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Fatture false: onere prova e dichiarazioni di terzi

Una società si è vista negare la deducibilità di costi documentati da fatture false. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14979/2024, ha confermato la decisione, stabilendo che le dichiarazioni confessorie di chi emette le fatture, unite ad altri elementi indiziari, costituiscono prova sufficiente a carico del contribuente. Una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce un quadro probatorio grave, preciso e concordante, spetta al contribuente dimostrare l’effettività dell’operazione. La Corte ha inoltre ribadito che la violazione del contraddittorio preventivo non invalida l’atto se il contribuente non supera la “prova di resistenza”.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False: La Cassazione sul Valore delle Dichiarazioni di Terzi e l’Onere della Prova

L’utilizzo di fatture false per operazioni inesistenti è una delle pratiche evasive più dannose per l’erario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 14979 del 28 maggio 2024, offre chiarimenti cruciali su come l’Amministrazione Finanziaria possa provare la fittizietà delle operazioni e su quale sia l’onere probatorio a carico del contribuente. La decisione si sofferma in particolare sul valore delle dichiarazioni rese da terzi e sui limiti del diritto al contraddittorio preventivo.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deduzione di costi e la detrazione dell’IVA relativi a due fatture emesse da una ditta individuale. L’accertamento traeva origine da una verifica della Guardia di Finanza nei confronti della ditta emittente, dalla quale erano emersi molteplici e gravi indizi della sua natura di mera “cartiera”, ovvero un soggetto creato al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti.

Tra gli elementi raccolti figuravano:
* La coincidenza della sede legale dell’impresa con l’abitazione privata del titolare.
* La totale inadempienza agli obblighi fiscali.
* L’assenza di beni strumentali necessari a svolgere le prestazioni fatturate.
* La prosecuzione dell’emissione di fatture anche dopo la cessazione formale dell’attività.

L’elemento decisivo era però la dichiarazione confessoria resa dallo stesso titolare della ditta, il quale ammetteva di emettere le fatture su richiesta dei clienti senza mai effettuare alcuna prestazione lavorativa. Sulla base di questo quadro, l’Agenzia delle Entrate contestava alla società utilizzatrice l’indebita deduzione dei costi.

I Motivi del Ricorso e l’Onere della Prova sulle Fatture False

La società contribuente ha impugnato l’atto fino in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la violazione del contraddittorio preventivo e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del terzo (l’emittente delle fatture) come prova, lamentando di non aver avuto la possibilità di “controinterrogare” il dichiarante. La questione giuridica centrale ruotava attorno alla ripartizione dell’onere della prova e al valore probatorio degli elementi raccolti dall’amministrazione.

Validità delle Dichiarazioni di Terzi come Prova

La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni della società, chiarendo un punto fondamentale: nel processo tributario, le dichiarazioni rese da terzi e contenute in un processo verbale di constatazione non costituiscono testimonianza (generalmente vietata), ma sono pienamente utilizzabili come elementi indiziari. Spetta al giudice di merito valutarne la credibilità e il peso, specialmente quando, come nel caso di specie, sono corroborate da un ampio ventaglio di altri elementi oggettivi. La Corte ha precisato che questi indizi, se “gravi, precisi e concordanti”, formano una prova presuntiva sufficiente a sostenere la pretesa fiscale.

L’Onere della Prova in caso di Fatture False

La sentenza ribadisce il consolidato principio sulla ripartizione dell’onere probatorio. L’Amministrazione Finanziaria ha il compito di fornire gli elementi di fatto che facciano ragionevolmente dubitare della realtà delle operazioni fatturate. Una volta che l’Ufficio ha fornito un quadro probatorio solido, come quello descritto, l’onere della prova si inverte e passa al contribuente. A quel punto, non è più sufficiente esibire la fattura e la prova del pagamento: il contribuente deve fornire la prova positiva e concreta che la prestazione o la cessione di beni sia stata effettivamente eseguita, dimostrando così la realtà economica dell’operazione.

Il Principio del Contraddittorio e la “Prova di Resistenza”

Anche sulla presunta violazione del diritto al contraddittorio preventivo, la Corte ha rigettato il motivo di ricorso. È stato riaffermato che, per ottenere l’annullamento dell’atto, il contribuente non può limitarsi a lamentare la mancata instaurazione del dialogo preventivo, ma deve superare la cosiddetta “prova di resistenza”. Deve cioè allegare e dimostrare in giudizio quali specifici argomenti avrebbe potuto far valere in quella sede e come questi avrebbero potuto portare a un esito diverso del procedimento. In assenza di tale dimostrazione, il vizio procedurale non è considerato invalidante.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso basandosi sulla coerenza e sulla convergenza degli elementi probatori raccolti. La CTR non si è basata unicamente sulla dichiarazione del terzo, ma l’ha inserita in un quadro probatorio presuntivo dettagliato e logico. L’apprezzamento di tali elementi rientra nel libero e riservato sindacato del giudice di merito, che la Cassazione non può riesaminare se non per vizi di logica manifesta o totale assenza di motivazione, ipotesi non ricorrenti in questo caso. La difesa della società, secondo i giudici, mirava a una inammissibile rivalutazione dei fatti già accertati nei gradi di merito.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida principi fondamentali in materia di accertamento su fatture false. In primo luogo, le dichiarazioni di terzi, pur non essendo testimonianze, hanno pieno valore indiziario e possono essere decisive se supportate da altri elementi. In secondo luogo, una volta che l’Agenzia ha costruito un solido impianto presuntivo, la palla passa al contribuente, che ha l’onere gravoso di provare la realtà dell’operazione. Per le imprese, la lezione è chiara: la massima diligenza nella scelta e nella verifica dei propri fornitori è essenziale. Conservare la documentazione contabile non basta se l’operazione sottostante è fittizia; è necessario essere in grado di dimostrare, con ogni mezzo, che a quella fattura è corrisposta una reale e concreta prestazione economica.

Nel processo tributario, la confessione di chi ha emesso fatture false può essere usata come prova contro l’azienda che le ha utilizzate?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni di terzi, come la confessione dell’emittente, sono pienamente utilizzabili come elementi indiziari. Se supportate da altri fatti (come l’assenza di una reale struttura aziendale del fornitore), possono formare una prova presuntiva sufficiente a fondare l’accertamento fiscale a carico di chi ha utilizzato le fatture.

Se l’Agenzia delle Entrate non mi convoca prima di emettere un avviso di accertamento per fatture false, l’atto è sempre nullo?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, per ottenere l’annullamento dell’atto per violazione del contraddittorio preventivo, il contribuente deve superare la “prova di resistenza”. Ciò significa che deve dimostrare in giudizio quali argomenti avrebbe sostenuto e come questi avrebbero potuto portare a un risultato diverso. La semplice lamentela del vizio procedurale non è sufficiente.

A chi spetta l’onere della prova in un contenzioso su fatture per operazioni inesistenti?
L’onere della prova è ripartito. Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano la falsità delle operazioni. Una volta che l’Agenzia ha adempiuto a questo onere, la prova si inverte e spetta al contribuente dimostrare in modo concreto e positivo che le operazioni fatturate sono state effettivamente e realmente eseguite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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