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Fatture false: prova e presunzioni in Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imprenditore contro un avviso di accertamento per fatture false. La Corte ha stabilito che la prova dell’inesistenza delle operazioni può essere fornita dall’Agenzia delle Entrate tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, come l’assenza di un contratto scritto e la non conformità fiscale dei fornitori, confermando così la non deducibilità dei costi.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False: la Cassazione conferma la validità della prova per presunzioni

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, affronta un tema cruciale per imprese e professionisti: la contestazione di fatture false da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La decisione chiarisce come l’onere della prova possa essere assolto dal Fisco attraverso un insieme di elementi indiziari, noti come presunzioni, e quali sono i limiti del potere del giudice tributario. Questo caso offre spunti fondamentali sulla deducibilità dei costi e sulla detraibilità dell’IVA in presenza di operazioni ritenute inesistenti.

I Fatti di Causa

Un imprenditore individuale si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi e la detraibilità dell’IVA relative a quattro fatture. Tali fatture, emesse da due diverse società, riguardavano presunti lavori di restauro di un museo civico. Secondo il Fisco, le operazioni erano fittizie.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, dava ragione all’Ufficio. I giudici d’appello fondavano la loro decisione su una serie di indizi:
* L’anomalia dell’assenza di un contratto scritto di subappalto, specialmente per lavori di notevole valore economico in un contesto di appalti pubblici.
* L’inadempienza fiscale delle società che avevano emesso le fatture.
* La singolare coincidenza nella descrizione dei lavori su tutte le fatture, nonostante fossero state emesse in periodi di tempo diversi.

Contro questa sentenza, l’imprenditore proponeva ricorso in Cassazione, articolando quattro motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso e le difese del contribuente

Il contribuente lamentava principalmente la nullità della sentenza per violazione dei limiti del giudizio. Sosteneva che i giudici d’appello avessero fondato la loro decisione su un argomento nuovo e mai contestato nell’avviso di accertamento, ovvero il divieto di subappalto nelle opere pubbliche senza autorizzazione. Questo, secondo il ricorrente, rappresentava un vizio di ultrapetizione, poiché il giudice non può integrare la motivazione dell’atto impositivo.

Inoltre, il ricorrente deduceva che l’eventuale nullità di un contratto per vizio di forma non implica automaticamente l’inesistenza della prestazione e, di conseguenza, la non deducibilità del costo. Infine, contestava il fatto che l’onere di provare la falsità delle fatture, che spetta all’Amministrazione Finanziaria, non potesse essere assolto sulla base di elementi come l’assenza di un contratto scritto o le mancanze fiscali di terzi.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle fatture false

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi.

In primo luogo, la Corte ha escluso il vizio di ultrapetizione. Ha chiarito che il riferimento della Commissione Tributaria Regionale alle regole sui subappalti pubblici non era l’elemento portante della decisione, ma solo un rafforzativo all’interno di un ragionamento più ampio. Il vero fulcro della motivazione era la massima di esperienza secondo cui, nella prassi commerciale, i rapporti di rilevante valore economico sono normalmente formalizzati in contratti scritti. L’assenza di tale contratto, quindi, è un fatto certo che, unito ad altri indizi, costituisce un quadro presuntivo solido.

La Corte ha sottolineato che la decisione d’appello non si basava su un singolo elemento, ma su una valutazione complessiva di più indizi convergenti: l’assenza del contratto, la genericità delle fatture e l’inaffidabilità fiscale dei fornitori. Questi elementi, considerati insieme, integravano una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 del codice civile. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate aveva correttamente assolto il proprio onere probatorio.

La Cassazione ha quindi confermato che, a fronte di un quadro presuntivo così robusto che inverte l’onere della prova, spetta al contribuente fornire la prova contraria dell’effettività delle operazioni, cosa che nel caso di specie non era avvenuta. La dichiarazione di un terzo, prodotta dal ricorrente, è stata ritenuta irrilevante perché non provava specificamente che le prestazioni fossero state rese a suo favore.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, ha ribadito un principio consolidato in materia di fatture false: l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente provare l’inesistenza di un’operazione attraverso un quadro presuntivo solido e coerente. L’assenza di un contratto scritto, pur non essendo di per sé una prova definitiva, diventa un indizio pesante se corroborato da altre anomalie.

Questa ordinanza serve da monito per gli operatori economici sull’importanza della corretta formalizzazione dei rapporti commerciali e sulla necessità di prestare attenzione all’affidabilità dei propri partner commerciali. Quando il Fisco fornisce un insieme di prove logiche e convergenti, l’onere di dimostrare la realtà delle operazioni si sposta in capo al contribuente, che dovrà fornire prove concrete e specifiche per superare la presunzione di fittizietà.

L’assenza di un contratto scritto è sufficiente a provare che le fatture sono false?
No, di per sé non è sufficiente. Tuttavia, diventa un indizio grave e rilevante quando si unisce ad altri elementi, come l’inadempienza fiscale del fornitore o la genericità delle descrizioni in fattura, contribuendo a formare una presunzione di falsità.

A chi spetta l’onere di provare l’inesistenza di un’operazione fatturata?
Inizialmente, l’onere spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti per contestare la veridicità delle fatture. Una volta che l’Ufficio ha fornito tale quadro probatorio, l’onere della prova si inverte e spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

Il giudice tributario può basare la sua decisione su argomenti non contenuti nell’avviso di accertamento?
No, il giudice deve rimanere entro i confini del ‘thema decidendum’, cioè l’oggetto della controversia definito dall’atto impositivo e dai motivi del ricorso. Tuttavia, può utilizzare massime di esperienza e ragionamenti logici per valutare gli elementi di prova presentati dalle parti all’interno di tali confini, senza che ciò costituisca un’integrazione della motivazione dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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