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Fatture inesistenti: onere della prova per l’Agenzia

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22300/2025, ha annullato una decisione di merito che aveva dato ragione a un’azienda accusata di utilizzare fatture inesistenti. La Corte ha chiarito che spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti per dimostrare la fittizietà delle operazioni, come l’assenza di una struttura operativa del fornitore. Una volta fornita tale prova, l’onere di dimostrare l’effettività della transazione passa al contribuente, senza che l’Amministrazione debba provare anche la sua malafede. La sentenza di merito è stata cassata per non aver correttamente valutato gli indizi nel loro complesso.

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Pubblicato il 20 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: la Cassazione chiarisce l’Onere della Prova

Con una recente e significativa ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la gestione delle fatture inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione ribadisce principi consolidati e offre chiarimenti fondamentali per le aziende che rischiano di essere coinvolte, anche inconsapevolmente, in complesse frodi fiscali come le ‘frodi carosello’. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

Il Caso: una Presunta Frode IVA e l’Appello del Contribuente

La vicenda trae origine da una verifica fiscale nei confronti di una società operante nel commercio di elettronica. L’Amministrazione Finanziaria contestava alla società l’utilizzo, ai fini della detrazione IVA e della deduzione dei costi, di fatture emesse da un’altra azienda qualificata come missing trader. Secondo la ricostruzione dell’Ufficio, le operazioni erano fittizie e si inserivano in una più ampia frode carosello in cui la società contribuente avrebbe agito con il ruolo di buffer (cuscinetto).

Nonostante il ricorso della società fosse stato respinto in primo grado, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello. I giudici di merito ritenevano che le prove presuntive fornite dall’Amministrazione non fossero sufficienti a dimostrare la fittizietà delle operazioni, valorizzando invece gli elementi portati dal contribuente, come i documenti di trasporto e i pagamenti tracciabili, e riconoscendo la sua buona fede. L’Amministrazione Finanziaria, insoddisfatta, proponeva quindi ricorso per Cassazione.

L’Onere della Prova nelle Fatture Inesistenti secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza di secondo grado con rinvio. Il cuore della decisione risiede nella scorretta applicazione, da parte dei giudici d’appello, delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova in materia di fatture inesistenti.

La Cassazione ha chiarito che, per contestare la detrazione IVA e la deducibilità dei costi, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare l’inesistenza dell’operazione. Tuttavia, questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Tra gli elementi indiziari più rilevanti vi è la dimostrazione che la società emittente è una ‘cartiera’, ovvero un soggetto privo di una reale struttura organizzativa (locali, personale, mezzi, magazzini) idonea a realizzare l’operazione fatturata.

L’errore del Giudice di Merito

Il giudice di secondo grado, secondo la Cassazione, ha commesso un duplice errore:

1. Svalutazione acritica degli indizi: Ha illegittimamente ignorato o sminuito il valore probatorio degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione, come l’irreperibilità della società fornitrice, l’assenza di personale e magazzini e altre anomalie.
2. Inversione dell’onere probatorio: Ha erroneamente richiesto all’Ufficio di provare anche la consapevolezza della frode da parte della società acquirente. La Corte ha ribadito che, una volta provata l’oggettiva inesistenza dell’operazione, la buona fede del contribuente non può essere presunta, poiché egli è l’unico a poter sapere se ha effettivamente ricevuto un bene o una prestazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ribadito che, di fronte a un quadro indiziario solido presentato dall’Amministrazione, spetta al contribuente fornire la prova contraria dell’effettiva esistenza della transazione. Questa prova non può limitarsi alla mera esibizione della fattura e dei documenti di pagamento, poiché tali elementi formali sono spesso utilizzati proprio per mascherare l’operazione fittizia. Il contribuente deve dimostrare concretamente che la merce è stata consegnata o il servizio è stato reso.

Un altro punto fondamentale toccato dai Giudici di legittimità è la necessità di una valutazione complessiva e non ‘atomistica’ degli indizi. Il giudice di merito non può esaminare ogni singolo indizio in modo isolato, ma deve considerarli nel loro insieme per verificare se, combinati tra loro, acquisiscono la forza di una prova presuntiva valida. Nel caso di specie, la Corte di secondo grado aveva omesso questa valutazione d’insieme, fallendo nel suo compito di analizzare correttamente il quadro probatorio.

Conclusioni

La sentenza rafforza un orientamento rigoroso nella lotta alle frodi IVA. Le aziende sono chiamate a un livello sempre più alto di diligenza nei rapporti commerciali. La mancanza di una struttura operativa adeguata da parte di un fornitore rappresenta un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Questa pronuncia chiarisce in modo inequivocabile che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha costruito un quadro indiziario solido sull’inesistenza delle operazioni, l’onere di dimostrare il contrario ricade interamente sul contribuente, rendendo molto difficile invocare la semplice ‘buona fede’. La decisione, quindi, serve da monito per tutte le imprese: la regolarità formale dei documenti non è sufficiente a proteggere da contestazioni fiscali quando la sostanza economica dell’operazione è messa in discussione da validi elementi presuntivi.

Chi deve provare che le fatture sono false in un contenzioso tributario?
Inizialmente, l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria. Essa deve fornire elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti che dimostrino l’inesistenza delle operazioni fatturate. Una volta che l’Amministrazione ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente, che deve provare l’effettiva esistenza della transazione.

Quali prove può usare l’Amministrazione Finanziaria per dimostrare l’inesistenza delle operazioni?
L’Amministrazione può utilizzare presunzioni semplici, basate su indizi quali la mancanza di una idonea struttura organizzativa (personale, magazzini, mezzi) da parte della società fornitrice, l’irreperibilità della sua sede, l’antieconomicità delle transazioni, l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte del fornitore o il suo status di ‘società cartiera’.

L’azienda che riceve la fattura deve dimostrare la sua buona fede se l’operazione è inesistente?
No. Secondo la Corte, se l’operazione è oggettivamente inesistente (cioè il bene non è mai stato consegnato o il servizio reso), non è configurabile la buona fede del destinatario della fattura. L’Amministrazione Finanziaria non ha l’onere di dimostrare la malafede o la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente; una volta provata la fittizietà dell’operazione, la detrazione dell’IVA e la deduzione del costo sono indebite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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