Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1141 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1141 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16815/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
difende
STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e -controricorrente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 6452/2020 depositata il 21/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 6452/2020 depositata in data 21/12/2020, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE ( hinc: RAGIONE_SOCIALE) contro la sentenza n. 7111/2019, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dalla sig.ra COGNOME NOME e dal sig. COGNOME COGNOME contro l’avviso di accertamento con il quale era stata rideterminata la capacità reddituale ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2014. Tale acc ertamento era stato emesso in esito a un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza con il quale veniva addebitato alla società contribuente di aver dedotto costi e detratto imposte relative ad operazioni oggettivamente inesistenti nell’ann o 2014.
La CTR ha richiamato il PVC del 28/11/2017, dal quale emergeva come la società RAGIONE_SOCIALE fosse priva dei requisiti minimi per essere qualificata come impresa commerciale – non essendo stata riscontrata una struttura economica organizzativa finalizzata allo scambio e alla produzione dei beni o servizi (in assenza di depositi di materiale, uffici amministrativi, personale dipendente) -e al contempo fosse inserita nel campo delle fatture per operazioni
inesistenti e del riciclaggio. Era stato, quindi, accertato che RAGIONE_SOCIALE avesse emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti anche nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che le aveva inserite nella propria contabilità, con la conseguenza che i relativi risultati erano confluiti nelle dichiarazioni annuali, consentendo di evadere le imposte ai fini dell’IRES, IRAP e IVA.
2.1. La CTR ha, quindi, ritenuto infondata la contestazione relativa alla violazione dell’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 : a fronte della contestazione del contribuente (incentrata sulla necessità di garantirgli la possibilità di esporre le proprie ragioni, con riferimento all’IVA ) ha evidenziato come la norma appena evocata si applichi solo in caso di accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, indipendentemente dal fatto che l’ope razione abbia comportato la constatazione di violazioni fiscali. Nel caso in esame la società non si era, tuttavia, avvalsa del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 per la presentazione di osservazioni difensive, limitandosi ad attendere la notifica dell’avviso di accertamento. In sostanza, l’obbligo del contraddittorio risulta va essere stato regolarmente assolto dall’ufficio.
2.2. Un ulteriore profilo esaminato dal giudice d’appello riguarda la contestata violazione dell’art. 8, comma 2, d.l. 02/03/2012, n. 16 convertito con modificazioni dalla legge 26/04/2012, n. 44, ritenuta infondata alla luce di quanto precisato da questa Corte con la sentenza 19/12/2019, n. 33915.
2.3. Infine, la CTR -richiamando Cass. 12/01/2018, n. 638 – ha ritenuto che le operazioni oggettivamente inesistenti accertate non fossero escluse dalla documentazione depositata dalla società contribuente (fatture di acquisto dalla RAGIONE_SOCIALE pagamenti
eseguiti con mezzi tracciabili e fatture con le quali la merce era stata successivamente rivenduta alla stessa RAGIONE_SOCIALE.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza, l’omessa motivazione, la violazione dell’art. 36 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
1.1. La ricorrente contesta che la motivazione della sentenza impugnata sia omessa o del tutto parvente, in relazione alla questione controversa più rilevante nel merito della causa: i giudici non hanno spiegato perché hanno ritenuto oggettivamente inesistenti le fatture. Costituiva, infatti, questione controversa e decisiva quella relativa all’esecuzione delle prestazioni sottostanti alle fatture ritenute oggettivamente inesistenti. Fin dalla prima difesa la contribuente ha incentrato le proprie contestazioni sulla prova dell’esecuzione delle prestazioni rappresentante dalle fatture in contestazione. La ricorrente richiama, quindi, la documentazione prodotta, sia davanti al giudice di primo grado, che davanti alla CTR, anche con riferimento a una tabella dove si riscontrava, per ogni prodotto ceduto, la fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE e quella attestante la rivendita a terzi dei medesimi beni, oltre a una perizia tecnica.
1.2. Il motivo è infondato, perché è ricostruibile l’iter logico seguito dal giudice di secondo grado, che -sulla scorta di quanto precisato da questa Corte (Cass., 12/01/2018, n. 638) -ha ritenuto
fondata la valutazione presuntiva effettuata dall’ufficio, ritenendo le difese del contribuente insufficienti a scalfire tale impianto. Sul punto occorre tener conto dell’intero quadro argomentativo della sentenza impugnata (compreso, quindi, quanto precisato, infra, sub 2.2.).
Con il secondo motivo è stata contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. La ricorrente evidenzia come per la stessa giurisprudenza di legittimità nel caso di fatture oggettivamente inesistenti competa all’amministrazione finanziaria provare che le operazioni sottese a queste ultime non siano state mai realizzate. Tale prova è, tuttavia, mancata del tutto, non essendo stai mai allegati dall’ufficio (né in primo grado, né in appello) gli esiti delle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Aversa.
2.2. Il secondo motivo è infondato, dal momento che proprio l’incipit della motivazione indica gli elementi che hanno condotto a ritenere RAGIONE_SOCIALE un soggetto privo della benché minima consistenza organizzativa (non c’era un deposito, uffici, materiale ecc….) funzionale al raggiungi mento dello scopo sociale (commercializzazione di prodotti da costruzione). Proprio RAGIONE_SOCIALE risulta -sempre secondo quanto è dato leggere nella sentenza impugnata -il soggetto che ha emesso direttamente fatture in favore dell’odierna parte ricorrente e non un mero soggetto interponente.
2.3. È peraltro affermazione ricorrente di questa Corte quella secondo cui la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto
erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso, vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., 19/08/2020, n. 17313; Cass. 05/09/2006, n. 19064).
Con il terzo motivo è stata contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, convertito nella legge n. 44 del 2012, e dell’art. 53 Cost. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
3.1. La ricorrente rileva di aver allegato le fatture di acquisto contestate e tutte le correlate fatture di vendita, sin dal primo grado di giudizio. In fase di appello ha prodotto anche una tabella in cui sono state individuate le merci a terzi, acquistate con le fatture in contestazione, individuando il ricavo afferente al costo ritenuto oggettivamente inesistente. È stata inoltre commissionata una relazione giurata a un professionista, da cui risultava che il ROS della ricorrente, senza la rettifica apportata, si attestava, mediamente, intorno al 4%, in linea con la media delle altre aziende, mentre nella realtà ipotizzata dall’ufficio si sa rebbe avuto un indice pari al 44%, cioè circa undici volte superiore e, pertanto, non attendibile.
La ricorrente rileva come l’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012 abbia il duplice scopo di contrastare, con una sanzione pecuniaria, l’uso di fatture inesistenti, salvaguardando, al tempo stesso, il principio costituzionale della capacità contributiva. La CTR, invece, ritenendo che i costi fossero relativi a fatture oggettivamente inesistenti e non ammettendo l’esclusione dal reddito dei ricav i documentalmente correlati a tali costi, è incorsa nella violazione delle norme poste a fondamento del presente motivo di ricorso.
3.2. Passando all’esame del motivo di ricorso, occorre richiamare, in via preliminare, il contenuto dell’ art. 8, comma 2, d.l.
n. 16 del 2012, secondo il quale: « Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. »
3.3. Ciò premesso, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha indicato le specifiche operazioni attive direttamente afferenti alle operazioni passive inesistenti.
Nel caso in esame viene, infatti, contestata la violazione di una norma che esclude che possano concorrere a formare il reddito i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati. È pertanto necessaria -ai fini del rispetto di quanto previsto nell’art. 366, primo comma, n. 3 e 6, c.p.c. -la puntuale indicazione delle spese o dei componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati e il rapporto di correlazione con i componenti positivi che -in ragione di tale collegamento -si contesta che possano concorrere a formare il reddito. Sotto questo profilo non può essere sufficiente, ai fini del rispetto dell’art. 366, primo comma, n. 3 e 6, cod. proc. civ. il mero rinvio a una tabella di concordanza predisposta dal contribuente, dal momento che l’illustrazione del contenuto dei documenti cui fa riferimento la norma appena richiamata non può essere limitato a una generica evocazione di tali contenuti.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/11/2024.