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Fatture gonfiate: onere della prova e ruolo del Fisco

Una società di motorsport contesta avvisi di accertamento per fatture gonfiate emesse da un fornitore. La Cassazione accoglie il ricorso dell’Agenzia Fiscale, stabilendo che in caso di sovrafatturazione, spetta al Fisco fornire presunzioni gravi e precise, dopodiché l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettività del costo.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Gonfiate e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce le Regole

L’utilizzo di fatture gonfiate per abbattere il reddito imponibile e l’IVA è una pratica fraudolenta che il Fisco contrasta con fermezza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23778/2024) ha fatto luce su un aspetto cruciale di queste controversie: la ripartizione dell’onere della prova tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente. La Corte ha ribadito che, di fronte a un quadro indiziario solido, spetta all’impresa dimostrare in modo rigoroso l’effettività e la congruità dei costi sostenuti.

Il Caso: Dalle Piste di Gara alle Aule di Tribunale

La vicenda ha origine da alcuni avvisi di accertamento notificati a una società operante nel settore motorsport. L’Agenzia Fiscale contestava la deducibilità di costi e la detrazione dell’IVA relative a fatture ricevute da un’altra società, ritenuta parte di un meccanismo fraudolento. Secondo l’accusa, le fatture documentavano operazioni parzialmente inesistenti, in quanto il loro valore era stato gonfiato dell’80% rispetto al costo reale.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società contribuente. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che l’Agenzia Fiscale avesse illegittimamente modificato in appello la sua tesi, passando da una contestazione su servizi di sponsorizzazione a una generalizzata su tutti i servizi. Inoltre, secondo i giudici di merito, il Fisco non aveva fornito prove sufficienti della partecipazione consapevole della società alla frode del suo fornitore.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulle fatture gonfiate

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di secondo grado, accogliendo il ricorso dell’Agenzia Fiscale. Gli Ermellini hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva commesso un errore di diritto nel ritenere inammissibile l’argomentazione del Fisco. La contestazione originaria, infatti, non era legata alla specifica natura del servizio (sponsorizzazione o altro), ma al fatto che le fatture emesse da quel determinato fornitore fossero ‘gonfiate’, ovvero di importo superiore a quello reale.

La Cassazione ha sottolineato che l’oggetto del contendere era sempre stato l’utilizzo di fatture per operazioni parzialmente inesistenti, a prescindere dalla tipologia di prestazione. Pertanto, non vi era stata alcuna modifica inammissibile dell’accusa da parte dell’Ufficio.

Le Motivazioni: Il Principio dell’Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione dei principi che regolano l’onere della prova in materia di fatture gonfiate. La Corte ha spiegato che il processo logico-giuridico che il giudice di merito deve seguire è un percorso a due fasi:

1. Prova a carico del Fisco: L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi di prova, anche di natura presuntiva, purché gravi, precisi e concordanti, che facciano ragionevolmente dubitare della veridicità delle operazioni fatturate o, come in questo caso, della congruità del loro valore economico.
2. Prova a carico del Contribuente: Una volta che il Fisco ha assolto al proprio onere, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta l’onere di fornire una ‘prova contraria rigorosa’. Non è sufficiente esibire la fattura e la documentazione del pagamento, trattandosi di elementi facilmente falsificabili. È necessario dimostrare in modo concreto la fonte legittima della detrazione o della deduzione, ovvero l’effettività e la congruità dell’operazione economica sottostante.

Nel caso specifico, la Commissione Tributaria Regionale aveva errato non valutando il quadro indiziario presentato dal Fisco e non procedendo a questa seconda fase di verifica, scaricando ingiustamente tutto l’onere probatorio sull’Amministrazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Imprese e Professionisti

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale. Per le imprese, il messaggio è chiaro: la mera regolarità formale dei documenti contabili non è uno scudo invalicabile contro le contestazioni fiscali. In presenza di indizi che suggeriscono l’esistenza di una frode (come rapporti con fornitori sospetti o prezzi palesemente fuori mercato), è essenziale conservare tutta la documentazione idonea a dimostrare non solo che la prestazione è stata eseguita, ma anche che il prezzo pagato era congruo e giustificato. La diligenza nella scelta dei partner commerciali e una documentazione robusta a supporto dei costi diventano, quindi, elementi cruciali per difendersi efficacemente in caso di accertamento per fatture gonfiate.

In caso di contestazione per fatture gonfiate, a chi spetta l’onere della prova?
L’onere della prova è ripartito. Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire presunzioni gravi, precise e concordanti che dimostrino la parziale inesistenza dell’operazione (sovrafatturazione). Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare in modo rigoroso l’effettività e la congruità del costo sostenuto.

L’Amministrazione Finanziaria può basare un accertamento solo su presunzioni?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che l’accertamento per operazioni oggettivamente inesistenti, anche solo parzialmente, può fondarsi su presunzioni semplici, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Non è richiesta una ‘prova certa’ da parte del Fisco.

Cosa deve fare un contribuente per difendersi da un’accusa di utilizzo di fatture gonfiate?
Il contribuente non può limitarsi a dimostrare la regolarità formale delle fatture e l’avvenuto pagamento. Deve fornire una prova contraria rigorosa, dimostrando la fonte legittima della detrazione o del costo. Ciò significa provare che l’operazione commerciale è realmente avvenuta e che il prezzo corrisposto era congruo rispetto al valore economico della prestazione ricevuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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