Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5189 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5189 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23294/2016 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. UMBRIA n. 150/2016 depositata il 17/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, esercente l’attività di agente di commercio, impugnava l’avviso di accertamento notificato in data 3/10/2013, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE Perugia accertava per l’anno 2008 un maggior reddito imponibile di € 32.129,00, a seguito del disconoscimento della deducibilità di alcuni costi.
L’impugnazione del contribuente riguardava esclusivamente l’importo RAGIONE_SOCIALE fatture, emessa da tale NOME COGNOME per ” segnalazione clienti’ , che l’RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Al riguardo deduceva che le prestazioni svolte dalla COGNOME erano effettive, avendo egli necessità di avvalersi di un collaboratore per gli adempimenti burocratici da evadere con la casa madre, nonché per attività di ‘telemarketing’ ; deduceva inoltre plurimi profili di illegittimità dell’avviso sotto il profilo formale e procedimentale.
Le ragioni del contribuente non erano apprezzate nei gradi di merito.
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della CTR dell’Umbria indicata in epigrafe con cinque motivi e l’Amministrazione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano l’« Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti della sentenza di gravame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.:, in particolare in riferimento alla circostanza della irreperibilità della sig.ra COGNOME e alla mancanza di una reale attività economica esercitata dalla stessa.» e la «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, c. 1 n. 3 c.p.c.: nello specifico, erronea applicazione alla fattispecie concreta della norma codicistica in punto di imputazione dell’onere della prova al contribuente anziché al fisco».
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la «Violazione di legge, ex art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c. in riferimento all’art. 32 DPR n. 600/73. Conseguente insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di gravame circa la nullità dell’avviso di accertamento per mancata attivazione del contraddittorio preventivo».
Con il terzo strumento di impugnazione il contribuente lamenta l’« Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, vizio di motivazione ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. – violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.»
Con il quarto motivo di ricorso si censura la «Violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in riferimento all’art. 53 Cost., conseguente insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di gravame circa la nullità dell’avviso di accertamento inerente la capacità contributiva del COGNOME.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la «Legittimità e fondatezza, nel caso de quo, del vizio di motivazione nella fattispecie dell’insufficienza e carenza interpretativa tale da integrare pure la violazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. in riferimento all’applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 e 118 norme transitorie in tema di adeguata motivazione della sentenza.
Preliminarmente, con riguardo al primo motivo, occorre rilevare che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 8915/2018), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U., n. 9100/2015).
6.1. Il motivo, laddove denuncia l’insufficiente e carente motivazione dell’avviso di accertamento, è per altro verso inammissibile, operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui
all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 24.03.2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse (ex multis, Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018) .
6.2. Il motivo è altresì infondato laddove lamenta, sotto il profilo della violazione di legge, il mancato rispetto RAGIONE_SOCIALE regole di distribuzione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente.
Al netto della genericità della censura, non ancorata a specifici parametri normativi, va rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una «cartiera» o una «società fantasma», ciò essendo gravemente indiziario della oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n.
4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737).
Va ancora rammentato che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass.,04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
6.3. Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE si è pienamente attenuta ai principi ora evocati.
I giudici di appello hanno in primo luogo richiamato gli elementi dai quali l’Ufficio fa derivare l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, così riassunti: « -la COGNOME NOME è risultata sfornita di organizzazione, irreperibile all’indirizzo indicato in fatture, priva comunque di sede e di uffici; – non è risultato possibile esaminare le sue scritture contabili in quanto il professionista che risultava formalmente depositario RAGIONE_SOCIALE stesse ha dichiarato che la COGNOME aveva ritirato tutto la documentazione dopo la presentazione della dichiarazioni dei redditi 2007; -la COGNOME NOME nella
comunicazione annuale dati Iva ha neutralizzato ricavi per€ 459.537,00= con costi per € 445.598,00=, cifre che però non hanno trovato corrispondenza nel quadro Iva della dichiarazioni dei redditi, dove sono state indicate cifre ben inferiori, essendo stato eliminato uno zero ( ricavi € 45.953,00=; costi € 45.169,00=); – la COGNOME NOME nell’anno in questione ha emesso fatture analoghe a quelle oggetto di contestazione nei confronti di numerosi altri contribuenti; – Le fatture in contestazione sono state pagate solo in parte con mezzi tracciabili ( assegni o bonifici), precisamente per € 18.742,00= su un totale Iva compresa di € 30.900,00=; – inoltre non appena le somme sono state accreditate sul conto della COGNOME è stato effettuato un prelevamento in contanti della medesima somma, modalità che costituisce un forte indizio di retrocessione dei versamenti al presunto committente».
Hanno quindi rilevato che «l’insieme di tali circostanze effettivamente costituisce un sistema di presunzioni gravi, precise e concordanti circa l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate» e che «A fronte di ciò il contribuente, in base ai principi generali dell’ordinamento ed alle pronunce della Corte di Cassazione in materia, resta onerato della prova dell’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate; nella fattispecie la commissione ritiene che non sia stata fornita una valida prova contraria».
Ha osservato a tale ultimo riguardo la CTR che le deduzioni del contribuente erano «scarsamente verosimili, in quanto presuppongono un doppio passaggio dai dati da trasmettere alla casa-madre (dal COGNOME alla COGNOME e da questa alla casa-madre) che vanificherebbe l’utilità della presunta collaborazione della COGNOME in termini di risparmio di tempo; tale ipotizzata modalità operativa inoltre non si concilia con l’assenza di costi della COGNOME per beni ammortizzabili, telefonia ed energia elettrica», evidenziato che «In ogni caso il contribuente non ha fornito prova di quanto dedotto: infatti i report che avrebbe redatto la COGNOME difettano di
ogni elemento che li possa ricondurre ad una prestazione effettuata dalla COGNOME e peraltro riportano date del 2012, mentre l’anno accertato è il 2008».
7. Il secondo motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito».
Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino» (Cass. S.U. n. 24823/2015).
7.1. Nel caso di specie non vi era alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, in quanto risulta circostanza pacifica che la verifica non si è svolta presso i locali del contribuente (Cass. S.U. n. 24823/2015). Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere ulteriormente sul fatto che Cass. SU n. 18184/13, nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata, dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. n. 212/2000), ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato
all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni.
Il terzo motivo, con il quale vengono dedotti plurimi profili di censura, è inammissibile per quanto attiene al denunciato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, ostando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente e applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 24/03/2015, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , v. Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018) .
8.2. Il motivo è altresì infondato laddove intende censurare, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ.
8.3. Come affermato da questa Corte ( ex plurimis v. Cass. n. 20748 del 1/08/2019; Cass. n. 23860 del 29/10/2020; Cass. n. 27982 del 07/12/2020), la censura alla corretta applicazione, da parte del giudice a quo, dell’art. 2727 cod. civ., è infondata, laddove essa si sostanzia nella denuncia del contrasto della decisione impugnata con un principio, il cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», la cui sussistenza nell’ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: «a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è
stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015)».
È stato in particolare evidenziato che «In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni.» (Cass. n. 27982 del 07/12/2020).
8.4. Inoltre, nel caso di specie, la censura attinge esclusivamente l’elemento presuntivo tratto dai prelievi in contanti operati dalla sig.ra COGNOME in corrispondenza dei bonifici, che costituisce uno solo dei molteplici elementi che concorrono alla argomentata e razionale ricostruzione del fatto posta in essere dai giudici di merito, in questa sede di legittimità non più censurabile.
Con il quarto motivo di ricorso il contribuente si duole del mancato riconoscimento dei costi scaturenti dai maggiori ricavi accertati a seguito del disconoscimento dell’operazione passiva inesistente.
Deduce in particolare che i giudici di secondo grado avrebbero errato nel vagliare la censura fondata sulla violazione, da parte dell’Ufficio, dell’art. 53 Cost., e cioè del principio di capacità contributiva, laddove hanno applicato la maggiore imposta sui ricavi lordi, senza tenere in considerazione i costi sostenuti per generare i ricavi recuperati a tassazione.
9.1. Il motivo è inammissibile.
È corretto, in tesi, quanto osservato dal ricorrente in ordine alla astratta deducibilità dei costi, pur in fattispecie avente ad oggetto fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti.
Va peraltro ricordato a tale riguardo che questa Corte ha più volte affermato (cfr. Cass. 19/12/2019, n. 33915, in connessione con Cass. 08/10/2014, n. 21189, Cass. 20/11/2013, n. 25967; di recente v. Cass. N. 32060/2022) che «In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 44 del 2012 siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese o altri componenti negativi».
9.2. Nella specie, il ricorrente si è limitato a muovere generiche contestazioni all’operato dei giudici di appello, senza adempiere all’onere probatorio a lui incombente nei termini ora esposti.
Il quinto ed ultimo motivo di ricorso, mediante il quale si censura, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. la nullità della sentenza per carenza di motivazione, è inammissibile.
A prescindere da ogni ulteriore valutazione, il motivo difetta di qualsivoglia specificità rispetto alle specifiche statuizioni della sentenza impugnata laddove il ricorrente, per il tramite di ampie digressioni dottrinali, denuncia genericamente la sentenza gravata con argomenti del tutto inconferenti rispetto alle specifiche statuizioni del provvedimento impugnato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della
contro
ricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 07/02/2024.