Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7972 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Operazioni oggettivamente Relatore: COGNOME NOME
inesistenti
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7972 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 16704 del ruolo generale dell’anno 20 18, proposto Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliata presso
lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME COGNOME, sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 109/12/2018, depositata in data 10 gennaio 2018, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 marzo 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a dieci motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale della Sicilia aveva accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 6155/04/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente attività di fabbricazione di apparecchiature di controllo elettrico, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F. di Bagheria aveva contestato, per il 2010 , l’indebita deduzione di costi, ai fini Ires e Irap e detrazione ai fini Iva: 1) relativi ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti (fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE); 2) non inerenti ( fatture per acquisto di autoricambi dalle quali non si evincevano gli estremi dell’autom ezzo di riferimento); 3) rappresentati da sanzioni e interessi relativi a precedenti cartelle di pagamento.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che:1) andava accolta la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 avendo l’atto impositivo e il richiamato p.v.c. fatto riferimento ad alcuni elementi assunti presso un fornitore (RAGIONE_SOCIALE di Todaro RAGIONE_SOCIALE) della società appellante che non risultavano essere stati portati a conoscenza della stessa; 1) era fondata la censura di violazione degli artt. 12, comma 2, della legge n. 212/2000, 33,
comma 1, del d.P.R. n. 600/73, 52, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, non essendo state ben esplicitate nell’autorizzazione rilasciata dal Comandante della G.d.F. di Bagheria le ragioni della disposta verifica presso la sede di RAGIONE_SOCIALE a socio unico; 2) era fondato il motivo di appello di violazione degli artt. 7 della legge 212/2000 e 42 del d.P.R. n. 600/73 avendo l’Ufficio richiamato nell’atto impositivo acriticamente il p.v.c. trasfondendovi i rilievi ivi formulati (fondando le proprie contestazioni con riguardo alla fattura 86/2010 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE sulla presunzione della inesistenza delle operazioni in essa riportate e con riguardo alla indeducibilità delle somme riguardanti i sottoconti ‘sopravvenienze passive da cartelle’ e ‘sanzioni e interessi’ sull’assunto indimostrato della confluenza nei predetti conti, senza distinzione alcuna, di interessi e sanzioni); 3)quanto alla contestata inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE di Todaro, nessuna disposizione imponeva ai cessionari (peraltro abituali), purché in buona fede, di verificare la posizione Iva dei soggetti cedenti, e, nella specie, l’Amministrazione non aveva addotto prove contrarie o situazioni di malafede; 4)quanto alla contestata inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE, lo spazio pubblicitario messo a disposizione di RAGIONE_SOCIALE risultava essere stato regolarmente pagato a mezzo assegno bancario né l’Amministrazione aveva addotto ele menti tali da fare dubitare della effettiva effettuazione del servizio; 5) quanto alla contestata deducibilità delle spese riguardanti l’acquisto di autoricambi, ne ssuna disposizione imponeva l’indicazione in fattura degli elementi identificativi del veicolo al quale l’autoricambio era destinato e risultava documentalmente dimostrato che la società disponeva di automezzi regolarmente annotati nel registro dei beni ammortizzabili; 6)quanto alla deducibilità dal reddito di impresa di interessi e sanzioni risultanti da cartelle di pagamento, nessuna disposizione prevedeva l’indeducibilità di sanzioni ai fini della determinazione del reddito di impresa nonché di interessi atteso che il testo dell’art. 96, terzo comma, del d.PR n. 917 del 1986 non ricomprendeva gli interessi passivi scaturenti da cartelle di pagamento; 7) a prescindere dalle argomentazioni di cui sopra attinenti il merito, premesso che il GUP presso il Tribunale di Palermo aveva emesso sentenza n.
1010/2015 di non luogo a procedere (perché il fatto non sussisteva) per i medesimi fatti nei confronti del legale rappresentante (NOME COGNOME) della società, e che, per il principio del c.d. doppio binario, l’imputato assolto in sede penale anche con formula piena (per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussisteva) poteva essere ritenuto fiscalmente responsabile nel caso di atto impositivo fondato su validi indizi, nella fattispecie in esame ‘non erano emersi elementi (indizi) che potevano deporre in direzione di una pronuncia di rigetto delle doglianze di parte contribuente ‘.
Resiste la società contribuente con controricorso, illustrato con successiva memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR ritenuto fondato il motivo di censura inerente l’assunto vizio di motivazione dell’atto impositivo non essendo stati gli elementi – assunti presso un fornitore (RAGIONE_SOCIALE di Todaro Renato) della società appellante -cui si faceva riferimento nello stesso e nel richiamato ( per relationem ) p.v.c., portati a conoscenza della società medesima, senza indicare quali fossero gli elementi presupposti non conosciuti e, dunque, le ragioni sottese alla relativa statuizione.
1.1.Il motivo è infondato.
1.2. La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758, Sez. 5, Ordinanza n. 6044 del 2024). Nella specie, la CTR ha ritenuto chiaramente affetto l’avviso di accertamento in questione anche da vizio motivazionale atteso
che in esso e nel richiamato p.v.c. si faceva riferimento ‘ ad elementi assunti presso un fornitore (RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Renato) della società appellante che non risultavano portati a conoscenza della stessa parte appellante ‘.
2. Con il secondo motivo si denuncia, si denuncia, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212/2000 e 42 del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR ritenuto l’illegittimità dell’avviso in questione per difetto de lla motivazione avendo l’Ufficio fatto riferimento in essa e nel p.v.c. richiamato ( per relationem ) ad elementi assunti presso un fornitore (RAGIONE_SOCIALE di Todaro Renato) non portati a conoscenza della società; ciò sebbene il richiamato p.v.c. fosse stato consegnato alla società contribuente nonché riprodotto nel contenuto essenziale nell’avviso e nel p.v.c. fossero stati indicati gli elementi indiziari assunti, in particolare, presso la ditta assunta fornitrice ‘RAGIONE_SOCIALE di Todaro Renato’ circa l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
2.1.Il motivo è fondato.
2.2.In tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'” an ” ed il ” quantum debeatur “, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (cfr., ex multis, Cass. n. 27800 del 2019). Costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale «nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto
essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (così Cass. n. 6914 del 25/03/2011; conf. Cass. Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017; si veda anche Cass. n. 21066 del 11/09/2017; n. 1134 del 20 gennaio 2020); va altresì ricordato che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, va inteso in necessaria correlazione con la finalità «integrativa» delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241; il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore «narrativo»), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., 10 febbraio 2016, n. 2614; Cass., 16 maggio 2012, n. 7654; Cass. n. 10721 del 2024).
2.3.Nella sentenza impugnata il giudice di appello non si è attenuto ai suddetti principi nel ritenere sostanzialmente illegittimo l’avviso de quo per vizio motivazionale atteso che in esso e nel richiamato p.v.c. si faceva riferimento ad
ad ‘ elementi assunti presso un fornitore della società appellante che non risultavano portati a conoscenza della stessa parte appellante ‘; invero, nella specie, in ricorso (pagg.7 -8), si evince l’avvenuta consegna alla contribuente del p.v.c. della G.d.F. in esso richiamato per relationem (‘ visto il processo verbale di constatazione che qui s’intende integralmente riportato per relationem .. per averne la parte ricevuto e sottoscritto copia ‘) nonché, peraltro, la riprodu zione in esso degli elementi essenziali dell’atto richiamato con riguardo (per quanto qui di interesse) agli elementi indiziari concernenti l’assunto utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti acquisiti presso un fornitore della società (‘ dal controllo documentale è emerso che nel 2009 e nel 2010 tra i fornitori della CEIF figurava la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Renato, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di materie da costruzione, a carico della quale il Reparto della Guardia di Finanza aveva intrapreso una verifica fiscale conclusasi con la contestazione di violazioni fiscalmente e penalmente rilevanti tra le quali occultamento di documenti contabili ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. In base alle considerazioni dettagliatamente esposte a pag. 28 e 29 del p.v.c. che qui si richiamano integralmente -ad esempio che la ditta aveva cessato l’attività il 31.12.2007 e non aveva mai commercializzato le merci indicate nelle fatture emesse nei confronti della CEIF- i militari hanno ritenuto che tali fatture fossero relative ad operazioni oggettivamente inesistenti ‘).
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 12 della legge n. 212/2000, 33 del d.P.R. n. 600/73 e 52 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR accolto il motivo di appello della società circa l’illegittimità dell’atto impositivo per mancata esplicitazione nell’autorizzazione rilasciata dal Comandante della G.d.F. di Bagheria delle ragioni della verifica dei militari presso la sede della società sebbene 1) nell’autorizzazione fossero chiaramente indicati i periodi di imposta, lo scopo e l’oggetto cui si riferiva la verifica; 2) l’eventuale esorbitanza rispetto all’oggetto dell’autorizzazione non rendesse inutilizzabili i dati raccolti nel corso della verifica.
3.1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c. avendo l’Agenzia articolato puntualmente la censura in termini di violazione di legge (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) individuando chiaramente la questione di diritto posta.
3.2.Il motivo è fondato.
3.3.Questa Corte ha già precisato che: «In tema di accertamenti tributari, qualora la Guardia di Finanza operi nell’esercizio di poteri di polizia giudiziaria, non è necessaria l’autorizzazione del comandante di zona, prevista dall’art. 33, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 51, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, la cui assenza, peraltro, anche nelle ipotesi di esercizio dei poteri di polizia tributaria, non comporta necessariamente, mancando una specifica previsione in tal senso, l’invalidità dell’atto compiuto, salvo il coinvolgimento di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio» (Cass., 26 maggio 2017, n. 13421, richiamata anche dalla difesa erariale) ed ancora che «L’acquisizione irrituale da parte della Guardia di Finanza di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso, non trovando applicazione, trattandosi di attività di carattere amministrativo, l’art. 24 Cost. sulla tutela del diritto di difesa, salva l’ipotesi in cui vengano in rilievo diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio» (Cass., 13 novembre 2018, n. 29132; Sez. 5, Ordinanza n. 9733 del 2024).
3.4.Inoltre, «In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, primo e secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) non è necessaria nel caso in cui l’accesso riguardi i locali in cui si svolgono le attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, ed è invece necessaria nel caso in cui il suddetto accesso riguardi locali adibiti «anche ad abitazione» del contribuente (ipotesi
contemplata dal primo comma), ovvero locali «diversi», e quindi destinati esclusivamente ad abitazione e le due ipotesi presentano presupposti diversi, solo nel secondo caso richiedendosi la sussistenza di gravi indizi di violazioni (Cass., 5 febbraio 2007, n. 2444; Sez. 5, Ordinanza n. 9733 del 2024).
3.5.E’ stato, altresì, precisato che ‘ai sensi dell’art. 35 della l. n. 4 del 1929, la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai di pendenti civili dell’Amministrazione finanziaria’ (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17525 del 28/06/2019).
3.6. Posto quanto sopra, e considerato, peraltro, che, nella specie, dal provvedimento di autorizzazione del Comandante della G.d.F. di Bagheriariprodotto in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza- si evincevano chiaramente i periodi di imposta, lo scopo e l’oggetto cui si riferiva la verifica, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere illegittimo l’avviso di accertamento in questione per una asserita mancata esplicitazione nell’autorizzazione del Comandante della Guardia d i Finanza di Bagheria delle motivazioni che avevano indotto i militari a disporre la verifica fiscale presso la sede della società contribuente.
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212/2000, 42 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto- in accoglimento del terzo motivo di appellol’insufficiente motivazione dell’avviso in questione, essendosi l’Ufficio limitato a trasfondere acriticamente in esso i rilievi contenuti nel p.v.c. sebbene la motivazione dell’atto impositivo ben potesse confermare le risultanze del presupposto p.v.c. , tanto più, nella specie, consegnato alla società e il cui contenuto essenziale, con riguardo alle riprese effettuate ( costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti, non inerenti
e costi rappresentati da sanzioni ed interessi relativi a precedenti cartelle di pagamento) era stato, comunque, riprodotto nell’avviso medesimo.
4.1.Il motivo è fondato.
4.2. Richiamati i principi già ricordati nell’esame del secondo motivo (punto n.2.2), questa Corte ha, altresì, affermato che la motivazione ” per relationem ” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr., ex multis, Cass. n. 32957 del 2018; Cass. sez. 5, ord. Sez. 5, Ordinanza n. 28135 del 2023). Tale motivazione è quindi sufficiente ad individuare la causa giustificativa del recupero a tassazione in relazione al contenuto dell’atto richiamato ed a porre il contribuente in grado di adeguatamente spiegare le proprie difese, sia negando i fatti costitutivi della pretesa fiscale, sia contrastando le risultanze dell’atto impositivo mediante acquisizione di ulteriore documentazione e di altri elementi probatori idonei a dimostrare la insussistenza della pretesa fiscale, dovendosi, al riguardo, distinguere nettamente la questione relativa all’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale “requisito formale di validità” dell’avviso di accertamento (art. 7 della legge n. 212/2000), dalla questione attinente, invece, alla indicazione ed effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (Cass. 17/1/1997, n. 459; n. 5/6/1998 n. 5544), che non è richiesta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo e che rimane disciplinata dalle regole processuali proprie della istruzione probatoria che trovano applicazione nello svolgimento del giudizio introdotto dal contribuente con il ricorso di opposizione all’atto impositivo (Cass. n. 8399 del 5/4/2013; Cass. n. 32957 del 20/12/2018 e, più recentemente, Cass. n. 19984 del 2023; Sez. 5, Ordinanza n. 28135 del 2023).
4.3.Nella sentenza impugnata la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nell’affermare – in accoglimento del terzo motivo di ricorsol’insufficiente motivazione dell’avviso per essersi l’Ufficio limitato a richiamare acriticamente il p.v.c. della GdF con un mero riferimento agli effettuati rilievi, ‘trasfusi’ nell’atto medesimo (basando le proprie contestazioni, con riguardo alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE sulla presunzione- circostanza non dimostrata- della inesistenza delle relative operazioni e con riguardo alla indeducibilità delle somme riguardanti i sottoconti ‘sopravvenienze passive da cartelle’ e ‘sanzioni e interessi’ sull’assunto indimostrato della confluenza nei predetti conti, senza distinzione alcuna, di interessi e sanzioni); ciò sebbene, in base ai principi sopra richiamati, la motivazione dell’avviso ben potesse limitarsi a confermare le risultanze del presupposto p.v.c. nella specie, tanto più, consegnato alla società (v. avviso riprodotto in ricorso, pagg. 10 e segg.) e, comunque, riprodotto negli elementi essenziali, con riguardo alle singole riprese effettuate, nell’atto impositivo medesimo (v. pagg. 10 e segg. del ricorso).
5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 109 TUIR e 19 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR affermato che – quanto alla contestazione di indebito utilizzo di fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di Todaro RAGIONE_SOCIALE‘ relative ad operazioni oggettivamente inesistenti- nessuna disposizione imponeva ai cessionari (peraltro abituali), purché in buona fede, di verificare la posizione Iva dei soggetti cedenti e, nella specie, l’Amministrazione non aveva addotto prove contrarie o situazioni di malafede ; ciò sebbene, l’Ufficio, sulla base delle risultanze del p.v.c. della Gdf, avesse addotto plurimi elementi indiziari a sostegno della inesistenza oggettiva della fatturazione (ad es. le circostanze che la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva cessato l’attività il 31.12.2007 e non aveva mai commercializzato le merci indicate nelle fatture emesse nei confronti di CEIF) con onere della prova contraria a carico della contribuente, essendo, sotto tale profilo, irrilevante la valutazione sulla sua eventuale buona fede e senza che l’Amministrazione dovesse essere onerata di fornire prove ulteriori.
6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 109 TUIR e 19 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto legittima la deducibilità dei costi relativi all’utilizzo di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti atteso che la società contribuente aveva pagato il servizio (spazio pubblicitario) messo a disposizione della stessa e considerato che l’Amministrazione non aveva a ddotto elementi tali da fare dubitare della effettiva effettuazione del servizio; ciò sebbene a fronte degli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione (mancanza di struttura organizzativa, logistica e tecnica in capo alla fatturante, mancanza di alcuna provvista per pagare i fornitori; prelevamenti ingiustificati) della oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate fosse onere della società contribuente fornire la prova contraria senza che rilevasse l’avvenuto pagamento dei servizi e senza che l’A mministrazione fosse onerata di fornire ulteriori prove rispetto a quelle indiziarie.
7.I motivi quinto e sesto- da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati.
7.1.Va premesso che in tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. Sez. 5, Ord. 10/04/2024 n. 9723; Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619). Comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente , il quale ovviamente sa bene se ed in
quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo» (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018); quanto alla prova di cui è onerata l’Amministrazione, e che già dal principio appena riportato si desume possa avere anche solo natura indiziaria, la Corte ha affermato che, ai fini dell’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 -dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c. (Cass., ord. n. 14237 del 2017; Cass n. 11624 del 2020).
7.2. Peraltro, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza
n. 17313 del 19/08/2020; Cass. 23518 del 2018; Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013).
7.3.Nella sentenza impugnata la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere, con riguardo alle riprese concernenti l’utilizzo indebito di fatture (emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE) afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti, che: 1) quanto a quelle emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE nessuna disposizione normativa imponeva ai soggetti che effettuavano operazioni (peraltro abituali) di acquisto di verificare la posizione Iva dei soggetti cedenti o lo stato di fallenza degli stessi sempre che i soggetti che avevano effettuato le operazioni commerciali fossero in buona fede e che le procedure concorsuali non fossero palesemente percepibili ‘ ; con ciò, senza considerare gli elementi indiziari della oggettiva inesistenza delle operazioni addotti dall’Ufficio sulla base delle risultanze del p.v.c. della G.d.F. (ad es. le circostanze che la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva cessato l’attività il 31.12.2007 e non aveva mai commercializzato le merci indicate nelle fatture emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE v. p.v.c. riprodotto in ricorso pag. 11 e segg.), indebitamente valorizzando la buona fede della contribuente-cessionaria e addossando in capo all’Amministrazione l’onere di fornire delle prove ulteriori (‘ nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria non aveva addotto prove contrarie o di situazioni di malafede a sé favorevoli ‘); 2) quanto a quelle emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, provata dalla contribuente l’oggettiva esistenza del servizio (spazio pubblicitario) messo a disposizione di RAGIONE_SOCIALE atteso che lo stesso ‘ risultava essere stato regolarmente pagato a mezzo assegno bancario ‘; con ciò, senza valutare gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio sulla base del p.v.c. (carenza di struttura organizzativa, tecnica e amministrativa della RAGIONE_SOCIALE, mancanza di alcuna provvista per il pagamento dei fornitori etc., v. stralcio dell’ avviso riprodotto in ricorso), dando indebitamente rilievo, quale prova contraria dell’esistenza delle operazioni da parte della contribuente, all’avvenuto pagamento delle prestazioni fatturate nonché onerando l’Amministrazione di produrre ulteriori prove (‘ né da parte dell’Amministrazione erano stati addotti in
giudizio elementi che potevano fare dubitare della effettiva e reale effettuazione del servizio ‘).
8.Con il settimo motivo si denuncia , in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR, in accoglimento del quinto motivo di appello della società, relativo all’utilizzazione di fatture afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE, affermato apoditticamente, con una motivazione omessa o apparente, che ‘né, da parte dell’Amministrazione erano stati addotti in giudizio elementi che potevano fare dubita re della effettiva e reale effettuazione del servizio’ senza chiarire le ragioni per le quali gli elementi indiziari utilizzati dall’Ufficio avrebbero dovuto ritenersi insufficienti e, dunque, i motivi sottesi alla decisione.
8.1. L’accoglimento del sesto motivo rende inutile la trattazione del settimo proposta in via subordinata.
Con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 109 TUIR e 19 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto l’inerenza dei costi sostenuti per l’acquisto di autoricambi per mezzi aziendali, annotati regolarmente sul registro dei beni ammortizzabili, atteso che nessuna disposizione richiedeva l’indicazione in fattura degli elementi identificativi del veicolo al quale l’autoricambio era destinato; ciò sebbene, a fronte della contestazione della indeducibilità di costi per difetto dei requisiti ex art. 109 TUIR, spettava al contribuente provare i medesimi.
9.1.Il motivo è fondato.
9.2.La prova dell’inerenza di un costo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto tenuto a provare l’imponibile maturato (cfr. Cass. 21 novembre 2019, n. 30366; Cass. 17 luglio 2018, n.
18904; Cass. sez. 5, Ord. n. 27116 del 2020); pertanto, ove, come nel caso in esame, sia contestato dall’Amministrazione finanziaria il difetto di inerenza della spesa è onere del contribuente offrire la dimostrazione della correlazione del costo sostenuto con l’attività d’impresa in concreto esercitata, non assolvibile mediante la dimostrazione della avvenuta contabilizzazione dello stesso (Cass. sez. 5, Ord. n. 27116 del 2020). La nozione di inerenza esprime infatti la concreta riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa -anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura -quale esito di una valutazione qualitativa, e non quantitativa, degli stessi (Cass. n. 30366/2019; Cass. n. 450/2018; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 33568 del 2022).
9.3.Nella sentenza impugnata, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto – a fronte della contestazione del difetto di inerenza dei costi sostenuti per l’acquisto di autoricambi (‘ nel conto manutenzione beni propri erano confluite fatture per acquisto di autoricambi nelle quali non erano stati indicati gli estremi degli automezzi cui facevano riferimento; pertanto, constatato che, in violazione dell’art. 109 del dPR n. 917/86, i cos ti erano privi del requisito dell’inerenza ‘ v. pag. 3 dello stralcio dell’avviso riprodotto in ricorso) ha ritenuto deducibili detti costi atteso che ‘ nessuna disposizione imponeva l’indicazione in fattura degli elementi identificativi del veicolo al quale l’autoricambio era destinato ‘ e che ‘ era processualmente incontestato e documentalmente dimostrato che la società disponeva di automezzi regolarmente annotati nel registro dei beni ammortizzabili ‘ ; con ciò senza che la contribuente assolvesse all’onere di dimostrare l’inerenza di costi medesimi e, in particolare, la correlazione tra dette spese e gli automezzi aziendali.
10. Con il nono motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 109 TUIR e 19 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto – in accoglimento del settimo motivo di appello della società -la deducibilità dal reddito di somme( di cui al conto sopravvenienze passive da cartelle esattoriali) riferite a sanzioni ed interessi relativi a precedenti cartelle di pagamento sebbene non fosse ammessa la
deducibilità delle sanzioni né tantomeno la deducibilità degli interessi ad esse collegati; tanto più che gli interessi -come risultava dalla motivazione dell’avviso di accertamento -non erano confluiti nel relativo calcolo di deducibilità ai sensi dell’art. 96 del d.P.R. 917/86 e, in ogni caso, eccedevano la quota deducibile dell’anno.
10.1.Il motivo è fondato.
10.2.Questa Corte ha chiarito che la sanzione per illecito tributario (nella specie antitrust) non è un costo deducibile dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 75 d.P.R. 917/1986, poiché essa non è funzionale alla produzione di quel reddito (Cass. 11 aprile 2011, n. 8135, Rv. 617641). Detta sanzione non può essere qualificata come sopravvenienza passiva del reddito d’impresa, attesa l’impossibilità di collegarla a ricavi o altri proventi (Cass. 3 marzo 2010, n. 5050, Rv. 611823; v. anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14137 del 2017 in tema di indeducibilità di sanzioni antitrust). Ugualmente è stata da questa Corte esclusa la deducibilità degli interessi collegati alle sanzioni (Cass. n. 11766 del 2009 in cui si è precisato che ‘ la posta principale, costituita da una sanzione, è comunque indeducibile, a prescindere dall’inerenza, per cui gli interessi ne seguono la sorte ‘). La prestazione di pagamento degli interessi da ritardato pagamento si pone in termini di accessorietà rispetto all’obbligazione principale ( sanzione) e della stessa, quindi, assume la medesima disciplina di non deducibilità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28740 del 2022 ). Gli interessi passivi sono deducibili, ai fini della determinazione del reddito in parola, esclusivamente se l’operazione cui accedono, per sua natura, sia rapportabile ai ricavi prodotti dall’attività aziendale: siffatta deducibilità è stata esclusa nelle ipotesi in cui detti interessi non scaturiscano da un’operazione potenzialmente idonea a produrre utili, come nel caso in cui ci si trovi in presenza di interessi moratori dovuti in conseguenza dell’omesso o del tardivo versamento di somme dovute dall’impresa; in tale specifica ipotesi, si è ritenuto che gli interessi moratori rivestono un’innegabile natura sanzionatoria, giacchè correlati ad un inadempimento dell’imprenditore o degli amministratori della società (per le imprese esercitate in forma associata).
Per il che essi, ad avviso della Corte, certamente non possono costituire – al pari di tutte le altre sanzioni irrogate all’impresa (v. Cass. 5050/10) – costi funzionali alla produzione del reddito, come tali deducibili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 63 e 75, (Cass. 1176609, 8135/11; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28740 del 2022).
10.3.Nella sentenza impugnata la CTR non si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere deducibili le sanzioni e gli interessi riferiti a precedenti cartelle di pagamento affermando che ‘ nessuna disposizione di legge prevedeva che le sanzioni fossero indeducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa analogamente agli interessi atteso che il testo dell’art. 96, comma terzo, del d.PR n. 917/1986 non ricomprendeva anche gli interessi passivi scaturenti da cartelle di pagamento ‘.
Con il decimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CTR, con una motivazione omessa o apparente, relativamente alla valenza da attribuire alla sentenza penale del 2015 di non luogo a procedere del GUP emessa per gli stessi fatti nei confronti del legale rappresentante della società, dopo avere richiamato il principio del c.d. doppio binario, affermato apoditticamente che ‘ nella fattispecie concreta in esame non erano emersi elementi (indizi) che potevano deporre in direzione di una pronuncia di rigetto delle doglianze di parte contribuente ‘.
11.1. L’accoglimento del quinto e del sesto motivo comportano l’assorbimento del decimo.
12.In conclusione, vanno accolti i motivi dal secondo al sesto nonché i motivi ottavo e nono, assorbito il settimo e il decimo, respinto il primo, con cassazione della sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti- e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione;
La Corte accoglie i motivi di ricorso dal secondo al sesto nonché i motivi ottavo e nono, assorbiti il settimo e il decimo, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti- e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 13 marzo 2015