Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14966 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14966 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 17777/2021, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale indica l’ indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1505/2021 della Commissione tributaria regionale della Lombardia-sezione staccata di Brescia, depositata il 13 aprile 2021 e notificata il 22 aprile 2021 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15
aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cremona gli avvisi di accertamento distinti ai numeri T9M010300300737, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e T9M010300300800, tutti notificati il 17 ottobre 2018, con i quali l’amministrazione finanziaria aveva rettificato, ai fini delle ii.dd. e dell’Iva, i suoi redditi per i periodi d’imposta compresi fra il 2011 e il 2015, oltre ad irrogare sanzioni.
La pretesa erariale traeva origine dal rilievo della contabilizzazione di fatture per operazioni economiche inesistenti in regime di reverse charge , riferite all’acquisto , da parte di terzi, di rottami metallici effettuato dall’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, della quale il contribuente era il titolare.
L a natura di tali operazioni era emersa nel corso di un’articolata indagine su un’organizzazione criminale che, fra l’altro, mediante l’interposizione di soggetti indagati, poneva in essere operazioni oggettivamente inesistenti al fine di disperdere le tracce del denaro ottenuto attraverso altre condotte illecite.
La C.T.P. respinse il ricorso.
Il successivo appello del contribuente seguì identica sorte.
I giudici regionali, per quanto in questa sede ancora di interesse, ritennero che l’Ufficio avesse assolto il proprio onere probatorio, consistente nella dimostrazione di elementi indiziari, connotati da
gravità, precisione e concordanza, mentre, per contro, il COGNOME non avesse dimostrato l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. Error in procedendo. Errata ripartizione dell’onere della prova», il ricorrente censura la sentenza impugnata in punto all’applicazione dei principii che regolano la pro va nel caso di contestata emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Assume, in particolare, che i giudici d’appello avrebbero considerato sufficienti a far ritenere assolto l’onere probatorio erariale i soli elementi sintomatici dell’inesistenza soggettiva delle operazioni dedotte nelle fatture contestate, senza compiere alcuna valutazione sui profili del contribuente.
Con il secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 115 e 132 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5), il ricorrente assume che la C.T.R. avrebbe omesso di rilevare che l’Amministrazione non aveva mai contestato la circostanza dell’effettiva rivendita, da parte sua, dei materiali oggetto delle contestate operazioni, risultante « da tutte le fatture emesse dalla propria impresa ».
Tale circostanza, infatti, escludeva che si trattasse di operazioni oggettivamente inesistenti -ma, al limite, solo soggettivamente tali -e, quindi, che si fosse prodotto in capo all’erario il pregiudizio esposto negli atti impositivi.
Il primo motivo non è fondato.
3.1. In punto alla prova dell’esistenza di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, la sentenza impugnata si è posta in continuità con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 9723/2024 e Cass. n. 28628/2021), secondo cui il relativo onere è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l ‘ assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’Iva e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, che non può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
Coerentemente con tale impostazione, infatti, i giudici d’appello hanno anzitutto rilevato la sussistenza di una pluralità di elementi connotati dai requisiti propri della prova presuntiva, quali « profonde irregolarità nella compilazione, da parte delle imprese fornitrici, dei documenti di trasporto delle merci, compilati in maniera generica o incompleta o mancanti di dati fondamentali per verificare l’autenticità dell’avvenuto trasporto assenza fisica delle aziende presso la sede legale riportata nel d ocumento fiscale, ed ancora l’esistenza di immediati prelevamenti in denaro contante e/o assegni sui conti delle imprese fornitrici avvenute contestualmente al pagamento delle fatture da parte della RAGIONE_SOCIALE » (pagg. 3-4 sentenza impugnata).
A fronte di ciò, quindi, hanno riscontrato l’assenza di validi elementi di prova contraria offerti dal contribuente, che si era limitato
ad invocare il valore probatorio delle risultanze della propria contabilità.
3.2. Tale essendo il quadro delle argomentazioni di supporto alla decisione impugnata, erra il ricorrente nell’affermare che l’Amministrazione avrebbe dovuto provare « non solo che i soggetti emittenti non hanno mai effettuato tali operazioni, ma anche che il contribuente non le ha mai ricevute » (pag. 6 ricorso), poiché, come si è detto, le circostanze dimostrate dall’Ufficio sono invece ampiamente sufficienti a supportare la pretesa.
D’altro canto, la censura non scalfisce l’affermazione della C.T.R. secondo la quale il contribuente non ha adempiuto al proprio onere di controprova; con essa, infatti, il COGNOME insiste sul fatto che i giudici d’appello non avrebbero valorizzato i dati risultanti della sua contabilità, dei quali, invece, va ribadita l’inadeguatezza allo scopo.
Il secondo motivo è inammissibile e, in ogni caso, infondato.
4.1. È inammissibile in quanto, dietro l’apparente denunzia dell’omesso esame di un fatto controverso, esso è in realtà volto a sollecitare questa Corte ad un riesame del materiale probatorio, e in particolare dalla documentazione indicata dal ricorrente, che non può invece trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
4.2. In ogni caso, la censura è anche infondata per le stesse ragioni espresse in relazione al primo motivo.
Con essa, infatti, il ricorrente pretende di attribuire rilievo probatorio, tramite il meccanismo della non contestazione, alle fatture risultanti dalla propria contabilità, delle quali, come già detto, non può trarsi adeguata controprova rispetto alle presunzioni che sorreggono il credito erariale.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 10.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.