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Fatture false: onere della prova e società cartiere

Una società si è vista negare la deducibilità di costi per fatture false emesse da presunte società cartiere. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. La sentenza ribadisce che un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti (come vita breve della società fornitrice, assenza di dipendenti e perdita della contabilità) è sufficiente a provare la fittizietà delle operazioni, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esecuzione delle prestazioni.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False e Società Cartiere: La Cassazione Delinea i Confini della Prova

L’utilizzo di fatture false per abbattere il carico fiscale è una delle pratiche evasive più contestate dall’Amministrazione Finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 6044/2024, torna su questo tema cruciale, offrendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione della prova e sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente quando si sospetta l’esistenza di società cosiddette “cartiere”. Il caso analizzato riguarda una società operante nel settore dell’elettronica che si è vista recapitare avvisi di accertamento per diverse annualità, con i quali veniva contestata la deducibilità di costi e la detrazione dell’IVA relative a servizi pubblicitari.

I Fatti di Causa

L’Agenzia delle Entrate aveva contestato a due società del medesimo gruppo la legittimità di fatture emesse da alcuni fornitori di servizi pubblicitari, consistenti principalmente nell’invio di newsletter. Secondo l’Ufficio, tali fornitori erano mere “società cartiere”, riconducibili a un unico soggetto che agiva come broker, prive di una reale struttura aziendale (dipendenti, mezzi, ecc.) e create al solo fine di emettere documenti fiscali per operazioni mai realizzate. La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione alle società contribuenti, ma la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia.

L’onere della prova in caso di fatture false

I giudici d’appello hanno ritenuto provata la fittizietà delle operazioni sulla base di una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Tra questi spiccavano:

* La breve vita operativa delle società fornitrici.
* La distruzione o lo smarrimento della documentazione contabile.
* L’assenza di dipendenti e di una struttura idonea a erogare i servizi fatturati.
* Il ricorso a società terze che, interpellate, negavano di aver mai fornito i servizi in questione.
* L’esistenza di una precedente sentenza che aveva già qualificato le medesime società fornitrici come “cartiere”.

Di fronte a questo quadro probatorio, la società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’omesso esame di prove a suo favore e l’errata valutazione di una sentenza non ancora passata in giudicato.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza. Vediamo i punti salienti.

Omesso esame delle prove e valutazione del merito

La ricorrente sosteneva che i giudici regionali avessero ignorato altre sentenze e perizie informatiche che dimostravano l’effettiva operatività delle società fornitrici. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che il giudice di merito aveva sì esaminato tali prove, ma le aveva ritenute non decisive o irrilevanti rispetto al quadro indiziario complessivo. Inoltre, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non spetta alla Suprema Corte rivalutare le prove e sostituire il proprio convincimento a quello del giudice di secondo grado, il quale è l’unico sovrano nell’individuare le fonti del proprio convincimento e nel valutarne l’attendibilità.

Motivazione apparente e onere della prova sulle fatture false

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta motivazione “apparente” della sentenza d’appello, che secondo la società si sarebbe limitata a trasferire automaticamente su di essa le conseguenze dell’evasione dei fornitori. Anche su questo punto, la Cassazione è stata netta. La motivazione non è apparente quando, come nel caso di specie, espone in modo chiaro e comprensibile le ragioni di fatto e di diritto della decisione. I giudici regionali avevano elencato punto per punto gli indizi che li avevano portati a ritenere fittizie le operazioni, costruendo un percorso logico-argomentativo del tutto adeguato. Era quindi onere del contribuente, a quel punto, fornire la prova contraria, ovvero dimostrare l’effettiva esecuzione e l’inerenza delle prestazioni ricevute.

Il valore probatorio di altre sentenze

Infine, la Corte ha precisato che il giudice di merito può legittimamente utilizzare come elemento di prova anche una sentenza emessa in un altro giudizio, sebbene non ancora definitiva. Tale sentenza non assume valore di prova legale, ma può essere liberamente apprezzata dal giudice, insieme a tutti gli altri elementi, per formare il proprio convincimento sulla natura “cartiera” di un fornitore.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati in materia di onere della prova nelle controversie su fatture false. Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti che fanno dubitare della realtà delle operazioni fatturate, l’onere di provare l’effettiva esistenza delle stesse si sposta sul contribuente. Quest’ultimo non può limitarsi a esibire la fattura, ma deve fornire elementi concreti (contratti, corrispondenza, prove dei pagamenti, documentazione sull’esecuzione della prestazione) che dimostrino la veridicità dell’operazione e la sua utilità per l’attività d’impresa. La motivazione di una sentenza è considerata “apparente” solo quando è talmente generica o contraddittoria da non rendere percepibile il ragionamento seguito dal giudice, circostanza che la Corte ha escluso nel caso in esame.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 6044/2024 rafforza l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la lotta all’evasione fiscale basata sull’uso di fatture false passa attraverso un’attenta analisi del quadro indiziario. Per le imprese, la lezione è chiara: la scelta dei partner commerciali e dei fornitori richiede la massima diligenza. Di fronte a soggetti privi di una solida e verificabile struttura operativa, il rischio di vedersi contestare la deducibilità dei costi è estremamente elevato. Conservare non solo la fattura, ma tutta la documentazione idonea a provare la realtà e l’inerenza dell’operazione economica diventa un’esigenza imprescindibile per tutelarsi in caso di accertamento fiscale.

Quando un’amministrazione finanziaria può considerare delle fatture come relative a operazioni inesistenti?
L’amministrazione può considerare le operazioni inesistenti sulla base di un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso esaminato, questi includevano la breve vita operativa delle società fornitrici, l’assenza di dipendenti, la perdita della contabilità e le smentite di terzi fornitori.

Una volta che il Fisco ha fornito gli indizi di fittizietà, cosa deve fare il contribuente per difendersi?
Il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria. Non è sufficiente presentare la fattura, ma deve dimostrare con elementi concreti che le prestazioni sono state effettivamente eseguite, che erano necessarie per l’attività d’impresa e che sono state pagate.

Un giudice può usare una sentenza non definitiva di un altro processo come prova?
Sì, la Corte di Cassazione ha chiarito che un giudice può utilizzare una sentenza non ancora passata in giudicato come elemento di prova, da valutare liberamente insieme a tutti gli altri indizi disponibili, per formare il proprio convincimento sui fatti di causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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