Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25246 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25246 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 103/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA n. 4506/2015 depositata il 28/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE era attinta dall’avviso di accertamento n. TY303A100561/2011 con cui, relativamente all’anno 2006, venivano accertati elementi negativi di reddito non deducibili per euro 491.396, con conseguente recupero di maggiori IRES, RAP ed IVA, oltre interessi e sanzioni. L’avviso scaturiva da pvc della GdF di Palermo, che, ad esito di una verifica fiscale a carattere generale a carico della contribuente ed a seguito di controlli incrociati esperiti nei confronti di altri soggetti, rilevava la contabilizzazione di fatture afferenti ad operazioni inesistenti emesse dalla ditta individuale COGNOME Battista Francesco.
Su impugnazione della contribuente, la CTP di Palermo, con sentenza n. 6324/7/14 del 23 settembre 2014, accoglieva parzialmente il ricorso, confermando il recupero dei costi indebitamente dedotti ai fini dell’IRES e dell’IRAP per oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate ed annullando invece il recupero ai fini dell’IVA in ragione dell’applicazione del regime del ‘reverse charge’.
Proponevano appello la contribuente in via principale e l’Ufficio in via incidentale.
3.1. La CTR, con la sentenza emarginata, rigettava l’appello principale, accoglieva l’appello incidentale e confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui rigettava il ricorso. In motivazione, escluse le denunciate violazioni formali, riteneva ‘ che le fatture contestate soggettivamente e oggettivamente inesistenti ‘, osservando:
il COGNOME aveva dichiarato ‘ di non avere mai svolto nella sua vita l’attività di raccolta di rottami e cascami di ferro e di non conoscere la società RAGIONE_SOCIALE. I militari, inoltre, presso la sede del Giuffrè rilevavano: –l’inesistenza di una qualsiasi organizzazione di beni finalizzata alla raccolta e/o alla vendita di rottami di metallo; — che la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva cessato ogni attività
avente per oggetto ‘lavori generali di costruzione edifici e lavori di ingegneria civile’ a far data dal 31/08/2005; — che la data di cessazione dell’attività del Giuffré era anteriore alla data di emissione delle fatture intestate allo stesso ‘;
-‘ le fatture incriminate, venivano pagate, per notevoli importi in contanti, attraverso l’emissione di assegni emessi dalla società per importi da euro 20.000 fino a euro 50.000 a se stessa e accreditati contabilmente sul conto cassa contanti . sono state sempre pagate dalla società con denaro contante di pari importo prelevato dai c/c della società con assegni intestati a se stessa ‘ ;
-altro soggetto, ‘ indicato dalla società come incaricato alle consegne, tale Sig. COGNOME dichiarava ‘di essere stato intermediario nella compravendita di materiale ferroso, di avere acquistato il materiale in mezzo la strada, di avere riportato e documentato le vendite con fatture redatte da persone che di volta in volta trovava a Carini, di avere intestate dette fatture con timbri, trovati nel cassonetto della spazzatura, a nome di altri ‘;
-‘In merito alla perizia tecnica depositata agli atti dall’appellante anche se attesta che il quantitativo totale del materiale acquistato doveva essere disponibile in azienda, la stessa non dimostra con certezza ed effettivamente che quel quantitativo di materiale è specificamente afferente alle fatture incriminate ‘.
Proponeva ricorso per cassazione la contribuente con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. Con requisitoria in data 20 dicembre 2022 depositata telematicamente, il Sost. Proc. Gen. presso questa Suprema Corte, in persona del Dott. NOME COGNOME instava per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, osservando: ‘ Il ricorso è inammissibile, anzitutto nei suoi primi quattro motivi, tutti preordinati ad ottenere una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dalla sentenza impugnata, che
ha affermato l’inesistenza, oggettiva e soggettiva, delle operazioni sottostanti alle fatture per cui è causa. Deve ritenersi inammissibile anche il quinto motivo, con cui si sostiene che sia stato violato il principio di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente sulla base del fatto che dalla lettura del p.v.c. e del verbale di accesso non sarebbero desumibili le ragioni dell’accesso e l’oggetto della verifica, profilo che per vero nessuna norma prevede come causa di nullità ‘.
Con atto depositato telematicamente in data 16 gennaio 2023, il difensore della contribuente presentava istanza di sospensione ex art. 1, comma 197 l. n. 197 del 2022 (Legge di Bilancio 2023), cui alla pubblica udienza del 24 gennaio 2023 il P.M. non si opponeva. Con ordinanza resa all’esito di detta udienza, il giudizio veniva sospeso.
Con istanza del 21 giugno 2024, l’Agenzia comunicava che ‘ la causa non risulta interessata da domande di definizione della controversia ex art. 1 della L. 197/2022 ‘, instando per la prosecuzione del giudizio.
CONSIDERATO CHE
Assume priorità il quinto motivo di ricorso. Vi si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e precisamente dart. 12, comma 2, della l. n. 212/2000 (art. 360, n. 3, c.p.c.) ‘, perché dal ‘ processo verbale di accesso redatto in data 17/03/2010 non è possibile desumere le ragioni e l’oggetto della verifica ‘; la CTR risponde che tali informazioni si traggono dal pvc e dall’avviso di accertamento; tuttavia, tali informazioni devono essere rese, ai sensi dell’art. 12, comma 2, l. n. 212 del 2000, ‘quando viene iniziata la verifica’.
1.2. Il motivo è inammissibile, perché la contribuente non illustra quale pregiudizio abbia concretamente sofferto dalla denunciata violazione. Né, ancora, quest’ultima, pur in via di mera ipotesi sussistente, è in alcun modo legislativamente sanzionata
(cfr. Sez. n. 28692 del 09/11/2018, Rv. 651273-01 : ‘ ve non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa è iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione dell’art. 12, comma 2, della l. n. 212 del 2000, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione ‘ ).
Il motivo è comunque infondato. La sentenza impugnata rende conto delle finalità della verifica ed afferma che le stesse sono esplicitate sia nel pvc che nell’avviso di accertamento. In particolare, il pvc, su cui si appuntano le censure, costituisce un atto riepilogativo di atti ed attività rispettivamente formalizzati e compiute in verifica, onde pervenire alle contestazioni, con la conseguenza che -salvo contraria dimostrazione, nella specie non fornita -ciò che risulta dal pvc risulta anche dagli atti pregressi.
Il primo ed il secondo motivo, per comunanza di censure, possono essere illustrati ed esaminati congiuntamente.
Con il primo si denuncia: ‘ Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4), del D.Lgs. n. 546/1992 (art. 360, n. 4, c.p.c.) ‘. La CTR ha assunto che gli acquisti documentati con le fatture contestate sarebbero al contempo soggettivamente ed oggettivamente inesistenti: ma ‘ detta qualificazione palesa un’evidente contraddizione ‘.
Con il secondo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e precisamente dell’art. 109 del d.P.R. n. 917/1986 e dell’art. 14, comma 4 -bis, della l. n. 537/1993 (art. 360, n. 3, c.p.c.) ‘. La contribuente già in primo grado aveva depositato consulenza tecnica attestante l’oggettiva esistenza delle operazioni, rilevando che diversamente non avrebbe potuto vendere le quantità di metallo indicate nelle fatture verso le
fonderie cessionarie. Tuttavia, la CTR, pur riconoscendo il valore di detta consulenza, nega la deducibilità del costo.
I motivi sono inammissibili, perché, sotto le spoglie delle dedotte censure, mirano in realtà ad ottenere una nuova valutazione del materiale istruttorio, già vagliato dalla CTR.
5.1. Essi sono altresì infondati. Non sussiste, ad una doverosa lettura complessiva della motivazione della sentenza impugnata, l’insanabile contrasto paventato nel primo motivo. La CTR ha accertato -sulla scorta, congiuntamente, delle dichiarazioni dell’apparente cedente COGNOME il quale ha negato qualsivoglia rapporto di fornitura in favore della contribuente, e di quelle del soggetto ‘ indicato dalla società come incaricato alle consegne, tale Sig. COGNOME il quale sostiene di aver egli, in prima persona, ‘ acquistato il materiale in mezzo la strada ‘ e di averne documentato le vendite ‘ con fatture redatte da persone che di volta in volta trovava a Carini ‘ -la radicale inesistenza delle operazioni. Nel percorso giustificativo della conclusione della CTR, la conferma della radicale inesistenza delle operazioni, in guisa dunque di inesistenza oggettiva, si trae dalle peculiari modalità dei pagamenti, atteso che -essendo le fatture ‘ state sempre pagate dalla società con denaro contante di pari importo prelevato dai c/c della società con assegni intestati a se stessa ‘, non solo è impedita ‘ la tracciabilità del pagamento ‘, ma, con essa, altresì ‘ la conoscenza del beneficiario, che potrebbe anche supporsi sia la stessa società ‘. In altre parole, afferma la CTR, la contribuente non ha fornito prova di alcun flusso di denaro in uscita diretto, se non al Giuffrè, almeno ad altro fornitore.
Né ragioni di perplessità emergono dalla disamina che la CTR compie della consulenza tecnica. Infatti, si sottrae a critiche l’osservazione della CTR secondo cui, anche a ritenere, con detta consulenza, la giacenza in azienda di volumi di merce corrispondenti a quelli indicati nelle fatture, alla stregua,
nondimeno, di un assunto di per sé privo, ancora in ricorso, di alcuna dimostrazione radicata in richiami documentali, ciò comunque non offrirebbe conferma della riferibilità di tale merce non individuata alle specifiche fatture oggetto di giudizio (ben potendo essa, in difetto di ulteriori esplicitazioni della contribuente, essere già presente in sito in quanto riferibile ad altri rapporti di fornitura): in altri termini, rileva coerentemente la CTR, avrebbe dovuto essere la contribuente a fornire elementi sufficienti a ricondurre le fatture contestate a copertura di forniture effettuate in realtà da terzi.
In virtù di quanto precede, il fatto che la CTR, con espressione pur infelice, abbia affermato che ‘ le fatture contestate sono soggettivamente e oggettivamente inesistenti ‘ agli effetti degli artt. 19 e 21 d.P.R. n. 633 del 1972, ed abbia ribadito il concetto dopo aver espresso la necessità di verificare se le stesse fossero ‘ anche oggettivamente inesistenti sotto il profilo delle imposte dirette ‘ (profilo, questo secondo, di per sé tuttavia non casuale, poiché l’inesistenza soggettiva legittima, a determinate condizioni, la deduzione dei costi, ciò di cui in effetti ragiona il terzo motivo), significa che essa -cadendo, per così dire, in un ‘eccesso linguistico per ridondanza’ ha recisamente escluso che le operazioni documentate nelle fatture contestate abbiano mai avuto effettivamente luogo. L a soggettività dell’inesistenza costituisce cioè una sorta di completamento della ritenuta radicale inesistenza oggettiva, nel segno di quella che, a tutti gli effetti, la CTR considera un’inesistenza fisica e reale.
Del resto, ed in tal senso i motivi cadono in decisivo difetto allegatorio, la contribuente non contrasta ‘anche’ la testuale affermazione della CTR relativa all’essere, ‘altresì’ e ‘comunque’, le operazioni in contestazione ‘ oggettivamente ‘ -ossia, come dicevasi, radicalmente -inesistenti: per l’effetto, in un contesto di totale non tracciabilità dei pagamenti effettuati nelle descritte
guise, non assolve l’onere di dimostrare in fatto (e non solo ‘cartolarmente’, tanto più che l’attività del COGNOME, del tutto estranea all’attività della contribuente, era cessata anteriormente ‘ alla data di emissione delle fatture intestate allo stesso ‘) l’effettivo presupposto della detrazione dell’imposta e, soprattutto, nella prospettiva del secondo motivo, della deduzione dei costi, di cui in definitiva non dimostra l’esistenza (cfr. già Sez. 5, n. 25775 del 05/12/2014, Rv. 634171-01).
Anche il terzo ed il quarto motivo possono essere illustrati ed esaminati congiuntamente.
Con il terzo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e precisamente degli artt. 21, comma 7, e 74, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972 (art. 360, n. 3, c.p.c.) ‘, per violazione della disciplina del ‘reverse charge’.
Con il quarto si denuncia: ‘ Nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 (art. 360, n. 4, c.p.c.) ‘, avendo la CTR accolto l’appello incidentale dell’Ufficio, nonostante che solo in esso questo ha ‘ sostenuto che l’odierna ricorrente sarebbe comunque tenuta a pagare l’IVA, applicabile con il sistema del ‘reverse charge’ sulle stesse fatture, ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 ‘.
Principiando dal quarto motivo, che assume priorità, lo stesso è infondato . Non riprodotto l’atto di appello agenziale, pretermette che l’inesistenza dell’operazione incide sull’utilizzo della fattura anche in regime di inversione contabile, impedendo l’esercizio del la detrazione. L’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/72, difatti, incide non soltanto direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta, ma indirettamente, in combinazione con l’art. 19, comma 1, e l’art. 26, comma 3, del medesimo decreto, pure sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta in carenza del suo presupposto. Nel caso di operazioni
inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide -in base alla combinazione delle suddette norme – sul destinatario della fattura che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza anche soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata (Cass., Sez. 5, n. 2862 del 31/01/2019 (Rv. 652333 – 01). Dunque, l’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972 è posto a fondamento della pretesa impositiva e il giudice deve farne applicazione in virtù del principio ‘iura novit curia’.
10. Ciò introduce, giust’appunto, al terzo motivo, da disattendersi. Nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 2862 del 31/01/2019, Rv. 652333-01, cit.) è acquisito il principio dell’indetraibilità dell’iva concernente le operazioni inesistenti compiute in regime d’inversione contabile (cd. ‘reverse charge’) .
Siffatto principio, che vale quando ‘ venga meno la corrispondenza, ‘anche’ soggettiva , dell’operazione fatturata ‘, trova più di recente esplicitazione in Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882-01, che, pur in precipua relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, in motivazione (par. 2.9, fg. 10), ricorda come ‘ la Corte di giustizia (CGUE 11 novembre 2021, in causa C281/20, Ferimet SL), che si occupata per la prima volta della disciplina del reverse charge in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ha stabilito che la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006 (direttiva IVA), letta in combinazione con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretata nel senso che a un soggetto passivo va negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto
passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo o se è sufficientemente dimostrato che tale soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in una simile evasione )’.
Le ragioni del principio sono recepite in numerose pronunce di questa S.C., intese ad evidenziare (cfr., ad es., tra le più recenti, Sez. 5, n. 19652 del 21/09/2020, in motiv., par. 2.4, p. 4) che, ‘ nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’Iva integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28-octies, par. 1, lett. d), dir. 1977/388/CE , anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto degli artt. 21, settimo comma, 19, primo comma, e 26, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza, anche solo soggettiva (e, a maggior ragione, se oggettiva) dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata (v. Cass. n. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 16679 del 09/08/2016) ‘.
I superiori insegnamenti trovano l’avallo delle Sezioni Unite, le quali, nella nota sentenza n. 22727 del 20/07/2022, confermano come il regime di detraibilità in caso di inversione contabile costituisca un ‘posterius’ rispetto all’esistenza delle operazioni (quale requisito sostanziale dell’esercizio del diritto di detrazione),
giacché, inversamente, dall’inesistenza di queste discende, in presenza dell’elemento psicologico, l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997. Ed infatti il Massimo Consesso (giusta il principio di diritto ‘sub’ Rv. 665195 -02) afferma che, ‘ alle operazioni imponibili, oggettivamente e soggettivamente inesistenti sottoposte al regime contabile del ‘reverse charge’, quando per queste ultime sia provato l’elemento psicologico, è applicabile la sanzione prevista dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, essendo la stessa finalizzata ad osteggiare le condotte potenzialmente destinate alla realizzazione di intenti frodatori ed evasivi mediante l’esercizio della detrazione in assenza dei requisiti sostanziali, rispetto alle quali non opera la fattispecie di cui all’art. 6, comma 9-bis, prima parte, dello stesso decreto, dettata per le sole ipotesi di violazioni formali ‘. Ciò alla luce della considerazione (cfr. in motiv. parr. 7.6. e 7.7., p. 19 s.) che ‘ a frode opera, dunque, come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’IVA (implicitamente, Corte giust., 8 maggio 2008, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Entrate – Ufficio di Genova 3, C-95/07 e C-96/07, par.70, e Cass., n.5072/2015), ossia al principio secondo cui la detrazione d’imposta è accordata se i requisiti sostanziali dell’operazione sono comunque soddisfatti (Corte giust. 11 dicembre 2014, RAGIONE_SOCIALE, causa C-590/13, p.38). Analogamente, Corte giust., 8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE, C-712/17, par.24, ha ritenuto che, quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, sicché, ‘(…) è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.’ -cfr. p.25 sent. RAGIONE_SOCIALE, cit.-. Di conseguenza, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto alla detrazione
(Corte giust., 27 giugno 2018, SGI e Valériane, C-459/17 e C460/17, punto 36). Il tutto si inserisce nell’obbligo imposto a ciascuno Stato membro di ‘prevenire ogni possibile frode’ (art. 13 Dir. CEE 77/388), pur con modalità non armonizzate ed ancora, nella piena equiparabilità alla frode delle operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, in quanto idonee ad alterare le prove e, dunque, ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta -cfr. punti 48-49, sent. Halifax, cit.-‘.
10.1. Tornando al caso oggetto di giudizio, merita aggiungere che la sentenza impugnata risulta conforme, oltreché ai citati, ad un ulteriore principio invalso in giurisprudenza, secondo cui, su un piano che trascorre dal diritto sostanziale a quello processuale, in caso di ‘reverse charge’, poiché ‘ l’obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione della medesima imposta a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive ‘, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, ‘ è ammessa ‘ -secondo, del resto, le regole generali -‘ anche la prova mediante presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente ‘ (così già Sez. 5, n. 12649 del 19/05/2017, Rv. 644152-01).
11. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni conseguenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 10.600 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 11 luglio 2025.