Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23004 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23004 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 30030/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME e NOME COGNOME come da procura speciale a margine del ricorso per cassazione (PEC: EMAIL; EMAIL
-ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 5025/13/2021, depositata il 15.06.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Oggetto:
Tributi
RILEVATO CHE
La CTP di Napoli rigettava il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno d’imposta 2013, a seguito del disconoscimento di costi fondati su fatture relative ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania, dopo avere illustrato i principi in materia di fatture per operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, rigettava l’appello proposto dalla società contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che:
-l’inesistenza dei costi relativi alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE era comprovata dalle indagini condotte dalla GdF, dalle quali era emerso che la predetta società non aveva presentato dichiarazioni fiscali per gli anni dal 2011 al 2014, non aveva istituito le scritture contabili obbligatorie, non versava le imposte dovute, compresa l’IVA a debito maturata a seguito di cessioni nazionali, non aveva né magazzini né attrezzature per svolgere l’attività di commercio all’ingrosso e non disponeva di autocarri adibiti al trasporto di merce, ad eccezione di un autoveicolo Fiat Doblò, aveva acquistato nel quadriennio 2011 -2014 merci e/o servizi, mediante operazioni intracomunitarie in sospensione d’imposta, emettendo false dichiarazioni d’intento e rivendendo la merce a clienti nazionali, tra cui la contribuente, la RAGIONE_SOCIALE e altre società, tutte tra loro collegate, come era stato accertato anche mediante l’analisi delle movimentazioni bancarie sui conti intestati alla GDA;
-l’Amministrazione finanziaria aveva offerto un ampio quadro indiziario dal quale si desumeva che nell’anno di imposta 2013 la società RAGIONE_SOCIALE aveva operato quale mera ‘cartiera’, funzionale all’emissione , in favore della RAGIONE_SOCIALE, di fatture per
operazioni inesistenti, utilizzate da quest’ultima per creare costi fittizi e conseguire indebiti vantaggi fiscali, dovendosi ritenere che i soci e gli amministratori della Campania COGNOME fossero pienamente consapevoli della fittizietà delle operazioni oggetto delle fatture contestate;
di contro, la società RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito elementi in grado di confutare la valenza probatoria delle evidenze fornite dall’Ufficio, sicché doveva ritenersi legittimo e fondato l’avviso di accertamento;
la censura relativa a l difetto di motivazione dell’atto impugnato era infondata, in quanto la contribuente era stata posta nelle condizioni di conoscere le contestazioni e di esercitare il proprio diritto di difesa;
-era infondata anche l’asserita violazione del principio del contraddittorio, in quanto la parte non aveva fornito prova del suo interesse all’instaurazione di un contraddittorio preventivo , conseguente alla chiusura della verifica e prima dell’emissione dell’avviso di accertamento , « che avrebbe potuto condurre ad un risultato a lui favorevole », non avendo fornito « elementi atti a dimostrare effettiva esistenza delle operazioni contestate: prova che, come già detto, non può ridursi all’esibizione della fattura o alla dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e sono utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale una operazione fittizia »;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
l ‘Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nella qualificazione giuridica della fattispecie, ritenendo, con motivazione omessa o contraddittoria, che le operazioni commerciali contestate fossero effettive e, quindi, soggettivamente inesistenti, mentre sia l’Ufficio che il primo giudice avevano riconosciuto che dette operazioni erano oggettivamente inesistenti; sostiene che la CTR ha omesso di pronunciarsi sugli elementi probatori esposti dalla contribuente, utili e decisivi per superare le presunzioni indicate dall’Ufficio, essendo emerso che la GDA effettivamente acquistava merce, quale società intermediaria, dalla Grande distribuzione organizzata (GDO), che poi rivendeva , mediante l’emissione di fatture immediate, ai sensi dell’art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, a numerosi clienti nazionali, fra cui la contribuente, incaricando direttamente le proprie fornitrici di effettuare le consegne, mediante società di trasporto, alle società cessionarie, come si evinceva dalle dichiarazioni di tale NOME COGNOME legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, e dalla relazione del dott. NOME COGNOME
– con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza, per violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., per avere la CTR, con motivazione contraddittoria, da un lato, considerato effettive le operazioni commerciali che l’Ufficio ha contestato come oggettivamente inesistenti e, dall’altro lato, rigettato l’appello proposto dalla contribuente; rileva, inoltre, che sulla anticipazione di provviste mediante bonifici anticipati, che costituiva un elemento irrilevante con riferimento alle operazioni oggettivamente inesistenti, la CTR ha argomentato senza pronunciarsi sulla dedotta consuetudine al l’utilizzo di una provvista ricevuta anticipatamente, per la fornitura di determinati beni, a copertura della somma utilizzata per l’acquisto dei beni da cedere;
sostiene che l’omessa presentazione delle dichiarazioni e l’omesso versamento di imposte da parte della GDA, oltre a non essere percepibili dalla contribuente, non riguardavano la fattispecie relativa alle operazioni oggettivamente inesistenti; aggiunge che erano irrilevanti sia i contestati collegamenti operativi tra la GDA e la contribuente, asseritamente desumibili dalla posizione di NOME COGNOME, procuratore speciale della COGNOME a Bevanda, ma con delega ad operare sul conto della GDA, sia la mancata disponibilità da parte della GDA di magazzini, attrezzature e autocarri adibiti al trasporto di merci, stante il ruolo di intermediaria di quest’ultima; rileva, infine, che la qualifica di operazioni soggettivamente inesistenti determinerebbe automaticamente la deducibilità dei costi ai fini IRES e IRAP, ai sensi dell’art. 14, comma 4 -bis, della l. n. 537 del 1993;
i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente, essendo connessi, sono inammissibili sotto plurimi profili;
in primo luogo, sono inammissibili perché evocano, in maniera cumulata ed indistinta, vizi diversi ed eterogenei, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23.10.2018, n. 26874 e Cass. 23.09.2011, n. 19443);
i motivi sono in ogni caso inammissibili, per difetto di specificità, con riferimento alla lamentata omessa pronuncia;
come è stato ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con
l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi ( ex plurimis , Cass. n. 28072 del 14 ottobre 2021);
la ricorrente non ha riportato nel testo del ricorso per cassazione il motivo di appello di cui lamenta l’omessa pronuncia, limitandosi genericamente ad affermare di aver eccepito « nei due gradi di merito, nel caso in oggetto », che « le operazioni contestate non possono in alcun modo essere definite oggettivamente inesistenti » (così si legge a pag. 15 del ricorso);
– i motivi sono poi inammissibili, sotto il profilo del denunciato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. , operando il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, espressamente eccepito dalla controricorrente ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 5.06.2020, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
– peraltro, a seguito della modifica normativa dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie in esame (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 16.06.2021), non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
– la nuova formulazione del vizio di legittimità di cui al l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate dopo l’11.09.2012) ha limitato il ricorso alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. 2.10.2017, n. 23940);
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); – si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato ex
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
-la ricorrente non ha denunciato l’omesso esame di un fatto storico, ma un inammissibile omesso esame di alcune prove, nonché del valore probatorio di alcuni elementi, mirando con tali censure ad ottenere una rivalutazione dei fatti storici, operata dal giudice di merito, preclusa nel giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. n. 34476 del 2019);
né può parlarsi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” o di “motivazione apparente” o di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e neppure di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, atteso che la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel sopra citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053), posto che ha ricostruito e valutato l’ « ampio quadro indiziario da cui poter ragionevolmente inferire che nell’anno d’imposta 2013 la società RAGIONE_SOCIALE abbia operato quale mera ‘cartiera’, funzionale all’emissione in favore della RAGIONE_SOCIALE di fatture per operazioni inesistenti, utilizzate da quest’ultima per creare costi fittizi e conseguire indebiti vantaggi fiscali », dando conto degli elementi posti a sostegno della propria valutazione, indicati in narrativa; chiara è, tra l’altro, l’opzione della CTR per l’ oggettiva inesistenza delle operazioni;
il secondo motivo è altresì inammissibile, per la novità della questione, nella parte in cui censura la mancata applicazione dell’art. 14, comma 4-bis della l. n. 537 del 1993, non avendo la ricorrente indicato se aveva proposto tale doglianza fin dal ricorso introduttivo; nel caso di specie, infatti, non può farsi richiamo del principio generale in materia di ‘ius superveniens’, perch é la nuova disciplina
introdotta dal d.l. n. 16 del 2012, conv. con modificazioni dalla l. n. 44 del 2012, che ha modificato l’art. 14 della l. n. 537 del 1993, era già in vigore (dal 29 aprile 2012) all’epoca di proposizione del ricorso introduttivo (gennaio 2019) e la contribuente avrebbe dovuto dimostrare di avere proposto la questione della sua applicabilità nel ricorso originario, o, almeno, di aver introdotto il tema nella materia giustiziabile;
– per costante orientamento di questa Corte, difatti, si applica l’ ius superveniens di cui il ricorrente non abbia fatto menzione nel ricorso introduttivo, sebbene notificato successivamente all’introduzione della norma, qualora il motivo di ricorso censuri la corretta definizione di un regime giuridico che necessariamente presuppone l’applicazione della norma sopravvenuta (Cass. n. 22016 del 2020); per conseguenza, si è successivamente chiarito, l’applicazione dell’ ius superveniens stabilito dall’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si estende anche a rapporti antecedenti al d.l. e non ancora esauriti, ma non opera nei giudizi in corso indiscriminatamente, dovendo essere coordinata con i principi che regolano l’onere della tempestiva introduzione della questione nel ricorso introduttivo, dell’impugnazione e delle relative preclusioni, con la conseguenza che la sua operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazioni alle questioni, sulla decisione delle quali avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (Cass. n. 8133 del 2023);
– e comunque la questione risulta irrilevante in quanto, al cospetto della qualificazione delle operazioni come oggettivamente inesistenti, in base al comma 2 dell’art. 8 del d.l. 16/2012 « ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi
direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi »;
– per conseguenza, in tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, la contribuente avrebbe dovuto allegare e provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi della suddetta norma, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass. n. 25967/2013; n. 22106/2020, cit.), o almeno ritualmente porre la relativa questione e reiterarla in appello, dando conto in sede di legittimità di averlo fatto;
– con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CTR valutato la eccepita mancanza di effettività del contraddittorio endoprocedimentale, sebbene la contribuente avesse rilevato le circostanze che avrebbe potuto dimostrare in tale sede, atteso che, dopo il contraddittorio del 3.10.2018, la società aveva chiesto un rinvio al fine di ottenere dalla Guardia di finanza l’accesso agli atti e alla documentazione oggetto di sequestro penale, in base ai quali avrebbe potuto dimostrare la prassi commerciale consistente nell’emissione di fatture immediate, senza obbligo di documento di trasporto, e i pagamenti per mezzo di anticipazione di provviste; osserva come la mancanza di un effettivo contraddittorio abbia reso irrilevanti le risultanze del procedimento penale richiamato dalla CTR, in quanto non è stata mai accolta , in fase di contraddittorio, l’istanza di accesso agli atti; lamenta, infine, l’omessa valutazione delle
dichiarazioni del terzo, tale NOME COGNOME legale rappresentante della DLM trasporti;
anche questo motivo è inammissibile e comunque infondato;
-la censura mira, infatti, sotto l’apparente deduzione del vizio d i mancanza di motivazione, ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello con riferimento alla valutazione delle prove;
inoltre, come si è già detto in relazione ai primi due motivi, la sentenza impugnata non è affetta dal suindicato grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno spiegato, seppure sinteticamente, le ragioni per le quali hanno ritenuto non violato il principio del contraddittorio preventivo;
la stessa contribuente ha ammesso che il contraddittorio si è svolto in data 3.10.2018 (p. 20 del ricorso per cassazione), dolendosi, in realtà, della sua mancata prosecuzione; su quest’ultima circostanza, tuttavia, la sentenza impugnata ha spiegato che gli elementi che la contribuente intendeva offrire successivamente (esibizione delle fatture, dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento) erano irrilevanti ai fini della fondatezza della pretesa;
-la statuizione è d’altronde in linea con i principi di recente ribaditi dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui « con riguardo alla disciplina applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 6 bis legge 212/2000, come introdotto dall’art. 1 co. 1^ lett. e) d.lgs. n. 219/2023, come richiamato ed interpretato ex artt. 7 e 7 bis d. l. n. 39/2024 convertito con l. n. 67/2024, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali cc.dd. ‘a tavolino’ su tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto l’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che
avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo » (Cass., sez. un., 25/07/2025, n. 21271);
con specifico riguardo alla fattispecie in esame è poi utile ribadire che, « in tema di avviso di accertamento, il sequestro penale della documentazione tramite cui s’intende dimostrare la regolarità delle operazioni oggetto di verifica fiscale non determina l’illegittimità della pretesa fiscale dell’Amministrazione finanziaria, atteso che non incide sul diritto di difesa del contribuente, il quale può chiedere all’autorità giudiziaria il rilascio delle copie ai sensi degli artt. 258 e 116 c.p.p. e, in caso di rigetto dell’istanza, la rimessione in termini o la sospensione del procedimento amministrativo » ( Cass. 13/06/2016, n. 12059); al riguardo, diversamente da quanto obiettato in ricorso (v. pp. 21-22), ove si fa leva sulla richiesta di accesso alla Guardia di finanza, la richiesta di rilascio si sarebbe dovuta indirizzare, in base alle richiamate norme del codice di procedura penale, all’autorità giudiziaria;
la contribuente non solo non ha dimostrato di avere effettuato tutti questi adempimenti, ma non ha neppure spiegato la concreta rilevanza, nel procedimento tributario, degli atti relativi al procedimento penale, limitandosi ad elencare una serie di circostanze già ritenute inconsistenti dal giudice di appello;
-d’altronde, in diritto, come sottolineato da questa Corte (Cass. 19/07/2021, n. 20436 e, da ultimo, Cass. 15/07/2025, n. 19517), in tema di diritto di accesso la CGUE ha appunto posto in risalto che una eventuale violazione non è idonea, di per sé sola, a determinare l’ineludibile annullamento della decisione adottata poiché « il principio di effettività … non esige che una decisione contestata, in quanto
adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi » potendo ciò derivare « soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (sentenza 04/06/2020, RAGIONE_SOCIALE, in causa C-430/19, §§ 35 e 37);
– inoltre, non può fondare una più circoscritta nozione di effettività la decisione della CGUE 16/10/2019, RAGIONE_SOCIALE, in causa C-189/18, richiamata in ricorso, che si basa su presupposti in fatto e diritto affatto diversi da quelli qui in rilievo. Come rilevato da questa Corte (Cass. n. 20436 del 2021, cit.), « L’affermazione della Corte, difatti, si inseriva in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto. La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti. Da ciò, dunque, la necessità per la Corte di Giustizia di stabilire con nettezza, senza accennare al temperamento della prova di resistenza (in realtà neppure pertinente alla problematica in esame), che l’Amministrazione finanziaria non può essere esonerata dall’obbligo di far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, nonché che il soggetto passivo non può essere privato del diritto di rimettere in discussione utilmente le
constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche compiute dall’Amministrazione nell’ambito dei procedimenti collegati »;
giova poi rimarcare che la sentenza della CTR n. 5043/14/2019 concernente RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, su cui la contribuente punta in ricorso (vedi pag. 20, primo capoverso), è stata cassata da questa Corte giustappunto in relazione al profilo della dedotta violazione del contraddittorio procedimentale (Cass. 13/02/2025, n. 3706);
il motivo è inammissibile anche con riferimento agli altri aspetti, riguardanti l’asserita omessa pronuncia , per le ragioni già sopra evidenziate;
in conclusione, quindi, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 10.000,00 per compensi , oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 aprile 2025.