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Fatture inesistenti: onere della prova e distinzioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20556/2024, interviene su un caso di presunte fatture inesistenti, chiarendo la fondamentale distinzione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e il conseguente diverso riparto dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La Corte ha cassato la sentenza di secondo grado per non aver correttamente valutato le prove fornite dalla società in merito alla possibile natura soggettivamente inesistente delle operazioni.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: la Cassazione traccia la linea sull’onere della prova

La gestione delle fatture inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per le imprese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 20556 del 24 luglio 2024) offre chiarimenti cruciali sulla distinzione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, delineando con precisione come si distribuisce l’onere della prova tra Fisco e contribuente. Comprendere queste differenze è fondamentale per difendersi efficacemente in caso di accertamento fiscale.

I Fatti del Caso: un Accertamento per Fatture Sospette

Una società operante nel settore delle costruzioni speciali in cemento armato si è vista notificare un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativo all’anno d’imposta 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’utilizzo di fatture emesse da un’impresa individuale fornitrice, ritenendole relative a operazioni oggettivamente inesistenti. Di conseguenza, il Fisco negava la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi associati.

Il caso ha attraversato i due gradi di giudizio tributario. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione alla società, la Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Secondo il giudice di secondo grado, la fittizietà del fornitore rendeva irrilevante l’effettiva realizzazione delle opere, classificando le operazioni come oggettivamente inesistenti per tutti i soggetti coinvolti. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basato su otto motivi di doglianza.

La Decisione della Cassazione sulle Fatture Inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso della società, cassando con rinvio la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. I giudici supremi hanno ritenuto fondati i motivi relativi all’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e alla mancata valutazione di elementi decisivi offerti dal contribuente. La Corte ha sottolineato come il giudice di appello abbia confuso i piani di indagine tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, omettendo di considerare le prove che avrebbero potuto ricondurre il caso alla seconda ipotesi.

Le Motivazioni della Corte: L’Onere della Prova nelle Fatture Inesistenti

Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione che la Corte opera tra le due tipologie di fatture inesistenti e le conseguenze in termini probatori.

1. Inesistenza Oggettiva: Si verifica quando la prestazione o la cessione descritta in fattura non è mai avvenuta. In questo scenario, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, che l’operazione non è mai stata posta in essere. Una volta fornita tale prova, non è configurabile la buona fede del destinatario della fattura, poiché egli sa perfettamente se ha ricevuto o meno un bene o un servizio. Spetta quindi al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza della prestazione.

2. Inesistenza Soggettiva: Qui l’operazione è reale e si è verificata, ma ha coinvolto soggetti diversi da quelli indicati nel documento fiscale. In questo caso, l’onere probatorio per l’Amministrazione Finanziaria è più gravoso. Non basta dimostrare la natura fittizia del fornitore (ad esempio, una ‘cartiera’), ma occorre provare, con elementi oggettivi e specifici, che il destinatario della fattura era consapevole di partecipare a un’evasione fiscale o che avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza professionale. A fronte di tali indizi, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode.

La Cassazione ha rilevato che la Commissione Tributaria Regionale non ha tenuto conto di questa distinzione fondamentale. Il giudice di appello non ha adeguatamente considerato le prove offerte dalla società per dimostrare che, pur essendo fittizio il fornitore indicato in fattura, le prestazioni erano state effettivamente ricevute da un soggetto terzo. Questo errore ha viziato la decisione, rendendo necessario un nuovo esame da parte di un’altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado.

Inoltre, la Corte ha accolto un ulteriore motivo di ricorso, stabilendo che una parte della sentenza di primo grado, favorevole al contribuente e non specificamente appellata dall’Agenzia delle Entrate, era passata in giudicato interno e non poteva essere riesaminata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: di fronte a una contestazione per fatture inesistenti, la prima linea di difesa per un’azienda è qualificare correttamente la natura dell’inesistenza contestata. Se l’operazione è avvenuta, anche se con un soggetto diverso, è cruciale fornire tutte le prove possibili (documenti di trasporto, stati avanzamento lavori, testimonianze, pagamenti tracciabili) per dimostrare l’effettività della prestazione. In caso di inesistenza soggettiva, diventa essenziale dimostrare di aver agito con la dovuta diligenza, verificando per quanto possibile l’affidabilità del proprio partner commerciale. La decisione della Cassazione serve da monito: i giudici di merito devono valutare attentamente tutte le prove e non possono confondere due scenari, quello oggettivo e quello soggettivo, che la legge e la giurisprudenza trattano in modo nettamente distinto.

Qual è la differenza tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti?
Un’operazione è oggettivamente inesistente quando la prestazione descritta in fattura non è mai avvenuta. È soggettivamente inesistente quando la prestazione è avvenuta realmente, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nel documento fiscale.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di contestazione di fatture inesistenti?
Dipende dal tipo di inesistenza. Per quella oggettiva, l’Amministrazione Finanziaria deve provare che l’operazione non è mai esistita; a quel punto il contribuente deve provare il contrario. Per quella soggettiva, l’Amministrazione deve provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza della frode da parte del cliente; il contribuente può quindi fornire prova contraria della propria buona fede e diligenza.

Cosa deve dimostrare un’azienda per difendersi da un’accusa di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
L’azienda deve dimostrare due cose: primo, che la prestazione o la cessione del bene è stata effettivamente ricevuta, anche se da un soggetto diverso da quello indicato in fattura. Secondo, deve dimostrare di aver agito in buona fede e con la diligenza richiesta a un operatore professionale, ossia di non essere a conoscenza, né di aver potuto esserlo, di partecipare a un’evasione fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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