Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19139 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19139 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21733/2016 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– Controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 1601/32/16, depositata in data 19 febbraio 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto parzialmente l’appello d ell’Agenzia delle Entrate e ha rideterminato i maggiori ricavi in euro 430.125,00 e il conseguente reddito di impresa, proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso di Vallefuoco Antonio, titolare della ditta individuale «RAGIONE_SOCIALE Vallefuoco RAGIONE_SOCIALE , avente ad oggetto l’accertamento con cui, in relazione all’anno 2009, era stato ricostruito un reddito di impresa di euro 718.941,00, in luogo di quello dichiarato di euro 84.848,00 ed erano stati determinati maggiori imposte dirette e Iva per euro 402.590,00, con relative sanzioni (annullando l’avviso per la parte riferita alle maggiori imposte Irpef, addizionali, Irap e contributi previdenziali e confermando il recupero Iva per operazioni oggettivamente inesistenti).
I giudici di secondo grado , correggendo l’affermazione dei primi giudici, hanno rilevato che le operazioni poste a base delle fatture, quanto alla Novi Legno, erano da ritenersi oggettivamente inesistenti (mentre le operazioni soggettivamente inesistenti riguardavano la posizione della società RAGIONE_SOCIALE e hanno, poi, rilevato che , come risultava dalla motivazione dell’avviso di accertamento, l’Ufficio, ravvisando estremi di reato, aveva informato la Procura della Repubblica competente in data 18 dicembre 2012; la natura di mera cartiera della società emittente le fatture, desunta dalla mancanza di sede, merci e personali, giustificava il giudizio di inattendibilità delle scritture contabili espresso dall’Ufficio; ulteriori elementi che
rafforzavano la presunzione a favore dell’Ufficio erano dati dalla irregolarità della contabilità e dal ruolo particolare del Vallefuoco (gestore di fatto della società emittente e legale rappresentante della ditta utilizzatrice delle fatture); dagli atti emergevano elementi maggiormente attendibili, rappresentati dalla registrazione in contabilità di imponibili per euro 430.125.00 (ammontare delle operazioni inesistenti fatturate dalla Novi Legno), mentre non risultava sufficientemente precisato, neppure per campione, quali fossero i dati emersi dalle imprese operanti nello stesso settore commerciale prese a modello dall’Ufficio nel determinare la percentuale media di redditività del settore e, dunque, la conclusione sulla percentuale media di redditività applicata in concreto (30%); non risultava violato l’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 perché già nell’avviso di accertamento si dava atto della sussistenza di estremi di reato nei fatti descritti e, quindi, nella contabilità del Vallefuoco, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti in precedenza emesse dalla cartiera Novi Legno (gestita di fatto sempre dal Vallefuoco); l’avviso di accertamento conteneva, a pag. 3, tutti gli elementi essenziali per l’individuazione della natura di cartiera della Novi Legno laddove evidenziava la totale assenza dei requisiti per l’esercizio di una attività di impresa (mancanza di sede, merci, personale etc.) e l’inesistenza di documentazione contabile; i mezzi di pagamento rappresentavano un mero elemento indiziario, la cui presenza o assenza doveva essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali; la mancata proposizione di appello incidentale da parte del contribuente esonerava il Collegio dall’esaminare la questione della detraibilità ai fin i Iva.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché l’ omesso esame di fatto controverso e decisivo, in relazione al requisito motivazionale del maggior reddito accertato , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Il giudicante non aveva chiarito le ragioni per le quali erano state disattese le censure di parte che contestavano la sufficienza degli stralci dell’atto di riferimento . La CTR avrebbe dovut o caducare l’avviso di accertamento perché dal suo contenuto non era dato rilevare come, dove, quando e sulla base di quali indicazioni sarebbero state accertate le circostanze addotte a sostegno della contestazione mossa.
1.1 Il motivo è inammissibile sotto un triplice profilo.
1.2 Sotto un primo profilo perché la censura è formulata mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere ac cogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti
alla ricostruzione del fatto, evenienza che, nel caso in esame, non si è verificata.
1.3 Sotto un secondo profilo per difetto di autosufficienza della censura, nella parte in cui il ricorrente non riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in contestazione, neppure riassunto nel suo specifico contenuto, non consentendo così a questa Corte di esprimere il suo giudizio in proposito alla correttezza o meno della valutazione compiuta dalla Commissione tributaria regionale (Cass., 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., 28 giugno 2023, n.18418, in motivazione).
1.4 Sotto un terzo profilo perché censura un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, avendo la Commissione tributaria regionale, quanto alla dedotta violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 per la mancata allegazione del PVC riguardante la Novi Legno, affermato che « nel caso che ci occupa, l’avviso di accertamento notificato al Vallefuoco contiene a pag. 3 tutti gli elementi essenziali per l’individuazione della natura di cartiera della Novi Legno laddove evidenzia la totale assenza dei requisiti per l’esercizio di una attività di impresa (mancanza di sede, merci, personale ecc.) e l’inesistenza di documentazione contabile» (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
1.5 Ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le
parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109).
1.6 Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., 14 gennaio 2015, n. 407; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073).
1.7 Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 53 ( recte : 57) del d.lgs n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per essersi la CTR pronunciata oltre i limiti delle ragioni invocate dall’Ufficio a sostegno dell’atto di appello. La CTR aveva fondato la propria decisione su un motivo diverso da quello dedotto nell’atto di appello dell’Ufficio e sviluppato nel corso del giudizio di merito, il quale delineava quale oggetto del contendere gli effetti derivanti dall’utilizzo di fattur e soggettivamente inesistenti, alla luce delle disposizioni introdotte dall’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012, che a parere del giudice di primo grado precludevano il recupero dei relativi costi ai fini delle imposte sui redditi
2.1 In disparte il profilo di non autosufficienza del motivo non avendo il ricorrente ancora una volta trascritto il contenuto dell’avviso di
accertamento, né il contenuto dell’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate (riportato soltanto per stralci a pag. 8 del ricorso per cassazione), atti (entrambi) che avrebbero consentito a questa Corte di valutare la fondatezza o meno di quanto dedotto, la censura è inammissibile perché si scontra con l’accertamento in fatto operato dai giudici di secondo grado che, sul punto, hanno affermato che « quanto alla dedotta proposizione di nuove domande (rappresentate ad avviso del contribuente, dal fatto che l’Ufficio ha introdotto il tema della indeducibilità dei costi qualificandoli come da reato), va rilevato che non sussiste nessuna violazione della regola posta dall’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 (divieto di nuove domande in appello): come si è detto, già nell’avviso di accertamento si dava atto della sussistenza di estremi di reato nei fatti descritti e quindi nella registrazione nella contabilità del Vallefuoco – di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti in precedenza emesse dalla cartiera Novi Legno (gestita di fatto sempre dal Vallefuoco). Stesse considerazioni si rinvengono nelle controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado (pag. 2): non si vede pertanto dove sia la novità del petitum o della causa petendi ».
3. Il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto controverso e decisivo, in ordine alla concreta dimostrazione della illiceità delle fatture a sostegno della indeducibilità dei costi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. La CTR aveva pretermesso il giudizio sugli elementi idonei a provare la pretesa fiscale avendo solo astrattamente adombrato che la prova dell’addebito era stata fornita dalla carenza di organizzazione imprenditoriale del soggetto emittente le fatture. Pur in assenza di organizzazione aziendale non era da escludere l’esercizio di una attività di intermediazione attraverso lo schema tipico dell’operazione triangolare, che non poteva essere inquadrata tra gli atti privi di
giustificazione economica. La pronuncia era errata nella parte in cui aveva affermato che la correttezza della detrazione doveva essere fornita dal contribuente, in quanto era l’Ufficio che doveva addurre elementi idonei a far presumere l’insistenza delle operazioni. Il giudicante, quindi, doveva ritenere acclarata agli atti la regolarità fiscale delle fatture in favore della ditta fornitrice, supportati dai bonifici e assegni bancari per importi corrispondenti alla somma complessiva di ciascuna fattura.
3.1 Il motivo è infondato, dovendosi richiamare, con specifico riferimento all’ipotesi -ricorrente nella presente controversia (operazioni oggettivamente inesistenti in quanto le fatture erano state emesse, nei confronti dell’impresa RAGIONE_SOCIALE Legno di Vallefuoco Antonio, dalla Novi Legno che era società cartiera non avendo sede, mezzi e personale, cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) – in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia e che, al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la
circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
3.2 In particolare, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
4. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012, convertito dalla legge n. 14 del 2012, per non avere il giudice di appello valutato il profilo della deducibilità dei costi nel caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sulla base della norma interpretativa introdotta dall’art. 8, comma 1, decreto legge n. 16 del 2012. La CTR avrebbe dovuto rilevare che al ricorrente non era contestabile la deducibilità dei costi in quanto i beni acquistati non erano stati utilizzati direttamente per commettere il reato, ma per essere commercializzati e venduti. Risultava, poi, superato il tema dell’onere della prova dal momento che non vi era contestazione agli atti dell’inerenza dei costi, che non gravava comunque sul contribuente in relazione all’acquisto di beni (pallets) rientranti nell’oggetto dell’attività dell’impresa.
4.1 Il motivo è infondato.
4.2 Deve, in proposito, richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia » (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915) e che « In materia di operazioni inesistenti, ove il giudice abbia escluso la deducibilità dei costi a valle dell’accertamento dell’inesistenza delle operazioni, deve ritenersi che lo stesso non abbia indagato circa il fatto che i costi fossero o meno deducibili in ragione della sussistenza dei requisiti di effettività e inerenza, ma abbia legittimamente tratto il convincimento negativo quale diretta conseguenza dell’inesistenza delle operazioni che li avrebbero generati » (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3835).
4.3 Ancora è stato affermato che, « in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993 – nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012 – l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di
effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti » (Cass., 15 marzo 2022, n. 8480; Cass., 7 dicembre 2016, n. 25249). Non è superfluo rilevare che la giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Cass, 20 giugno 2012, n. 10167) riguarda la specifica ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti ( « In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma quarto bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma primo, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità»), mentre, nel caso in esame, come affermato anche dai giudici di secondo grado (che sul punto hanno pure corretto l’affermazione dei giudici di primo grado) le operazioni poste a base delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE di Noviello Salvatore erano oggettivamente inesistenti (riguardando quelle soggettivamente inesistenti la posizione della società abruzzese RAGIONE_SOCIALE), in quanto emesse da società priva di sede, mezzi e personale (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 maggio 2025.