo indebitamente la posizione del contribuente.

Secondo la Corte, i giudici d’appello si erano limitati a una valutazione superficiale, senza analizzare nel dettaglio gli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria e ritenendo sufficienti le giustificazioni generiche della società. In particolare, la Corte ha sottolineato che, in tema di operazioni fittizie, non basta esibire la fattura o dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti. Questi elementi, infatti, sono facilmente falsificabili e sono proprio gli strumenti tipicamente utilizzati per creare l’apparenza di una transazione reale.

I giudici di merito, pur rilevando che le giustificazioni sulle fatture per la fornitura di abbigliamento sportivo non erano “del tutto convincenti” e che era difficile stabilire l'”effettività” e l'”inerenza” dei costi di sponsorizzazione, avevano comunque annullato l’atto impositivo. Questo approccio, secondo la Cassazione, è errato e viola le regole sulla ripartizione dell’onere probatorio.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

La decisione della Cassazione rafforza un messaggio chiaro per le imprese: la documentazione formale non è sufficiente a proteggersi da contestazioni fiscali sulla realtà delle operazioni. Quando si sostengono costi, specialmente per servizi immateriali come consulenze, pubblicità o sponsorizzazioni, è essenziale raccogliere e conservare prove concrete dell’effettiva esecuzione della prestazione.

Questo significa andare oltre la fattura e il pagamento, documentando l’attività svolta con contratti dettagliati, report, fotografie, corrispondenza, materiale pubblicitario prodotto e qualsiasi altro elemento in grado di dimostrare, senza ombra di dubbio, che a quel costo è corrisposta una prestazione reale, effettiva e utile all’attività d’impresa. In caso di accertamento per fatture inesistenti, il Fisco dovrà solo presentare degli indizi, mentre la prova più difficile, quella della realtà dell’operazione, graverà interamente sulle spalle dell’azienda.

In caso di accertamento per fatture inesistenti, chi ha l’onere della prova?
Inizialmente, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di fornire elementi, anche solo indiziari, che dimostrino la fittizietà dell’operazione. Successivamente, l’onere si sposta sul contribuente, che deve fornire la prova rigorosa della realtà e dell’inerenza dell’operazione contestata.

È sufficiente esibire la fattura e la registrazione contabile per dimostrare la realtà di un’operazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera esibizione della fattura o la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non sono sufficienti a provare la realtà dell’operazione, poiché tali elementi sono facilmente falsificabili e tipicamente usati per simulare operazioni fittizie.

Cosa deve fare l’Amministrazione finanziaria per contestare la deducibilità di un costo per operazione inesistente?
L’Amministrazione finanziaria non deve fornire una prova piena e incontrovertibile dell’inesistenza. È sufficiente che dimostri, attraverso prove dirette o indiziarie (presunzioni), l’oggettiva fittizietà dell’operazione e, se del caso, la consapevolezza del destinatario della fattura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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