Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24814 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24814 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 2823/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, n. 4085/16/2023 depositata il 04.07.2023. 11 giugno 2025
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Roma rigettava il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di accertamento, riguardante IVA
ed altro per l’anno di imposta 2015, con il quale era stata recuperata l’IVA relativa a fatture ritenute oggettivamente inesistenti ;
con la sentenza indicata in epigrafe, la CGT-2 del Lazio rigettava l’appello proposto dalla contribuente confermando la pronuncia di prime cure e osservando, per quanto qui rileva, che:
-la ripresa dell’IVA riguardava fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per lavori edili; secondo la tesi dell’Amministrazione la RAGIONE_SOCIALE subappaltava ad altre imprese tali lavori, che non pagava; l’IVA veniva detratta dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento a prestazioni mai pagate ai subappaltatori;
-l’Amministrazione aveva offerto significativi ed incontestabili elementi a supporto della ripresa, dai quali emergeva una evidente connessione fra le due società, gestite dai medesimi soggetti, con analoghe modalità operative e con lo stesso rappresentante legale;
nei medesimi locali era stata rinvenuta documentazione riferibile ad entrambe le società, le quote sociali della RAGIONE_SOCIALE erano detenute, rispettivamente, dalla moglie e dalla compagna degli amministratori di fatto; la RAGIONE_SOCIALE si serviva della RAGIONE_SOCIALE (poi fallita), quale soggetto interposto, rispetto alle aziende subappaltatrici dei lavori edili omettendo di pagare i corrispettivi e detraendo l’IVA; per gli anni 2015 e 2016 entrambe le società omettevano di presentare le dichiarazioni fiscali, la RAGIONE_SOCIALE non versava le imposte, ma la RAGIONE_SOCIALE registrava le fatture passive, ne deduceva i costi e detraeva l’IVA;
avendo la RAGIONE_SOCIALE utilizzato la RAGIONE_SOCIALE come società schermo per conseguire indebiti vantaggi fiscali, le operazioni fatturate dovevano ritenersi mai realmente avvenute nei termini e con le modalità indicate documentalmente;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CGT-2 con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
l ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992, 19 d.P.R. n. 633/1972, 2697 cod. civ. e 24 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per aver la CGT-2 applicato erroneamente la normativa sulla detraibilità dell’IVA in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, confondendo la fattispecie di inesistenza oggettiva con quella di inesistenza soggettiva e non effettuando una corretta valutazione circa la ripartizione dell’onere della prova fra le parti; precisa che la contribuente aveva dimostrato l’effettiva realizzazione degli immobili oggetto delle fatture contestate, i cui lavori erano stati appaltati dalla COGNOME alla DAM;
– il motivo è inammissibile, perché denuncia solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
– occorre rilevare che questa Corte ha più volte affermato che, con riferimento alla questione della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA nel caso di fatture per operazioni inesistenti, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, né la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente
utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia ( ex plurimis , Cass. 19.10.2018, 26453);
il giudice di appello si è attenuto ai suindicati principi dando rilievo agli elementi indiziari indicati dall’Ufficio nell’atto impositivo, quali la commistione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, nonché il ruolo di società schermo della DAM , non avendo quest’ultima mai eseguito le prestazioni indicate in dette fatture e non avendo la RAGIONE_SOCIALE mai avuto alcun rapporto con i terzi subappaltatori a cui la RAGIONE_SOCIALE, peraltro, non aveva pagato alcuna prestazione. Poiché le somme versate dalla RAGIONE_SOCIALE alla DAM non erano costi effettivamente sostenuti, stante anche il ruolo di società schermo di quest’ultima, si trattava di costi fittizi che non potevano essere dedotti dalla contribuente e la relativa IVA non poteva essere dalla stessa detratta;
-con il secondo motivo deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex artt. 112 c.p. e 19 d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. , per avere la CGT-2 omesso di esaminare gli errori di calcolo commessi dal giudice di prime cure circa l’ammontare della ‘presunta’ I VA detraibile.
il motivo è inammissibile;
-a prescindere dall’erroneo riferimento all’art. 112 del codice penale, nella specie opera il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 14.03.2022, non avendo il ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
– in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 2.400,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 giugno 2025.