Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33108 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33108 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6912/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 1763/2020 depositata il 05/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe emerge che la DP II di Milano dell’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso la sentenza n. 4446/10/2018 resa in data 17 settembre 2018 e depositata in data 15 ottobre 2018 dalla locale CTP, con la quale era stato accolto il ricorso di COGNOME NOME avverso l’avviso di accertamento n. T9D 012E02607/2017 – ritenuto dalla CTP carente di motivazione – recante la rideterminazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette ed indirette per l’anno 2011, in conseguenza del disconoscimento di elementi passivi rappresentati da fatture per operazioni inesistenti.
La CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
È insegnamento ormai costante e consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui ‘l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem ‘.
Ciò che qui rileva, in relazione alle eccezioni svolte nel corso del primo grado di giudizio e riproposte in sede d’appello, è, non tanto la circostanza che l’avviso da accertamento impugnato richiami per relationem precedenti PVC, alcuno direttamente conosciuto conoscibile dal contribuente per diretta precedente notifica altri per richiami a stralcio contenuti in allegato al predetto atto, quanto la determinazione del se, nel caso di specie, le predette allegazioni o gli atti antecedenti conosciuti contengano tutti gli elementi necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato.
Va infatti ricordato che la pronuncia di primo grado, seppure in forma sintetica, rileva e censura come inadeguata l’intera motivazione dell’atto impugnato.
Orbene, la pretesa tributaria trova il suo presupposto nel disconoscimento delle fatture di acquisto provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE ritenute provento di operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero di cessioni mai effettuate.
Va ricordato che ‘in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione ‘.
Nel caso di specie, gli elementi indiziari forniti tutti per relationem dall’Ufficio -costituiti dalla presenza di scarso personale, tenuta irregolare delle scritture contabili, dichiarazioni del titolare seppur non specificatamente inerenti l’appellata, mancata contabilizzazione degli elementi attivi di reddito, in capo alle società cartiere -non appaiono idonei a supportare, da soli ed in assenza di diretto collegamento sia in fatto che in diritto con le fatture d’acquisto censurate di inesistenza al contribuente, l’operato disconoscimento a fronte degli elementi di fatto addotti sin dalla fase istruttoria da parte della COGNOME NOME COGNOME quali, in particolare, la circostanza che quelle fatture passive rappresentano l’intero ammontare degli acquisti effettuati e la vendita di quei beni così acquisiti non è stata oggetto di alcuna contestazione.
In altri termini, a fronte di circostanze indiziarie che non risultano corroborate da presunzioni gravi precise e concordanti per le ragioni anzidette, l’obbligo motivazionale dell’atto impugnato, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto del contribuente, nonché degli artt. 42 DPR n. 600/73 e 56 DPR n. 633/72 avrebbe richiesto la precisa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che avevano portato l’Ufficio a ritenere proprio quelle fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, obbligo motivazionale che in ossequio ai principi indicati in materia dalla Corte di legittimità non può considerarsi assolto dal solo richiamo per relationem ad altri atti altrettanto non sufficientemente motivati in relazione allo specifico caso che ci occupa.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi; il contribuente resta intimato.
Considerato che:
Primo motivo: ‘In relazione all’art. 360, 1° comma c.p.c. n. 4 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 D.Lgs. 546/92 e 112 1 132 co. 2 n. 4 c.p.c. dell’art. 111 comma 7 Cost. – Nullità della sentenza viziata da motivazione soltanto apparente – Nullità della sentenza’.
1.1. A fronte della contestazione contenuta nell’avviso di accertamento, fotoriprodotto, nella parte rilevante, in principio del motivo, ‘la motivazione esplicitata dalla CTR con cui la stessa si è limitata a ribadire la condivisibilità della sentenza di primo grado ritenersi sostanzialmente omessa. Nel caso di specie, la CTR opera un espresso quanto immotivato rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, senza esplicitare in alcun modo, a ben vedere, il percorso logico giuridico che l’ha condotta, sulla base delle risultanze in atti, fa respingere l’appello dell’Agenzia ‘.
Secondo motivo: ‘In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. 212/00, 42 DPR 600/73 e 56 DPR 633/72, degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché 109 DPR 917/86 e 2697 e 2729 c.c.’.
2.1. ‘Nelle premesse del proprio ragionamento la CTR, pur escludendo la rilevanza del rinvio per relationem ad atti processuali, delimita il proprio tema di indagine alla valutazione dell’idoneità degli elementi allegati dall’Agenzia a sostenere l’atto opposto (premettendo, quindi, di voler effettuare un esame del merito degli stessi) ‘. Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata ‘contiene un’inammissibile erronea inversione dell’onus probandi in tema di deducibilità costi, allorquando 6 1 state contestate, come nel caso, operazioni oggettivamente inesistenti ‘.
Terzo motivo: ”In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 109 DPR
917/86, 19, 21 e 54 DPR 633/72, 39 DPR 600/73, 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c.’.
3.1. ‘La CTR non ha correttamente applicato allo schema normativo della prova presuntiva, non avendo operato né una valutazione dei singoli elementi offerti dall’ufficio ed indicati nell’atto impugnato, ne è una valutazione globale degli stessi (secondo momento valutativo) ‘.
Infondato è il primo motivo, fondati gli altri due.
Il primo motivo è infondato in quanto è sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto le argomentazioni che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
6. Gli altri due motivi -scrutinabili congiuntamente per evidente comunanza di censure – sono fondati in quanto la CTR incorre in una confusa sovrapposizione dei due piani – invece concettualmente e giuridicamente distinti – relativi alla motivazione dell’avviso di accertamento ed all’assolvimento dell’onere probatorio dell’Amministrazione in caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti.
Sul piano motivazionale, la CTR fa corretto richiamo alla giurisprudenza di questa Suprema Corte che afferma la legittimità della motivazione per relationem ad atti del procedimento, indicandone fondamento e limiti. Nondimeno, in concreto, ne omette l’osservanza, ricusando di verificare la tenuta motivazionale dell’avviso alla luce dei richiami agli atti e documenti allegati ed a quelli conosciuti o conoscibili dal contribuente, in guisa da appurare – attraverso un’analisi anzitutto testuale di poi contenutistica l’effettiva possibilità per quest’ultimo di aver contezza degli elementi essenziali delle contestazioni mossegli.
Il confondimento dei due piani, cui dianzi si accennava, riemerge con evidenza nella seconda parte della motivazione della sentenza impugnata, ove la CTR, dopo aver, anche in questo caso correttamente, richiamato la giurisprudenza di legittimità sulla possibilità di assolvimento dell’onere probatorio, da parte dell’Amministrazione, in caso di operazioni oggettivamente
inesistenti, anche mediante indizi, non ne ha fatto poi concreta applicazione.
Più nel dettaglio, questa Suprema Corte insegna che, in caso di operazioni ritenute dall’Amministrazione inesistenti, incombe a quest’ultima l’onere di dimostrare, attraverso la prova logica (o indiretta) ovvero storica (o diretta) e anche con indizi integranti presunzione semplice, la fittizietà dell’operazione, spettando poi al contribuente fornire rigorosa prova contraria (cfr., tra le innumerevoli, Sez. 5, n. 28246 del 11/12/2020, Rv. 660035 -01). Segnatamente – come rilevato, ancora recentemente, da Sez. 6 -5, n. 31710 del 12/10/22, in motiv., p. 3, con ampi richiami giurisprudenziali cui si rinvia -in ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti (cui si riferiscono la sentenza impugnata ed il motivo), ‘ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/1.3, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C -439/04; 21 febbraio 2006, C -255/02; 21 giugno 2012, C -80/11; 6 dicembre 2012, C -285/11; 31 novembre 2013, C -642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 26790 del 2020; 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del
2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente , il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo’.
Sotto altro profilo, a proposito dell’onere probatorio gravante sull’Amministrazione, è a rilevarsi che, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare l’oggettiva insussistenza delle operazioni, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria,
non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01). In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata
dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
La sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei superiori principi.
Ha bensì indicato – dimostrando dunque di averne contezza gli indici sintomatici addotti dall’Amministrazione a sostegno della tesi della fittizietà oggettiva delle operazioni, ma poi non li ha analizzati, né singolarmente, in funzione della loro attitudine a corroborare di per sé il quadro indiziario, né sincreticamente, in funzione della loro attitudine a render conto, gli uni a mezzo degli atti, in quadro logico unitario e coerente, del risultato probatorio.
A ciò – che di per sé dimostra la violazione dei principi dianzi esposti in punto di valutazione della prova indiziaria – si aggiunge (al netto dell’evidenziato scivolamento dal piano probatorio a quello motivazionale) che,
-per un verso, ha ingiustificatamente preteso la dimostrazione di un ‘diretto collegamento sia in fatto che in diritto con le fatture d’acquisto censurate di inesistenza al contribuente’, così misconoscendo la valenza presuntiva della prova ed obnubilando che, una volta raggiunta la prova della fittizietà di quelle che essa medesima definisce ‘società cartiere’, il ‘diretto collegamento’ si scioglie in realtà in una logica di contesto;
-per altro verso, ha altrettanto ingiustificatamente valorizzato in contrario, rispetto agli elementi di prova forniti dall’Amministrazione, circostanze meramente formali, di per sé non incompatibili con la tesi agenziale (in relazione al fatto che ‘quelle fatture passive rappresentano l’intero ammontare degli acquisti effettuati’ e non significative (in relazione al fatto che ‘la vendita di
quei beni così acquisiti non è stata oggetto di alcuna contestazione’).
Alla luce di quanto precede, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, anche del grado.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 8 ottobre 2024.