Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23516 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23516 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21339/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore pt, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente-
sul controricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore pt, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pt;
-intimata- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 222/2016, depositata il 10 febbraio 2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -In data 11 settembre 2013 l’Agenzia delle entrate Direzione provinciale di Padova, Ufficio distaccato di Este, con gli avvisi di accertamento n. T06S031202433 – T6S031202440 T6S031202437, ha contestato alla società RAGIONE_SOCIALEora RAGIONE_SOCIALE la contabilizzazione di fatture di acquisto ritenute operazioni oggettivamente inesistenti sulla scorta di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza avente per oggetto la verifica fiscale per gli anni di imposta 2005, 2006 e 2007 collegato ad altra verifica incrociata con la società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica. In particolare, come riportato nella sezione ‘Violazioni Sostanziali’ del processo verbale di constatazione, si contestava la contabilizzazione di fatture d’acquisto per un imponibile complessivo di euro 150.000,00 nel 2005, euro 240.000,00 nel 2006 ed euro 110.000,00 nel 2007 emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE relative a operazioni oggettivamente inesistenti. Come appurato dalla Guardia di finanza
nel corso delle indagini, le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE sarebbero servite per creare costi fittizi allo scopo: di compensare i ricavi dalla società RAGIONE_SOCIALE realizzati attraverso le cessioni di pacchetti software/servizi resi a terzi; di creare costi inerenti a progetti presentati su bandi del Ministero dell’Istruzione al fine di usufruire di agevolazioni per i quali il Ministero ha provveduto in fase successiva alla revoca. In virtù di quanto sopra, l’Agenzia delle entrate accertava per gli anni d’imposta 2005 , 2006 e 2007, in forza dell’art. 41 bis d.P.R. 600/73 e in misura corrispondente alle suddette riprese, un maggior reddito d’impresa ai fini IRES e un maggior valore della produzione netta ai fini IRAP; ha inoltre recuperato l’ IVA indebitamente detratta e ha irrogato le relative sanzioni.
Con ricorso cumulativo, i predetti atti venivano impugnati dalla società presso la Commissione tributaria provinciale di Padova.
L’Ufficio resisteva con controdeduzioni
.
Con sentenza n. 711/2014 la Commissione tributaria provinciale di Padova respingeva il ricorso.
-Avverso tale pronuncia la contribuente proponeva atto di appello.
L’Ufficio resisteva all’appello.
La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 222/2016, depositata il 10 febbraio 2016, ha accolto l’appello della società.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La contribuente si è costituita con controricorso e ricorso incidentale.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
La contribuente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-S’impone, in via preliminare, l’esame dell’eccezione di inammissibilità contenuta nel ricorso incidentale per violazione dell’art. 366 c.p.c., atteso che la contribuente deduce l’ errata l’indicazione della parte nei confronti della quale il ricorso è stato proposto e notificato. L’Avvocatura di Stato deduce in parte motiva di voler agire contro la ‘RAGIONE_SOCIALE Data Padova in liquidazione’ per la riforma della sentenza n. 222/5/2016, resa nel contenzioso tra l’ Agenzia delle entrate e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e lo stesso nominativo viene riportato nella relata di notifica.
1.1. -L’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366, comma 1, n. 1, c.p.c., non ha pregio.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il ricorso per cassazione è ammissibile, anche in caso di omessa o erronea indicazione della parte, quando dal contenuto complessivo del ricorso o persino dal riferimento agli atti dei precedenti gradi di giudizio sia agevole identificare con certezza la detta parte o si renda evidente che si sia trattato di un errore materiale: «il ricorso per cassazione è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., qualora l’identificazione delle parti contro cui è diretto manchi o sia assolutamente incerta, non essendo necessario, a tal fine, che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o comunque esplicitamente formulate, ed essendo sufficiente (analogamente a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c.) che esse risultino inequivocabilmente, anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, ovvero dal riferimento ad atti dei precedenti gradi del giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata» (Cass. n. 8778/2023; Cass. n. 1989/2016 nell’ipotesi in cui l’indicazione della parte nel ricorso venga
completamente omessa; Cass. n. 21786/2015 per l’ipotesi in cui il ricorrente venga indicato con il cognome della madre in luogo di quello paterno; Cass. n. 14662/2015 per l’ipotesi in cui il ricorrente venga indicato con nome e cognome di altro soggetto); «il requisito dell’indicazione delle parti, previsto dall’art. 366, n. 1, c.p.c. a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, richiamato dall’art. 370 c.p.c. per il controricorso, deve intendersi nel senso proprio della norma generale dettata dall’art. 163 n. 2, c.p.c., e pertanto l’inesatta indicazione della parte nella intestazione dell’atto non ne pregiudica l’ammissibilità, se il suo complessivo contenuto rende evidente che si è verificato un mero errore materiale» (Cass. n. 240/2017).
Con particolare riferimento all’erronea indicazione della parte intimata nel ricorso per cassazione, questa sezione, in fattispecie analoga a quella per cui è l’odierno giudizio, ha affermato che «ai fini della sussistenza del requisito della indicazione delle parti, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione, dall’art. 366, comma 1, n. 1, c.p.c., non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate, o erroneamente indicate, nell’epigrafe del ricorso, siano con certezza identificabili dal contesto del ricorso stesso, dalla sentenza impugnata, ovvero da atti delle pregresse fasi del giudizio, sicché l’inammissibilità del ricorso è determinata soltanto dall’incertezza assoluta che residui in esito all’esame di tali atti» (Cass. n. 57/2005).
Nella specie, l’indicazione – nel ricorso per cassazione proposto dall’Ufficio – della RAGIONE_SOCIALE Padova in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) non comporta alcuna inammissibilità dell’impugnazione. Invero, l’errore consistente nell’indicazione errata della società (RAGIONE_SOCIALE Padova in liquidazione) che sarebbe
succeduta alla parte intimata, indicata correttamente tra parentesi (RAGIONE_SOCIALE liquidazione), non ha impedito alla contribuente la ricezione del ricorso, né la conoscenza di quest’ultimo, né, infine, la sua tempestiva contestazione. Inoltre, l’errore non ha avuto alcuna incidenza sulla comprensibilità della vicenda processuale, dei soggetti in essa coinvolti e delle problematiche oggetto dello scrutinio della Corte.
-Con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 57 d.lgs. 31.12.1992, n. 5 46, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Si deduce che la sentenza sarebbe viziata da ultrapetizione e da violazione del divieto di ius novorum in appello nella parte della motivazione con cui la Commissione tributaria regionale ha dichiarato la nullità degli accertamenti impugnati per il presunto mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni tra la notifica del verbale di costatazione e la notifica dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12 , comma 7, l. n. 212/2000. Tale motivo non sarebbe rilevabile d’ufficio e non era stato sollevato dalla società né nel ricorso introduttivo né nell ‘ appello.
2.1. -Il motivo è fondato.
In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il vizio dell’avviso di accertamento derivante dall’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 non è rilevabile d’ufficio e deve essere contestato dal contribuente nel ricorso introduttivo, riguardando la violazione di una norma posta a difesa del diritto dello stesso contribuente al pieno dispiegarsi del contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria e considerata la natura recettizia dell’atto impositivo tributario da porsi in relazione con il suo duplice scopo di impedire la decadenza dell’Amministrazione predetta dalle
potestà di accertamento e di riscossione dei tributi e di porre la parte in grado di contestare, anche in sede giudiziaria, la pretesa tributaria. Ne consegue che, poiché il tema dei vizi delle notificazioni degli atti impositivi risulta strettamente correlato a quello del tempestivo e regolare esercizio dell’azione tributaria entro i termini decadenziali previsti dalla legge, e che l’inutile decorso di tali termini non estingue il potere impositivo ma obbliga l’Amministrazione finanziaria a non esercitarlo, il vizio dell’atto impositivo non è rilevabile d’ufficio ma deve essere eccepito dal contribuente (Cass. n. 22549/2022; Cass. n. 14395/2017).
Nel caso di specifico, pertanto, in mancanza di una specifica domanda da parte della contribuente, la questione del difetto di contraddittorio endoprocedimentale non poteva essere rilevata d’ufficio .
3. -Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art . 36, comma 2, n. 4 e dell’art 53 d.lgs. 31.12.1992 n. 546, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. La Commissione tributaria regionale ha poi ritenuto che gli avvisi di accertamento fossero nulli perché ad essi non era allegato il verbale della Guardia di finanza di Bologna a carico della RAGIONE_SOCIALE. Al riguardo, si evidenzia che la Commissione provinciale aveva osservato che il verbale di costatazione della Guardia di finanza, redatto a carico della odierna resistente e regolarmente notificatole, conteneva una puntuale descrizione dei rilievi effettuati dalla Guardia di finanza di Bologna a carico dell’altra società. La stessa Euganea RAGIONE_SOCIALE, nell’appello , si era limitata a sostenere genericamente che lo stralcio del verbale di Bologna riportato nel verbale di Este era ‘talmente incompleto da non permettere la difesa concreta del contribuente’. La Commissione tributaria regionale avrebbe accolto il motivo senza alcuna spiegazione circa
la presunta insufficienza del richiamo al verbale. In secondo luogo, la Commissione tributaria regionale sarebbe incorsa in violazione dell’art. 53 d. lgs. 546/92 perché non avrebbe rilevato la totale genericità, e quindi l’ inammissibilità, del motivo di appello proposto dalla società, che non specificava in alcun modo perché lo stralcio del primo verbale nel secondo fosse inidoneo a consentire la difesa degli interessi del contribuente.
3.1. -Il motivo è fondato nei termini di cui in motivazione.
In tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 3610/2025; Cass. n. 32957/2018; Cass. n. 30560/2017).
Nel caso di specie, è stato evidenziato che il verbale di constatazione cui rinvia l’avviso di accertamento conteneva la descrizione dei rilievi effettuati dalla Guardia di finanza mentre la motivazione della Commissione tributaria regionale non spiega quali elementi effettivamente mancassero per la comprensione delle contestazioni, risultando del tutto generico il richiamo al fatto che il verbale appariva incompleto perché basato sulle relazioni edotte da verifiche effettuate presso terzi poiché i relativi processi verbali non le erano stati notificati né allegati all’atto di accertamento.
Inammissibile, invece, risulta la censura sul difetto di specificità del motivo di appello, non essendovi alcun richiamo alla censura effettivamente proposta, così da impedire a questa Corte il vaglio di fondatezza della censura.
4. -Con riferimento al terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Riguardo al ‘nucleo’ della contestazione sollevata dall’Ufficio, ovvero l’inesistenza delle prestazioni fatturate, la Commissione regionale valorizzerebbe l’esistenza formale di un contratto, la ‘coerenza’ dell’oggetto sociale dichiarato in Camera di Commercio con le presunte attività rese e la ‘liquidazione’ delle fatture. Tali aspetti, tuttavia, secondo quanto prospettato, non possono essere valorizzati come controprove validamente fornite dal contribuente alle presunzioni addotte dall’Ufficio per dimostrare la falsità delle fatture.
4.1. -Il motivo è fondato.
In tema di attività d’impresa, ai fini del disconoscimento della deducibilità dei costi risultanti da una fattura emessa per operazioni oggettivamente inesistenti, incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare, attraverso prove dirette o indiziarie, la fittizietà dell’operazione, spettando viceversa al contribuente di fornire la rigorosa prova del contrario, la quale non può consistere nella mera esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché facilmente falsificabili e normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 10336/2025; Cass. n. 33915/2019).
Nella specie, la Commissione tributaria regionale non ha preso in considerazione i diversi elementi presuntivi addotti dall’Ufficio (il CD che avrebbe dovuto contenere i programmi aveva in realtà nel
suo contenuto solo alcune fotografie di persone e alcune ‘schermate’ senza valenza probatoria; nello stesso giorno – 7 maggio 2004 – sette società, tutte legate alla medesima ditta ‘fornitrice’, cioè la RAGIONE_SOCIALE, avevano inviato la domanda al MIUR per avere un finanziamento finalizzato all'”RAGIONE_SOCIALE‘ e tutte – seppure dislocate in diverse zone del triveneto – utilizzavano lo stesso laboratorio di ricerca; non è mai stata fornita idonea documentazione (relazioni tecniche, documenti cartacei, supporti informatici, schede riepilogative) atta, a dimostrare l’effettività di esecuzione dei progetti; i dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE, interrogati in merito alla realizzazione e allo sviluppo dei progetti affidati alla stessa, fornivano dichiarazioni contraddittorie; la società ricorrente aveva già presentato un progetto identico per l’anno 2002 e la documentazione fornita dalla medesima per ‘supportare’ la richiesta di agevolazione contestata si riferiva in realtà al progetto precedente, basando il proprio convincimento su elementi documentali, di per sé inidonei a dimostrare l’esistenza dell’operazione, nonché sul richiamo di una pronuncia del Tribunale di Padova – indicata senza alcun riferimento specifico (mentre nello svolgimento del processo si evidenzia che trattasi di casi diversi) non fornendo una spiegazione adeguata della sua incidenza nella fattispecie. In questo modo, la Commissione tributaria regionale ha finito per invertire l’onere della prova, in violazione della disciplina applicabile.
-L’accoglimento del terzo motivo determina l’assorbimento del quarto (omesso esame di punti di fatto decisivi controversi tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. ) e del ricorso incidentale sulla compensazione delle spese.
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata in relazione ai motivi accolti e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla
Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il quarto e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione