Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32301 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32301 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2969/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 989/2020 depositata il 11/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento notificato alla contribuente in data 16 febbraio 2017, l’Agenzia riprendeva a tassazione, per il periodo d’imposta 2014, importi IVA dovuti, contestando, con un primo rilievo, l’indebita detrazione connessa all’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti, con un secondo rilievo, l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Segnatamente, nell’ambito della verifica fiscale emergeva che per l’anno 2014, la Bitexco, attraverso operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti, aveva maturato un ingente credito IVA, scaturente per la quasi totalità dalla contabilizzazione di n. 10 fatture passive ricevute dal fornitore italiano RAGIONE_SOCIALE e di n. 5 fatture attive emesse nei confronti del cliente spagnolo RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE è stato rigettato dalla CTP di Milano.
Il successivo appello della contribuente veniva rigettato.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a cinque motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 20, 21, 22, 23 e 23bis CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), per avere la CTR trascurato la circostanza per la quale l’avviso di accertamento cartaceo notificato alla contribuente, estratto da un originale informatico, è stato certificato conforme a quest’ultimo da tale ‘ COGNOME NOME ‘, senza specificazione della ‘ qualifica rivestita ‘ e della ‘ fonte del potere di attestazione ‘.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, co. 7, L. n. 212 del
2000 nonché dell’art. 112 c.p.c., attesa l’omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Con il terzo motivo si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, co. 1, L. n. 121 del 2000, 56 d.P.R. n. 633 del 1972 e 42 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR trascurato la circostanza per la quale l’avviso di accertamento era motivato per relationem attraverso il mero richiamo di un pvc riferito a un soggetto terzo, non allegato all’atto impositivo.
Con il quarto motivo si contrasta, a tenore dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., avendo la CTR fatto ‘ malgoverno ‘ delle norme sulle presunzioni.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, a mente dell’art. 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR tralasciato di considerare il deficit probatorio in punto di ‘ consapevole partecipazione (del contribuente) al disegno fraudolento realizzato dal cedente ‘.
Va preliminarmente disposta la revocazione del Decreto presidenziale di estinzione del giudizio ex L. 197/2022; l’Agenzia delle Entrate ha denegato, infatti, la definizione agevolata, coerentemente insistendo per la revocazione in parola, che constandone i presupposti dev’essere senz’altro pronunciata.
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Consta un accertamento in fatto della CTR, la quale ha puntualmente evidenziato che l’Agenzia ha ‘ provveduto ad allegare l’atto dispositivo (atto del funzionario preposto con l’autorizzazione ad attestare la conformità della copia analogica del documento originale informatico) e tale atto non può che ritenersi legittimo essendo per contro ogni contraria opzione sollevabile solo con la proposizione della querela di falso (art. 2719 c.c. e 23 D.Lgs. 85/2005)’.
A tale accertamento, svolto nell’esercizio del proprio libero sindacato di merito, la ricorrente aspira a contrapporre inammissibilmente una propria differente ricostruzione, sommariamente adducendo una difformità normativa.
Questa Corte, con le sentenze n. 1150 e n. 1557 del 2021, ha ritenuto legittima la notifica di copia analogica di un atto impositivo se conforme al documento informatico. In tali decisioni, premesso che ai sensi dell’art. 23 del C.A.D. ” Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato “, si è rilevato che l’atto impositivo notificato in copia cartacea presentava l’attestazione di conformità all’originale e tanto era sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto ed a conferirgli un valore probatorio equiparato all’originale informatico. Nella specie -come accertato in fatto dalla CTR -sussiste proprio l’attestazione di conformità del documento notificato in formato cartaceo all’originale digitale. Pertanto, come ribadito ancor di recente da questa Corte ‘ La copia analogica dell’avviso di accertamento, sottoscritta digitalmente dal funzionario incaricato e dichiarata conforme all’originale informatico nel rispetto della previsione dell’art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005, tiene luogo del menzionato originale ed è validamente notificata al contribuente oltre che a mezzo posta elettronica certificata, anche a mezzo del servizio postale ‘ (Cass. n. 13995 del 2024).
Il secondo motivo è infondato.
Giova rilevare che la mancata instaurazione del contraddittorio, da parte dell’Ufficio, a fronte della presentazione dell’istanza di adesione su iniziativa del contribuente, non vale ad inficiare la legittimità del provvedimento impositivo, stante l’assenza di una precisa disposizione di legge che a tanto obblighi la P.A. (restando
tale facoltà discrezionale). In tal senso si è espressa questa Corte, anche a Sezioni unite, escludendosi che, in tema di accertamento con adesione, la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza ex art. 6 D.Lgs. n. 218/1997, comporti la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge (Cass. n. 28051 del 2009; Cass. n. 11438 del 2016; Cass., Sez. un., n. 3676 del 2010; Cass. n. 3368 del 2012).
D’altronde, ancor di recente questa Corte ha significativamente chiarito che ‘ In tema di accertamento con adesione, la violazione delle norme procedurali di cui al d.lgs. n. 218 del 1997 non incide sulla validità dell’atto impositivo, in quanto, decorso il termine di sospensione di novanta giorni per l’impugnazione dello stesso che segue automaticamente alla presentazione dell’istanza di definizione, il contribuente può far valere in sede giurisdizionale i vizi dell’avviso di accertamento, senza che possa ipotizzarsi, pertanto, alcun effettivo pregiudizio al diritto di difesa del medesimo ‘ (Cass. n. 21096 del 2018) .
Il terzo motivo è infondato.
La CTR ha diffusamente chiarito come nell’avviso di accertamento siano confluite informazioni utili a dar conto in dettaglio della fondatezza della pretesa erariale e dei suoi presupposti fattuali e giuridici.
L’insussistenza del difetto di motivazione dell’atto impositivo emerge chiaramente, palesandosi ampiamente sufficiente, ai fini dell’ammissibile motivazione per relationem , il rinvio che l’avviso di accertamento fa al p.v.c. notificato al contribuente (Cass. n. 407 del 2015; Cass. n. 18073 del 2008);
Questa Corte ha chiarito che ‘ Nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso di accertamento non rilevano l’omessa allegazione di un documento o la mancata ostensione dello stesso al contribuente se la motivazione, anche se resa per relationem, è
comunque sufficiente, dovendosi distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova ‘ (Cass. n. 8016 del 2024).
È stato anche puntualizzato che ‘ In tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza ‘ (Cass. n. 29968 del 2019).
Del resto, ‘l ‘avviso di accertamento, nell’ipotesi di doppia motivazione “per relationem”, è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso faccia a propria volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente ‘ (Cass. n. 32127 del 2018).
Anche in materia di IVA, la motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adeguatamente espressa ogni qualvolta l’atto renda comprensibili – come nel caso di specie – i presupposti della pretesa tributaria; -La verifica dell’effettiva osservanza dell’obbligo, imposto all’Amministrazione finanziaria, di indicare i presupposti di fatto e le “ragioni giuridiche” che sorreggono un proprio atto, invero, in difetto di ulteriore specificazione normativa, va riscontrata assumendo a parametro di riferimento le finalità reiteratamente evidenziate da questa sezione (Cass. n. 22200 del 2011; Cass. n. 26498 del 2008; Cass. n. 24193 del 2006): proprie di ciascun atto tipico impositivo, di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria per approntare idonea difesa; in particolare,
il requisito motivazionale esige soltanto, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, l’indicazione dei fatti – nel caso che occupa ben indicati nell’inesistenza soggettiva delle operazioni e nell’emissione di due fatture da parte di soggetti altri rispetto agli effettivi cedenti dei diritti dì reimpianto dei vigneti – astrattamente giustificativi di essa e suscettibili di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (v. anche sul punto, con motivazioni mutuabili e condivisibili, Cass. n. 9008 del 2017; Cass. n. 26431 del 2017; Cass. n. 7284 del 2001).
Ove, pertanto, l’accertamento specifichi gli estremi del rapporto sostanziale, la motivazione deve ritenersi correttamente resa, perché ciò già salvaguarda l’esigenza di permettere al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali onde poterla efficacemente contrastare (Cass. n. 4989 del 2003; Cass. n. 1034 del 2002; Cass. n. 1209 del 2000).
Il quarto motivo è inammissibile.
La CTR ha compiuto uno specifico accertamento di fatto, nell’esercizio del sindacato di merito ad essa riservato.
In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541 del 2020).
In altri termini, la violazione delle norme sulle presunzioni è censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ‘ se
risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi ‘ (Cass. n. 10973 del 2017).
Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. n. 22366 del 2021).
Il quinto motivo è infondato.
Con riferimento alla frazione dell’accertamento tributario che stigmatizza la fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti è sufficiente richiamare il principio già espresso da questa Corte, in forza del quale ‘ In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo ‘ (Cass. n. 28628 del 2021; Cass. n. 18118 del 2016).
Non miglior sorte assiste la censura avuto riguardo al rilievo concernente l’inesistenza soggettiva di operazioni ciononostante
fatturate. Infatti, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. COGNOME, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, C277/14). Detta prova può ritenersi raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; 8 Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C439/04; Corte Giust. COGNOME e David, C-80/11 e C-142/11); Escluso ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato, l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario s’incentra nella individuazione, a cura dell’Amministrazione, dì elementi obbiettivi e specifici in ordine al fatto che la contribuente-cessionaria dei beni o dei diritti conoscesse o avrebbe dovuto conoscere, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, e tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione, che la realtà documentalmente espressa non corrispondeva a quella effettiva (Cass. n. 24490 del 2015). Una volta che l’Amministrazione abbia provato, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, passa al contribuente medesimo l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012; Cass. n. 25575 del 2014)
La CTR ha valorizzato plurimi elementi sintomatici della consapevolezza in capo alla società contribuente del meccanismo fraudolento: amministrazione della RAGIONE_SOCIALE a cura di un ‘ prestanome ‘; mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali da parte della COGNOME RAGIONE_SOCIALE; inesistenza nella Tech work di una struttura aziendale; omissione reiterata delle dichiarazioni fiscali; inesistenza di una sede effettiva; indisponibilità di macchinari e attrezzature; amministrazione a cura di un soggetto di nazionalità rumena nullatenente. In questo quadro, viene in apice il sedimentato formante nomofilattico, alla luce del quale ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 9851 del 2018) .
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esplicitata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/09/2024.