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Fatture inesistenti e onere della prova: Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33108/2024, interviene sul tema delle fatture inesistenti e sull’onere della prova. Un contribuente aveva ottenuto l’annullamento di un avviso di accertamento nei primi due gradi di giudizio per carenza di motivazione. La Suprema Corte ha però cassato la decisione d’appello, chiarendo che il giudice di merito ha il dovere di valutare tutti gli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria, non singolarmente ma nel loro complesso, per verificare la sussistenza della prova presuntiva. La sentenza distingue nettamente tra il piano della motivazione dell’atto e quello dell’assolvimento dell’onere probatorio in giudizio.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture inesistenti e onere della prova: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33108 del 18 dicembre 2024, ha fornito importanti chiarimenti sulla gestione dell’onere della prova nei casi di accertamento per fatture inesistenti. Questa pronuncia sottolinea la necessità per i giudici di merito di valutare in modo approfondito e complessivo gli indizi presentati dall’Amministrazione Finanziaria, distinguendo nettamente tra il piano della motivazione dell’atto e quello probatorio.

I fatti di causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a un contribuente l’indebita deduzione di costi derivanti da fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti. L’atto si basava su una serie di elementi indiziari emersi a carico delle società fornitrici.

Il contribuente impugnava l’atto e otteneva ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). Entrambi i giudici ritenevano l’avviso di accertamento carente di motivazione, poiché gli indizi forniti dall’Ufficio non erano stati ritenuti sufficienti a dimostrare l’inesistenza delle operazioni fatturate. In particolare, la CTR aveva considerato che gli elementi a carico delle società emittenti (come scarso personale o irregolarità contabili) non avessero un collegamento diretto con le specifiche fatture contestate al contribuente.

L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle norme sull’onere della prova e sulla valutazione della prova presuntiva.

La decisione della Corte di Cassazione sull’onere della prova

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il punto centrale della decisione è la netta distinzione tra due piani che la CTR aveva erroneamente confuso: quello della motivazione dell’atto impositivo e quello dell’assolvimento dell’onere probatorio in giudizio.

L’analisi della prova indiziaria in caso di fatture inesistenti

Secondo la Cassazione, in tema di fatture inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria può assolvere il proprio onere probatorio anche attraverso presunzioni semplici, ovvero fornendo una serie di indizi gravi, precisi e concordanti.

La Corte ha criticato l’operato della CTR per non aver effettuato una corretta valutazione di tali indizi. Il giudice di merito, infatti, non deve limitarsi a esaminare ogni indizio singolarmente, ma deve procedere a una valutazione complessiva e sintetica. Solo attraverso questa visione d’insieme è possibile verificare se, combinati tra loro, gli elementi forniti siano in grado di costituire una prova presuntiva valida dell’inesistenza delle operazioni.

Il corretto procedimento di valutazione del giudice

La Cassazione ha ribadito che il procedimento logico che il giudice deve seguire si articola in due momenti:
1. Valutazione analitica: si esamina ogni singolo indizio per verificarne la potenziale efficacia probatoria, scartando quelli irrilevanti.
2. Valutazione sintetica: si esaminano tutti gli indizi residui nel loro complesso per accertare se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova valida, grave, precisa e concordante del fatto ignoto (in questo caso, l’inesistenza dell’operazione).

La CTR, invece, aveva analizzato gli indizi in modo atomistico e aveva preteso un “diretto collegamento” tra gli indizi a carico delle società emittenti e le fatture del contribuente, misconoscendo la natura stessa della prova presuntiva, che si basa su una logica di contesto.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sul principio che il giudice di merito ha fatto “malgoverno dei superiori principi” in materia di prova. La CTR, pur indicando gli indizi forniti dall’Agenzia, non li ha poi analizzati né singolarmente né in modo sincretico per valutarne la capacità probatoria complessiva. Ha inoltre commesso un errore nel valorizzare eccessivamente elementi formali addotti dal contribuente (come il fatto che le fatture rappresentassero l’intero ammontare degli acquisti), che di per sé non sono incompatibili con la tesi dell’Agenzia su operazioni fittizie. In sostanza, il giudice d’appello ha confuso il piano della prova con quello della motivazione dell’atto, non applicando correttamente le regole sulla prova presuntiva previste dall’art. 2729 del codice civile.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale nel contenzioso tributario: per contrastare l’utilizzo di fatture inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente basarsi su un quadro indiziario solido. La semplice regolarità formale dei documenti contabili o dei pagamenti non è sufficiente per il contribuente a superare la prova presuntiva offerta dall’Ufficio. I giudici di merito sono chiamati a un’attenta e complessiva valutazione di tutti gli elementi in campo, senza fermarsi a un’analisi parziale e frammentata che vanificherebbe l’efficacia della prova per presunzioni.

Chi deve provare che le operazioni fatturate sono inesistenti?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire la prova, anche tramite indizi gravi, precisi e concordanti (prova presuntiva), che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai avvenute. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

È sufficiente che l’Agenzia delle Entrate fornisca degli indizi per contestare le fatture inesistenti?
Sì, a condizione che gli indizi siano gravi, precisi e concordanti. Il giudice non deve valutarli singolarmente, ma nel loro complesso, per verificare se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova presuntiva valida della fittizietà delle operazioni.

Cosa deve fare il contribuente per difendersi dall’accusa di aver utilizzato fatture inesistenti?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Secondo la sentenza, non è sufficiente limitarsi a esibire la fattura o a dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili o dei pagamenti, poiché questi elementi sono facilmente falsificabili e tipicamente utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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