Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33210 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33210 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: tributi – operazioni
soggettivamente inesistenti –
inversione
contabile
–
detrazione – sanzioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18409/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. P_IVA), in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. 06363301001) in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –nella camera avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, n. 121/14/16 depositata in data 25 gennaio 2016 Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME di consiglio del 21 novembre 2024.
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore del commercio di metalli ferrosi e non ferrosi, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2006 con il quale, a seguito di PVC in data 14 luglio 2010, si accertava una « frode carosello », finalizzata all’immissione sul mercato di beni in assenza di fattura, in quanto provenienti da fornitori privi di organizzazione e, quindi, ritenute operazioni soggettivamente inesistenti. Si procedeva, pertanto, al recupero di IVA per disconoscimento della detrazione, con applicazione di sanzioni. La società ha dedotto, per quanto qui ancora rileva, che operava in regime di inversione contabile ex art. 74, commi settimo e ottavo, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per cui il recupero della detrazione si sarebbe dovuto ritenere indebito in assenza di pregiudizio per l’Erario.
La CTP di Bologna ha rigettato il ricorso.
La CTR dell’Emilia -Romagna, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello della società contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello, nel merito, corretta la ripresa dell’Ufficio, attesa la consapevolezza della società contribuente di avere preso parte a una frode IVA e di avere ricevuto fatture soggettivamente inesistenti alla luce degli atti di indagine acquisiti in sede penale, nonché essendosi accertato che la società contribuente aveva proceduto a restituire parte dei corrispettivi ricevuti ai cedenti. Ha poi, ritenuto il giudice di appello
corretto il recupero dell’indebita detrazione, non essendo il regime dell’inversione contabile applicabile in caso di fatti costituenti reato, nonché essendo l’ imposta indetraibile anche a termini dell’art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633/1972, norma applicabile in caso di operazioni anche solo soggettivamente inesistenti. La sentenza impugnata ha, poi, confermato il trattamento sanzionatorio, escludendo che le violazioni contestate dall’Ufficio avessero natura formale.
Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a cinque motivi, al quale l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 21, settimo comma, d.P.R. n. 633/1972, nonché degli artt. 2727 e ss. cod. civ. e 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la società contribuente fosse consapevole della frode IVA perpetrata dalle società cedenti, nonché della inesistenza soggettiva delle fatture provenienti dalle società prive di organizzazione. Deduce parte ricorrente che la CTR avrebbe fatto erroneamente applicazione delle regole di riparto dell’onere della prova, posto che le società fornitrici erano società pienamente operative, nonché di aver omesso di verificare chi fossero gli effettivi reali fornitori della merce.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 cod. proc. civ., degli artt. 36 e 53 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 21 e 54 d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 2727 e ss. e 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto
che la società contribuente fosse consapevole della frode IVA consumata a monte della catena produttiva. Osserva parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare fatti decisivi ai fini della decisione , che dimostrerebbero l’effettiva esistenza delle società fornitrici; inoltre, il giudice di appello non avrebbe considerato che gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio fossero privi di pregnanza indiziaria, anche alla luce del fatto che l’Ufficio, nei due gradi del giudizio di merito, non avrebbe prodotto atti di indagine coperti dal segreto istruttorio che attestavano le circostanze accertate dagli agenti accertatori, anche in considerazione del fatto che tutti gli assunti dell’Ufficio sarebbero fonda ti sugli esiti di una sola intercettazione intervenuta in data 29 settembre 2006; in ogni caso, il giudice di appello avrebbe reso una motivazione che non esplicita il percorso logico seguito ai fini della decisione, né avrebbe esaminato le prove contrarie addotte dalla società contribuente.
3. Il secondo motivo, il quale risulta pregiudiziale all’esame del primo, è infondato, con ciò assorbendosi l’eccezione di inammissibilità formulata dal controricorrente, essendosi il giudice di appello pronunciato su tutta la domanda con percorso logico compiuto e chiaramente comprensibile (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Il giudice di appello ha, difatti, ritenuto che la società contribuente fosse sin anche consapevole tramite i suoi organi di avere preso parte a una frode IVA e di avere ricevuto fatture soggettivamente inesistenti, come risultante dalla valorizzazione in termini istruttori degli atti di indagine acquisiti in sede penale; sulla base di tali elementi, la sentenza impugnata ha ritenuto corretto il recupero dell’indebita detrazione anche in caso di inversione contabile. La motivazione del giudice di appello appare compiuta.
4. Il primo motivo -in disparte l’inammissibilità dello stesso, posto che il ricorrente mira a ripercorrere il ragionamento decisorio del
giudice di appello attraverso la rivalutazione e il riesame delle prove -è infondato. L’amministrazione finanziaria può provare l’inesistenza delle operazioni sottostanti l’emissione della fattura anche mediante presunzioni semplici, spettando poi al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 23 agosto 2023, n. 25124; Cass., Sez. V, 28 aprile 2022, n. 13235; Cass., Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 7383; Cass., Sez. V, 10 febbraio 2022, n. 4251; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628).
5. In secondo luogo, ove si verta in tema di corretto esercizio della detrazione in relazione a fatture di acquisto emesse da società prive di organizzazione o da soggetti interposti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisca in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva al proprio onere della prova, grava sul contribuente l’onere della prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 28 dicembre 2022, n. 37889; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass.,
Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369). La sentenza ha fatto corretta applicazione di questi principi, avendo accertato la consapevolezza della società contribuente nell’ avere preso parte a una frode IVA tramite la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, tenuto conto, in particolare, dell’accertamento in fatto relativo alla restituzione al cedente di parte del corrispettivo ricevuto.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso e comunque insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio, anche in base agli artt. 112, 115 cod. proc. civ., degli artt. 36 e 53 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 21 e 54 d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 2727 e ss. e 2697 cod. civ., fatti decisivi che dimostrerebbero l’esistenza delle operazioni sottostanti e l’insussistenza della dedotta partecipazione alla frode carosello, avuto riguardo anche alle circostanze di cui al superiore motivo.
Il terzo motivo è inammissibile quanto alla censura di omesso esame di fatto decisivo, in quanto in contrasto con il principio della « doppia conforme » di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ., non avendo la ricorrente illustrato che le ragioni delle sentenze dei due gradi di merito fossero fondate su ragioni diverse; inammissibile è, invece, la censura di violazione di legge, in quanto attraverso la censura di violazione di legge la ricorrente intende giungere a un diverso accertamento in fatto. Il motivo è ulteriormente inammissibile in quanto mescola, al contempo, diversi profili di censura, senza consentire un loro esame separato, laddove fossero state articolate in motivi diversi (Cass., Sez. II, 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass., Sez. III, 17 marzo 2017, n. 7009).
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 19, primo e secondo comma, 21, settimo comma e 74 d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto indebita la detrazione anche in caso di inversione contabile. Osserva parte ricorrente che sarebbe infondata in fatto la circostanza che la società ricorrente abbia consentito ai reali cedenti di realizzare proventi in nero. Osserva, inoltre, parte ricorrente che in caso di inversione contabile il sistema IVA, con norma speciale, deroghi all’ordinario sistema di detrazione, attes o che negli scambi intermedi della catena produttiva non si realizza una effettiva riscossione del tributo, essendo lo stesso traslato sul consumatore finale. Nota la ricorrente come tale ricostruzione sarebbe evincibile anche dalla normativa sopravvenuta di cui all’art. 15, comma 1, lett. f), n. 7) d. lgs. 25 settembre 2015, n. 158. Avendo, pertanto, tutti gli operatori della catena produttiva operato in regime di inversione contabile, l’IVA si sarebbe tradotta nel caso di specie in una partita di giro. Osserva inoltre, la ricorrente, come lo stesso PVC avrebbe osservato che non si sarebbe proceduto al recupero di IVA in danno della società contribuente.
Il quarto motivo è infondato. Secondo il diritto dell’Unione, il diritto alla detrazione dell’IVA è subordinato al rispetto di condizioni sia sostanziali che formali e, in particolare, alla condizione che sulla fattura relativa ai beni o ai servizi per i quali il diritto a detrazione dell’IVA è esercitato vi sia l’indicazione del fornitore che ha effettivamente proceduto a fornire quei beni (CGUE, 11 novembre 2021, Ferimet, C281/20, punto 27). Nel caso in cui risulti che il soggetto passivo che operi in regime di inversione contabile ha consapevolmente menzionato un fornitore fittizio sulla fattura, ciò impedisce all’Ufficio di identificare il vero fornitore e, pertanto, impedisce di accertare la
qualità di soggetto passivo del medesimo quale condizione sostanziale del diritto alla detrazione dell’IVA, facendo così venir meno la stessa neutralità dell’imposta (CGUE, C -281/20, cit., punti 29, 30, 53), perché si impedisce di accertare l’esistenza di nesso diretto tra i beni o servizi forniti dal cedente indicato nella fattura redatta dal cessionario e le prestazioni ivi descritte.
Capovolgendo l’impostazione del la ricorrente, il diritto dell’Unione afferma che spetta al soggetto passivo che esercita il diritto a detrazione dell’IVA, in linea di principio, dimostrare che il fornitore dei beni o dei servizi per i quali tale diritto è esercitato avesse la qualità di soggetto passivo, fornendo egli prove oggettive del fatto che beni e servizi gli siano stati effettivamente forniti a monte da soggetti passivi, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette ad IVA e con rig uardo alle quali l’IVA sia stata effettivamente assolta CGUE, 21 novembre 2018, Vădan, C -664/16, punti 44 e 45), per cui, ove l’identità del vero fornitore non sia indicata nella fattura relativa ai beni o ai servizi per i quali è esercitato il diritto a detrazione dell’IVA, tale diritto deve essere negato al soggetto passivo se mancano i dati necessari per verificare che tale fornitore avesse la qualità di soggetto passivo (CGUE, C-281/20, cit., n. 44), ciò sia nel caso in cui il cessionario autore dell’em issione della fattura in inversione contabile sapesse dell’inesistenza soggettiva della fattura, sia nell’ipotesi in cui si dimostri che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione IVA (CGUE, ult. cit., punti 46 – 52).
Questa interpretazione è conforme al principio costantemente affermato dalla Corte di giustizia, secondo cui il diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il diritto alla detrazione viene invocato in modo fraudolento o abusivo; sicché, quand’anche siano soddisfatte le
condizioni sostanziali del diritto a detrazione, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (CGUE, 11 gennaio 2024, Global Ink Trade, C537/22, punto 35; CGUE, 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie, C -114/22, punti 40 e 41; CGUE, 1° dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, punto 26).
12. Né il diniego della detrazione può essere condizionato, nel caso di soggetto consapevole della inesistenza soggettiva della fattura, dal fatto che non sussista un rischio di perdita di gettito fiscale, come nel caso dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, ove nessun pagamento è dovuto, in linea di principio, all’Erario ( CGUE, 26 aprile 2017, Farkas, C -564/15, punto 41). Peraltro, è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA , stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive relative ai beni interessati sia stata versata o meno all’Erario ( CGUE, 3 settembre 2020, Vikingo Fővállalkozó, C -610/19, punto 42 e giurisprudenza ivi citata), non essendo il rischio di perdita di entrate fiscali presupposto per il diniego della detrazione (CGUE, C-281/20, cit. punto 56), come è irrilevante l’esistenza o meno del vantaggio fiscale procurato al cessionario che intervenga nella catena di cessioni o di prestazioni, in quanto circostanza estranea alla questione di stabilire se siano soddisfatte le condizioni sostanziali alle quali è subordinato il diritto a detrazione, così come è irrilevante tale condizione nel caso in cui si accerti la partecipazione del soggetto passivo a pratiche abusive (CGUE, 14 aprile 2021, Finanzamt Wilmersdorf, C -108/20, punto 35; CGUE, C- 281/20, cit., 57).
13. In sintonia con questi principi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al
cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione, ovvero sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA. (Cass., Sez. V, 10 febbraio 2022, n. 4250; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2019, n. 2862).
14. Ne consegue che, in caso di inversione contabile, ove si accerti che il cessionario fosse stato consapevole della inesistenza soggettiva della fattura di acquisto, ovvero ne sarebbe dovuto essere consapevole secondo l’ordinaria diligenza, il diritto di detrazione dell’imposta relativa alle cessioni di beni di cui alle suddette fatture non può essere riconosciuto. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
15. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5, 6 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nonché dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212 e degli artt. 5 e 6 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato le sanzioni in considerazione del fatto che le violazioni contestate non hanno natura formale. Osserva parte ricorrente che non sono dovute le sanzioni in caso di operazioni soggettivamente inesistenti e che in ogni caso non sarebbe stata provata l’elemento della colpevolezza dell’agente. Invoca l’applicazione dell’art. 6, comma 5 -bis d. lgs. n. 472/1997 trattandosi di violazione formale ex art. 10, comma 3, l. n. 212/2000, alla luce anche delle circostanze evidenziate al superiore motivo di ricorso. Invoca la ricorrente l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art.
6, comma 9bis d.lgs. n. 471/1997 in virtù dell’art. 15 d .lgs. n. 158/2015.
16. Il quinto motivo è infondato, avendo questa Corte statuito che, in tema di operazioni imponibili IVA oggetto di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti sottoposte al regime contabile dell’inversione contabile , ove per queste ultime sia provato l’elemento psicologico, è applicabile la sanzione prevista dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 471/1997, essendo la stessa finalizzata ad osteggiare le condotte potenzialmente destinate alla realizzazione di intenti frodatori ed evasivi mediante l’esercizio della detrazione in assenza dei requisiti sostanziali, rispetto alle quali non opera la fattispecie di cui all’art. 6, comma 9bis d. lgs. cit., dettata per le sole ipotesi di violazioni formali, in cui il cessionario/committente abbia omesso di effettuare gli adempimenti previsti ai fini del reverse charge , pur avendo registrato la fattura nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi (Cass., Sez. U., 20 luglio 2022, n. 22727; Cass., Sez. V, 7 agosto 2024, n. 22394).
17. Inammissibile si rivela, infine, il quinto motivo, nella parte in cui deduce che non sarebbe stata provata, ai fini sanzionatori, la colpevolezza dell’agente in quanto in disparte la presunzione di colpevolezza in tema di sanzioni tributarie -il giudice di appello ha espressamente accertato in fatto la colpevolezza del legale rappresentante della società contribuente ai fini dell’applicazione delle sanzioni tributarie (« sull’elemento psicologico incidono le molteplici prove acquisite al procedimento penale da cui si rileva il pieno coinvolgimento e la colpevolezza da parte di COGNOME di far parte del sodalizio »).
18. La memoria non aggiunge ulteriori utili argomenti di discussione. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla
soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltra al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024