Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31889 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31889 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10948/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE -ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del FRIULI VENEZIA NOME n. 408/2015 depositata il 26/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, ricorre avverso la sentenza della C.T.R. del Friuli Venezia Giulia, con cui, in riforma della sentenza della C.T.P. di Trieste, è stato rigettato il ricorso originariamente proposto dal contribuente avverso l’a vviso di accertamento che, in rettifica del reddito dichiarato per l’anno 2006, disconosceva la deducibilità ai fini IRPEF di taluni elementi negativi e la detraibilità della corrispondente IVA, sulla base della fittizietà di quattro fatture emesse dall’impresa RAGIONE_SOCIALE e dalla soc. RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione di alcuni lavori per il restauro del Museo Civico di Trieste.
La sentenza della C.T.R. ha ritenuto la gravità, precisione e concordanza degli elementi indiziarii forniti dall’Ufficio. In particolare, ha sottolineato: l’anomalia dell’assenza di un contratto scritto di subappalto per lavori di consistente valore economico, benché, in ipotesi di contratti pubblici, il medesimo debba essere autorizzato dalla stazione appaltante o alla stessa comunicato, stante il suo generale divieto; l’assenza di adempimenti fiscali da parte delle imprese emittenti delle fatture e la singolarità della indicazione in tutte le fatture di identica specificazione dei lavori, nonostante essi fossero stati eseguiti anche a notevole distanza di tempo. La decisione ha, inoltre, ritenuto inconferente la dichiarazione di terzo, prodotta a conferma della sussistenza di un contratto di subappalto fra la RAGIONE_SOCIALE operante nel cantiere del Museo Civico, e la RAGIONE_SOCIALE, essa nulla provando in relazione all’attività svolta in favore del ricorrente, la presenza presso il cantiere della Moschella RAGIONE_SOCIALE subappaltatrice della RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso o, in difetto, il suo rigetto.
Parte ricorrente con memoria in data 4 ottobre 2024 ribadisce le ragioni dell’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula quattro motivi.
Con il primo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 42 d.P.R. 600/1973 e 7 l. 212/2000. Sostiene che la sentenza impugnata abbia accolto l’appello dell’Ufficio fondandosi su circostanze estranee al thema decidendum -qual è il divieto di subappaltare le opere pubbliche senza autorizzazione della stazione appaltante- non contestate al contribuente in sede amministrativa. Rileva che l’oggetto del giudizio tributario è delimitato dalla motivazione dell’avviso di accertamento e che la fondatezza della pretesa tributaria non può che basarsi sull’atto impugnato e sui presupposti in fatto e diritto in esso contenuti, non essendo consentito al giudice di integrare in sede processuale la motivazione dell’atto, pena la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, applicabile al processo tributario ed avente rango costituzionale ex art. 111 Cost..
Con il secondo motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 109 ed 88 TUIR e 118 d. lgs. 163/2006. Sostiene che l’eventuale causa di invalidità del contratto di subappalto, per assenza della forma scritta prevista dal Codice degli appalti, non possa di per sé comportare l’inesistenza delle operazioni ai fini del computo del reddito, posto che la deducibilità di un costo è riconosciuta dal legislatore fiscale al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 109
TUIR, ovverosia: la certezza nell’ an e nel quantum , l’inerenza all’attività di impresa, il rispetto del principio di competenza. Sicché l’eventuale accertamento dell’invalidità del contratto può comportare nel successivo periodo di imposta in cui interviene, una sopravvenienza attiva, come previsto dall’art. 88 TUIR (sempreché gli importi siano stati restituiti), ma non il disconoscimento di un componente negativo già registrato nel periodo di competenza. La nullità del contratto, dunque, da un lato, non può tradursi, nell’insistenza delle operazioni fatturate e nella conseguente indeducibilità dei costi, mentre, d’altro lato, essa non comporta che le parti non abbiano comunque eseguito le prestazioni che ne formano oggetto. Ne consegue che nessuna correlazione logica sussiste fra l’ipotetica nullità del contratto di appalto e la prova (pur indiziaria) che le prestazioni fatturate siano in realtà inesistenti, come preteso dalla C.T.R.. Sottolinea che, in ogni caso, il Codice degli appalti è entrato in vigore solo il 1^ luglio 2006, laddove le fatture contestate riguardano lavori eseguiti in un periodo in cui il d. lgs. 163/2006 non era ancora vigente e rileva che l’autorizzazione prevista dall’art. 118 TUIR è subordinata al superamento di limiti -quali l’impiego di manodopera per un importo superiore al 2% dell’importo complessivo delle prestazioni affidate, ovvero per un importo superiore ad euro 100.000,00 qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50% dell’importo del contratto – la cui valutazione è stata omessa dalla C.T.R..
Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39, comma 1 lett. d) d.P.R. 600/1973 e 21 d.P.R. 633/1972. Ricorda che se è onere dell’Ufficio ricostruire il reddito di impresa, anche facendo ricorso a presunzioni, l’esistenza di una regolare fattura implica, secondo la giurisprudenza di legittimità,
la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, con conseguente onere dell’Agenzia delle Entrate di fornire la prova dell’indeducibilità del relativo costo. Siffatta prova, nondimeno, non può essere desunta -come fa la sentenza gravatadall’omissione degli adempimenti fiscali da parte di chi l’ha emessa, ciò comportando l’imputazione al contribuente di comportamenti a lui non riferibili, né dall’assenza di un contratto in forma scritta non richiesto dalla disciplina civilistica, tanto più nell’ipotesi -ricorrente nel caso di speciedi rapporti continuativi con i fornitori, ma solo dalla ‘contiguità’ tra chi ha emesso e chi ha ricevuto la fattura ovvero dalla fittizietà del fornitore. Osserva che in questo senso doveva essere letta dai giudici dell’appello la dichiarazione del terzo prodotta dal contribuente, con la quale il ricorrente, pur non onerato, ha inteso provare l’esistenza ed operatività effettiva del fornitore, ciò rilevando ai fini della valutazione dell’esistenza dell’operazione.
Con il quarto motivo fa valere, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 42 d.P.R. 600/1973 e 7 l. 212/2000. Rileva che la motivazione, laddove afferma che il contribuente non avrebbe provato il pagamento delle fatture oggetto di discussione, riprende un argomento introdotto dall’Ufficio solo in sede di appello e del tutto nuovo rispetto al thema decidendum , come definito nella motivazione dell’avviso di accertamento, con conseguente inammissibilità dell’ampliamento della motivazione da parte del giudice di seconda cura.
Il primo ed il secondo motivo debbono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
6.1 Si lamenta, in primo luogo, il vizio di ultrapetizione del giudice di seconda cura, per avere il medesimo posto a
fondamento della decisione la considerazione secondo la quale il divieto di subappaltare opere pubbliche senza autorizzazione dell’ente appaltante, vigente all’epoca dei fatti, concorrerebbe alla formazione della presunzione di inesistenza delle operazioni fatturate. Si sottolinea, in secondo luogo, che dall’eventuale nullità del contratto di appalto, per difetto di forma scritta, non può desumersi, come fa la sentenza impugnata, l’inesistenza delle operazioni fatturate, ben potendo le prestazioni essere state comunque eseguite e quindi costituire un componente negativo nel periodo di competenza, il quale, laddove fosse accertata l’invalidità del negozio, assumerebbe, nel successivo periodo di imposta, la forma di sopravvenienza attiva. La nullità del contratto, infatti, non autorizza a tradurre la sua invalidità nell’inesistenza delle operazioni fatturate. Si assume che a fronte della presunzione di veridicità delle fatture, come affermata dalla giurisprudenza di legittimità, è onere dell’Ufficio fornire la prova dell’indeducibilità del costo, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che, nondimeno, non possono che fondarsi su elementi rivelanti la effettiva fittizietà della operazioni -quali la contiguità dei rapporti fra le parti o la natura di cartiera del fornitoree non invece sull’assenza della forma scritta contrattuale, di per sé priva di rilevanza ed idoneità a provarne la falsità. Mentre la dichiarazione del terzo, prodotta dal ricorrente, ancorché non onerato della prova, ritenuta inconferente dal giudice di appello, tendeva proprio a dimostrare la reale operatività della RAGIONE_SOCIALE
6.2 Ora, va preliminarmente ricordato che nel giudizio tributario di impugnazione, il thema decidendum è costituito non dal rapporto tributario nella sua interezza, ma dal rapporto tributario come accertato nell’atto impugnato e nei limiti delle contestazioni formulate con i motivi del ricorso introduttivo. Ed invero ‘il giudizio tributario pur connotandosi non come un
giudizio di impugnazione-annullamento, bensì come un giudizio di impugnazione-merito, finalizzato non soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma anche alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, deve restare entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente’ (da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 14331 del 22/05/2024, Rv. 671404, in motivazione; ed inoltre, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 10806 del 28/06/2012, Rv. 623225; Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011, Rv. 619743).
Sussiste, dunque, il vizio di ultrapetizione, ai sensi da dell’art. 112 cod. proc. civ., solo allorquando il giudice si pronunci su un rapporto tributario diverso da quello accertato nell’atto impositivo impugnato o, comunque, prescinda dalla motivazione dell’atto impositivo impugnato oppure nel caso in cui annulli l’atto impugnato per ragioni ad esso del tutto estranee, in fatto o in diritto, e, quindi, non riconducibili a quelle introdotte dal contribuente con il ricorso introduttivo, tramite la formulazione dei motivi originari o di quelli aggiunti proposti ai sensi degli artt. 24, comma 2, e 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
6.3 Nel caso di specie la C.T.R. non incorre nel lamentato vizio, posto che l’inesistenza di un contratto in forma scritta fra l’impresa facente capo al contribuente e le società che hanno emesso le fatture era richiamata -come riconosciuto dallo stesso ricorrente con l’atto introduttivo di questo giudizio -nell’atto impositivo. Mentre la considerazione in ordine al divieto di subappalto senza autorizzazione della stazione appaltante all’epoca non previsto -cui la sentenza impugnata fa riferimento, al fine di sottolineare la concreta esigenza di una formalizzazione scritta del subappalto ed al fine di consentire i
contro
lli, non costituisce aspetto dirimente della decisione, avuto riguardo alla considerazione che pur ritenendolo già vigente all’epoca dei fatti, la C.T.R. conclude sul punto affermando che ‘ Comunque appare anche assolutamente poco credibile che per un appalto di valore economico di una certa consistenza non vi fosse alcun atto scritto fra appaltatore/appaltante e subappaltatore ‘. Con ciò, la sentenza chiarisce che non è tanto la violazione del divieto di ricorrere al subappalto, senza autorizzazione o comunicazione, ad integrare il ragionamento presuntivo, ma la circostanza che nella prassi commerciale i rapporti di rilevante valore economico sono usualmente consacrati in contratti aventi forma scritta. E’, dunque, alla luce di siffatta massima di esperienza, che il ragionamento del giudice di appello legge il fatto certo -in quanto neppure contestatodell’assenza di patto scritto come indice dell’inesistenza delle operazioni fatturate, proprio perché ad essa si aggiungono, convergendo nella medesima direzione, da un lato, la circostanza che le fatture recano tutte lo stesso oggetto benché i lavori si pretendano eseguiti in periodi diversi- e, dall’altro, la constatazione che delle fatture non si trovi traccia nella contabilizzazione e nelle dichiarazioni fiscali di entrambe le imprese subappaltanti. Diversamente da quanto dedotto con il ricorso, quindi, la C.T.R. lungi dall’imputare al contribuente le conseguenze di condotte allo stesso non riferibili (quali l’omessa dichiarazione fiscale del fornitore) si limita a valorizzare gli elementi fattuali come indiziarii dell’inesistenza delle operazioni e sulla base di quelli formula una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità precisione e concordanza, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ..
Non può, in definitiva, sostenersi, come fa il ricorrente, che il giudice di appello abbia ignorato la presunzione di veridicità delle fatture in relazione a quanto in esse rappresentato, avendo
invece ritenuto raggiunta, ancorché presuntivamente, la prova contraria dell’inesistenza delle operazioni (esecuzione dei lavori) che ne formano oggetto. Né la sentenza impugnata ha desunto diversamente da quanto sostenuto con il ricorso- conseguenze in ordine all’inesistenza delle operazioni da una causa di invalidità del contratto (difetto di forma), limitandosi ad affermare che l’assenza di un contratto scritto insieme con gli altri elementi indiziarii richiamati conduce a ritenere integrata la prova necessaria dell’indeducibilità del costo. Appare, dunque, inconsistente anche la violazione dell’art. 2697 cod. civ., stante il ritenuto assolvimento da parte dell’Agenzia delle entrate dell’onere probatorio sulla medesima gravante.
6.4 I primi due motivi debbono, pertanto, essere rigettati non essendo integrato né il vizio di ultrapetizione, né la violazione delle norme del Codice degli appalti, che non fonda la decisione, essendo questa sostenuta da considerazioni inerenti al valore probatorio degli elementi emergenti dalla motivazione dell’atto di accertamento impugnato.
Il terzo motivo, invece, è inammissibile. Si assume che a fronte della presunzione di veridicità delle fatture, come affermata dalla giurisprudenza di legittimità, è onere dell’Ufficio fornire la prova dell’indeducibilità del costo, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che, nondimeno, non possono che fondarsi su elementi rivelanti la effettiva fittizietà della operazioni -quali la contiguità dei rapporti fra le parti o la natura di cartiera del fornitoree non invece sull’assenza della forma scritta contrattuale, di per sé priva di rilevanza ed idoneità a provarne la falsità. La dichiarazione del terzo, prodotta dal ricorrente, ancorché non onerato della provaritenuta inconferente dal giudice di appello- tendeva proprio a dimostrare la reale operatività della RAGIONE_SOCIALE presso il cantiere del Museo civico.
7.1 La censura, che peraltro ripropone alcuni dei temi già affrontati con le precedenti doglianze, si risolve, invero, nella richiesta di una rivalutazione delle risultanze processuali. La contestazione circa il valore probatorio della dichiarazione del terzo, prodotta dal contribuente, tesa a provare -come dal medesimo chiarito con il ricorso- che la RAGIONE_SOCIALE non fosse una ‘cartiera’, ma un’azienda effettivamente esistente, finisce per integrare la richiesta di una diversa valutazione della prova contraria offerta dal contribuente. Invero, la sentenza non ignora affatto la dichiarazione -né dubita della sua ammissibilità (cfr. ex multis Sez. 5, Sentenza n. 25804 del 23/09/2021) ma, semplicemente, non assegna alla medesima il significato probatorio preteso dal contribuente, affermando che la presenza della RAGIONE_SOCIALE -emittente di una delle due fatture in favore in questione- quale subappaltatrice della RAGIONE_SOCIALE, presso il cantiere del Museo Civico, nulla prova in ordine all’attività svolta dalla prima a favore del ricorrente.
Il quarto motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente lamenta che la C.T.R., laddove afferma che il contribuente non è stato in grado di dimostrare neppure il pagamento dei costi sostenuti, abbia illegittimamente integrato la motivazione dell’avviso di accertamento, accogliendo una sollecitazione formulata dall’Agenzia delle entrare in grado di appello, costituente un ampliamento del thema probandum.
8.1 La deduzione del vizio non considera che la sentenza, ritenendo integrata da parte dell’Ufficio la prova dell’inesistenza delle operazioni contestate, si limita ad indicare una prova contraria che il contribuente avrebbe potuto agevolmente offrire, ma siffatta considerazione non integra alcuna integrazione dell’avviso di accertamento, posto che proprio gli elementi posti a base di quest’ultimo, secondo la C.T.R., valgono a formare la presunzione di cui all’art. 2729 cod. civ. in ordine all’inesistenza
delle operazioni contestate, non efficacemente contrastata dal contribuente.
Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese di questo giudizio vanno liquidate in euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della Agenzia delle Entrate, liquidandole in euro 4.100,00, oltre a spese prenotate a debito.
-Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024.