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Fatture inesistenti: onere della prova del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14966/2025, ha confermato che in caso di contestazione di fatture per operazioni inesistenti, spetta al contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni. L’Amministrazione Finanziaria può basare l’accertamento su prove indiziarie gravi, precise e concordanti, come l’assenza di una reale struttura del fornitore. La sola contabilità del contribuente non è sufficiente a superare tali presunzioni.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Inesistenti: L’Onere della Prova Ricade sul Contribuente

L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti rappresenta una delle più gravi forme di evasione fiscale. Ma cosa succede quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la validità di tali documenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come si distribuisce l’onere della prova tra Fisco e contribuente, stabilendo principi ferrei a tutela dell’erario. La sentenza sottolinea che, di fronte a solidi indizi presentati dall’Ufficio, la semplice esibizione della fattura e della contabilità non è sufficiente per il contribuente a dimostrare la veridicità dell’operazione.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un imprenditore individuale operante nel settore del commercio di rottami metallici. L’Agenzia delle Entrate gli notificava diversi avvisi di accertamento per gli anni d’imposta dal 2011 al 2015, rettificando redditi e IVA. La contestazione si fondava sulla presunta contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, relative all’acquisto di rottami in regime di reverse charge.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali operazioni erano fittizie e si inserivano in un più ampio schema criminoso. Le indagini avevano rivelato che le imprese fornitrici erano in realtà soggetti interposti, privi di una reale struttura aziendale e creati al solo scopo di emettere fatture false per disperdere le tracce di denaro proveniente da altre attività illecite. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi del contribuente, ritenendo che l’Ufficio avesse fornito prove sufficienti (indiziarie) della frode.

L’Onere della Prova nelle Fatture per Operazioni Inesistenti

Il cuore della questione legale ruota attorno alla ripartizione dell’onere probatorio. Il contribuente, nel suo ricorso per cassazione, sosteneva che l’Agenzia avesse errato, non provando in modo conclusivo che le operazioni non fossero mai avvenute. A suo dire, l’Ufficio si era limitato a dimostrare l’inesistenza soggettiva (cioè la falsità del fornitore), senza contestare che la merce fosse stata effettivamente acquistata e poi rivenduta, come dimostrato dalle fatture di vendita emesse dalla sua stessa impresa.

La Corte Suprema, tuttavia, ha ribadito il suo orientamento consolidato. In tema di fatture per operazioni inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria può assolvere il proprio onere probatorio anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Tra questi indizi rientrano:

* L’assenza di una idonea struttura organizzativa da parte del fornitore (mancanza di locali, mezzi, personale).
* Irregolarità gravi nei documenti di trasporto.
* Prelevamenti immediati in contanti o tramite assegni subito dopo l’accredito dei pagamenti delle fatture.

Una volta che il Fisco ha fornito questo quadro indiziario, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. E, come sottolinea la Corte, non basta esibire la fattura o la regolarità formale delle scritture contabili, poiché questi elementi sono tipicamente utilizzati proprio per mascherare un’operazione fittizia.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, confermando la legittimità degli accertamenti fiscali.

Le Motivazioni

I giudici hanno spiegato che l’insieme degli elementi raccolti dall’Agenzia delle Entrate era più che sufficiente a sostenere la pretesa erariale. Le profonde irregolarità nei documenti di trasporto, l’assenza fisica delle aziende fornitrici presso le loro sedi legali e i sospetti flussi finanziari costituivano un quadro probatorio presuntivo solido e coerente.

A fronte di ciò, il contribuente si era limitato a invocare il valore probatorio della propria contabilità, senza offrire elementi di prova contraria validi. La Corte ha chiarito che l’affermazione secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto provare “non solo che i soggetti emittenti non hanno mai effettuato tali operazioni, ma anche che il contribuente non le ha mai ricevute” è errata. Gli indizi raccolti dall’Ufficio erano ampiamente sufficienti a spostare l’onere della prova sul contribuente, onere che non è stato assolto.

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata contestazione della rivendita della merce, è stato ritenuto inammissibile e infondato. La Corte ha specificato che le fatture di vendita emesse dal contribuente non possono costituire adeguata controprova rispetto alle presunzioni che sorreggono il credito erariale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutti gli operatori economici: la massima diligenza nella scelta dei propri partner commerciali è essenziale. Di fronte a una contestazione di fatture per operazioni inesistenti basata su prove indiziarie, il contribuente non può difendersi semplicemente mostrando la regolarità formale della propria documentazione contabile. È necessario fornire prove concrete e sostanziali dell’avvenuta operazione (documenti di trasporto dettagliati e attendibili, prova della consegna, corrispondenza commerciale, ecc.). La sentenza serve da monito: la forma non può mai prevalere sulla sostanza, specialmente quando emergono solidi indizi di frode fiscale.

Chi deve provare che le fatture sono false?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di avviare la contestazione, fornendo elementi probatori, anche basati su presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano dubitare della veridicità delle operazioni documentate dalle fatture.

Cosa deve fare il contribuente se l’Agenzia delle Entrate contesta delle fatture?
Una volta che l’Ufficio ha presentato un quadro indiziario solido, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, e la sola esibizione delle fatture, dei mezzi di pagamento o delle scritture contabili non è considerata una prova sufficiente.

La rivendita della merce è una prova sufficiente che l’operazione di acquisto era reale?
No. Secondo questa ordinanza, il fatto che il contribuente abbia a sua volta emesso fatture per la vendita della stessa merce non costituisce, di per sé, una prova adeguata a superare le presunzioni di inesistenza dell’operazione di acquisto originaria, specialmente se queste sono supportate da forti elementi indiziari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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