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Fatture false: onere della prova per l’IVA

In un caso di contestazione per fatture false (operazioni soggettivamente inesistenti), la Cassazione ha annullato la decisione di merito che riteneva sufficiente la prova di pagamenti tracciabili per dimostrare la buona fede dell’acquirente. La Corte ha ribadito che l’Amministrazione Finanziaria può provare con indizi la consapevolezza della frode da parte del contribuente, il quale, a sua volta, deve dimostrare di aver usato la massima diligenza per non essere coinvolto. La regolarità formale dei documenti non è, da sola, una prova sufficiente.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False e Detrazione IVA: La Cassazione Chiarisce la Prova della Buona Fede

L’utilizzo di fatture false per operazioni soggettivamente inesistenti rappresenta una delle problematiche più complesse nel diritto tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sul delicato equilibrio dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, stabilendo che la semplice regolarità formale e i pagamenti tracciabili non bastano a dimostrare la buona fede dell’acquirente. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Controversia sulla Detrazione IVA

Una società operante nel settore del commercio si vedeva recapitare un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione contestava la detrazione dell’IVA e la deduzione dei costi relativi a fatture emesse da un fornitore ritenuto fittizio, configurando così delle operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo l’Agenzia, sebbene le merci fossero state scambiate, il soggetto che aveva emesso le fatture non era il reale venditore.

Il Percorso Giudiziario: Dalle Commissioni Tributarie alla Cassazione

Nei primi due gradi di giudizio, le corti tributarie davano ragione alla società. I giudici di merito ritenevano che l’azienda avesse fornito prove sufficienti della sua buona fede, in particolare attraverso la produzione delle fatture e la dimostrazione dei pagamenti avvenuti tramite mezzi tracciabili. Secondo questa visione, l’Agenzia delle Entrate non aveva adeguatamente provato la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente.
L’Amministrazione Finanziaria, non soddisfatta, ricorreva per Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel valutare le prove e nell’applicare i principi consolidati in materia di fatture false.

Le Fatture False e l’Onere della Prova secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ribaltando la prospettiva e chiarendo in modo definitivo come deve essere ripartito l’onere probatorio in questi casi.

Il Ruolo dell’Amministrazione Finanziaria

La Cassazione ha ricordato che spetta all’Amministrazione Finanziaria il primo passo. Essa deve dimostrare, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (ad esempio, l’assenza di una sede operativa, di personale, di beni strumentali).
2. Gli elementi indiziari che facciano ritenere che l’acquirente fosse a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

Tra gli indizi rilevanti, l’Ufficio aveva segnalato che il fornitore aveva emesso fatture per importi ingenti prima ancora di aprire la Partita IVA e aveva cessato l’attività dopo soli nove mesi, omettendo ogni adempimento fiscale.

L’Onere del Contribuente

Una volta che l’Amministrazione ha fornito questo quadro indiziario, la palla passa al contribuente. A questo punto, non è più sufficiente esibire fatture e pagamenti regolari. L’impresa deve fornire la prova contraria, ossia dimostrare di aver adottato la “massima diligenza esigibile da un operatore accorto” per assicurarsi che il fornitore fosse un soggetto reale e operativo e per non essere coinvolta in un’operazione fraudolenta.

La Valutazione degli Indizi: Un Approccio Globale

Il punto cruciale della decisione risiede nel metodo di valutazione delle prove. La Cassazione ha censurato la corte di merito per aver analizzato gli elementi in modo atomistico e isolato. Invece di attribuire un valore decisivo e assolutorio ai pagamenti tracciabili, il giudice avrebbe dovuto compiere una valutazione complessiva e sintetica di tutti gli indizi presentati dall’Agenzia. Spesso, infatti, la regolarità formale delle transazioni è essa stessa parte integrante del meccanismo fraudolento, studiata appositamente per dare un’apparenza di legittimità all’operazione.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha stabilito che i giudici di merito hanno violato i principi consolidati, sia a livello nazionale che europeo, in materia di onere della prova per le fatture false. Hanno erroneamente ritenuto che i pagamenti tracciabili potessero da soli superare il quadro indiziario fornito dall’Amministrazione Finanziaria. La giurisprudenza costante, al contrario, afferma che elementi come la regolarità contabile e i pagamenti non sono di per sé idonei a dimostrare la buona fede, in quanto coessenziali al meccanismo illecito. La decisione è stata quindi cassata con rinvio, imponendo alla corte di secondo grado di riesaminare il caso applicando il corretto principio di diritto, ovvero procedendo a una valutazione unitaria e complessiva di tutti gli elementi indiziari.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: nella lotta all’evasione IVA tramite fatture false, la diligenza richiesta agli operatori economici va ben oltre il semplice controllo formale. Le imprese devono adottare cautele sostanziali per verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali. La presentazione di pagamenti tracciabili non costituisce uno scudo invincibile contro le contestazioni fiscali se sono presenti altri solidi indizi che suggeriscono il coinvolgimento, anche solo per negligenza, in una frode. Per le aziende, ciò significa implementare procedure di controllo sui fornitori più rigorose per non incorrere in gravi conseguenze fiscali.

Per detrarre l’IVA, è sufficiente dimostrare di aver pagato le fatture con mezzi tracciabili?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità formale delle fatture e l’avvenuto pagamento, anche se tracciabile, non sono sufficienti a dimostrare la buona fede del contribuente in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, poiché questi elementi possono far parte del meccanismo fraudolento.

Chi deve provare che l’acquirente era a conoscenza della frode IVA legata a fatture false?
L’onere iniziale spetta all’Amministrazione Finanziaria. Essa deve provare, anche tramite presunzioni (indizi), non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che l’acquirente sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione faceva parte di un’evasione fiscale.

Cosa deve fare un’impresa per difendersi dall’accusa di aver utilizzato fatture false?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito elementi indiziari sulla consapevolezza della frode, l’impresa deve fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolta nell’operazione illecita, andando oltre la semplice verifica formale dei documenti e dei pagamenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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