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Fatture inesistenti: onere della prova e indeducibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di un imprenditore contro un avviso di accertamento per l’utilizzo di fatture inesistenti. La Corte ha ribadito che, una volta che l’Agenzia delle Entrate fornisce elementi presuntivi sulla natura fittizia delle operazioni (come la mancanza di struttura della società emittente), spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle stesse. È stato inoltre confermato il principio della totale indeducibilità dei costi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti, distinguendole da quelle soggettivamente inesistenti, per le quali vigono regole diverse.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: Onere della Prova e Indeducibilità dei Costi

L’utilizzo di fatture inesistenti rappresenta una delle pratiche evasive più gravi nel nostro sistema fiscale, con conseguenze significative per gli imprenditori coinvolti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi fondamentali in materia, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente e confermando la totale indeducibilità dei costi derivanti da operazioni mai avvenute. Analizziamo il caso di un imprenditore del settore del legno, la cui vicenda offre spunti cruciali per comprendere i rischi e le dinamiche processuali di queste contestazioni.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un imprenditore individuale. L’Ufficio contestava, per l’anno 2009, un reddito d’impresa dichiarato per circa 84.000 euro, a fronte di un reddito ricostruito di oltre 718.000 euro. La rettifica si basava principalmente sul disconoscimento di costi documentati da fatture emesse da una società risultata essere una mera “cartiera”, ovvero un’entità priva di sede, merci e personale, creata al solo scopo di emettere documentazione fiscale fittizia.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva rideterminato i maggiori ricavi in circa 430.000 euro, confermando però il recupero dell’IVA e la natura oggettivamente inesistente delle operazioni fatturate dalla società cartiera. L’imprenditore ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione dell’atto impositivo e un’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e sulla deducibilità dei costi.

La Questione delle Fatture Inesistenti e l’Onere della Prova

Il contribuente ha basato il suo ricorso su diversi motivi, tra cui:
1. Carenza di motivazione: L’avviso di accertamento non sarebbe stato sufficientemente dettagliato, non chiarendo come e dove fossero state accertate le circostanze contestate.
2. Violazione del divieto di domande nuove in appello: L’Agenzia avrebbe introdotto in appello temi nuovi, come l’indeducibilità dei costi qualificandoli come derivanti da reato.
3. Errata ripartizione dell’onere della prova: La Commissione Regionale avrebbe erroneamente addossato al contribuente l’onere di provare la liceità delle operazioni, nonostante la presenza di pagamenti tracciati.
4. Errata interpretazione sulla deducibilità dei costi: Sarebbe stata applicata in modo errato la normativa relativa alla deducibilità dei costi in caso di operazioni fittizie.

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto tutti i motivi del ricorso, consolidando importanti principi giurisprudenziali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile e infondato. I giudici hanno chiarito in modo definitivo la dinamica probatoria in caso di contestazioni per fatture inesistenti.

Quando l’Amministrazione Finanziaria contesta l’esistenza di operazioni commerciali, essa ha l’onere di fornire elementi presuntivi, anche semplici e plurimi, che facciano dubitare della loro effettività. Nel caso di specie, la prova che la società emittente fosse una “cartiera” (priva di una struttura organizzativa idonea) è stata considerata un elemento presuntivo valido e sufficiente per sostenere l’accusa di inesistenza delle operazioni.

Una volta fornita questa prova presuntiva, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare non solo la regolarità formale delle scritture contabili o l’avvenuto pagamento (elementi spesso utilizzati proprio per dare una parvenza di realtà a operazioni fittizie), ma l’effettiva esistenza della transazione commerciale, ovvero la fonte legittima del costo che intende dedurre e dell’IVA che intende detrarre.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente punto per punto. In primo luogo, ha stabilito che l’avviso di accertamento era sufficientemente motivato, anche “per relationem”, poiché conteneva tutti gli elementi essenziali per individuare la natura di cartiera della società fornitrice (mancanza di sede, merci, personale, etc.), mettendo il contribuente in condizione di difendersi.

In secondo luogo, ha escluso che l’Agenzia avesse introdotto domande nuove in appello, poiché i riferimenti alla sussistenza di reati erano già presenti nell’atto di accertamento originario. La Corte ha inoltre ribadito che, in materia di IVA, dimostrare l’oggettiva inesistenza delle operazioni sposta sul contribuente l’onere di provare la loro effettiva esistenza, e l’esibizione della fattura o la prova del pagamento non sono sufficienti a tal fine.

Infine, e questo è un punto cruciale, la Corte ha distinto nettamente tra operazioni oggettivamente inesistenti (quelle mai avvenute, come nel caso di specie) e operazioni soggettivamente inesistenti (quelle realmente avvenute ma tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura). La normativa che consente, a certe condizioni, la deducibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti non si applica a quelle oggettivamente inesistenti. Per queste ultime, la deducibilità dei costi è sempre esclusa, poiché manca il requisito fondamentale dell’inerenza all’attività d’impresa: un costo per un’operazione mai avvenuta non può, per definizione, essere inerente.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento rigoroso e consolidato. Per le imprese, il messaggio è chiaro: la responsabilità di verificare l’affidabilità e la reale operatività dei propri fornitori è fondamentale. La semplice regolarità formale dei documenti e la tracciabilità dei pagamenti non mettono al riparo da contestazioni fiscali se il partner commerciale si rivela essere una società fittizia. In un contenzioso, una volta che il Fisco ha dimostrato la natura di “cartiera” del fornitore, spetta all’impresa che ha utilizzato le fatture fornire la prova contraria, dimostrando con elementi concreti che la prestazione o la fornitura di beni si è effettivamente verificata. In mancanza di tale prova, i costi saranno considerati indeducibili e l’IVA indetraibile, con pesanti conseguenze economiche e sanzionatorie.

Chi deve provare che le operazioni commerciali sono false in caso di fatture inesistenti?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi presuntivi (indizi) che suggeriscano la falsità delle operazioni, come la prova che la società emittente è una ‘cartiera’ priva di struttura. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza della transazione commerciale.

È possibile dedurre i costi relativi a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che i costi relativi a operazioni che non sono mai avvenute (oggettivamente inesistenti) sono sempre indeducibili, in quanto manca il requisito essenziale dell’inerenza all’attività d’impresa.

Un avviso di accertamento è valido se la sua motivazione si basa sul riferimento a un altro atto?
Sì, la motivazione ‘per relationem’ è legittima a condizione che l’atto di accertamento riproduca il contenuto essenziale del documento richiamato, ovvero quelle parti necessarie a sostenere la pretesa fiscale e a consentire al contribuente di comprendere le accuse e di difendersi adeguatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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