Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33546 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33546 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29449/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE E CONCORDATO PREVENTIVO, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIASEZ.DIST. BRESCIA n. 1286/2020 depositata il 25/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Nel corso di indagini di polizia giudiziaria delegate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nel contesto del procedimento penale n. 36174/06, la Guardia di Finanza constatava la natura di “cartiera” della società RAGIONE_SOCIALE. Poiché tra i clienti di quest’ultima v’era anche RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE E IN CONCORDATO PREVENTIVO, la Guardia di Finanza redigeva a carico della medesima processo verbale di constatazione, i cui rilievi venivano integralmente recepiti nell’avviso di accertamento n. T9H03Al05538/2016, per il periodo di imposta 2012, con il quale l’Ufficio rideterminava maggiori Ires, Irap ed Iva.
1.1. Dalle indagini era infatti emerso che la contribuente aveva indebitamente dedotto, in violazione dell’art. 109 tuir e delle prescrizioni del D.Lgs. n. 446 del 1997, ingenti costi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto emesse in favore della medesma da RAGIONE_SOCIALE, altresì facendo errata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile.
La contribuente presentava ricorso, accolto dalla CTP di Brescia con sentenza n. 462/2017.
L’Ufficio proponeva appello. La contribuente resisteva con controdeduzioni, spiegando altresì appello incidentale condizionato.
3.1. La CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, così decideva:
La Commissione accoglie l’appello dell’Ufficio e annulla la sentenza appellata. Condanna la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, al pagamento delle spese del grado che liquida in euro 9.000,00.
3.2. In motivazione, osservava:
L’Ufficio, tramite il PVC della Guardia di Finanza di Brescia, rapporto redatto da PU che fa piena prova fino a querela di falso, ha potuto dimostrare che la società RAGIONE_SOCIALE unipersonale a fronte degli accreditamenti bancari, immediatamente dopo ogni accredito, prelevava somme in contanti che non ha mai saputo giustificare che uso ne veniva fatto.
La RAGIONE_SOCIALE non ha mai avuto alcuna autorizzazione ambientale per lo stoccaggio ed il recupero del rifiuto costituito da rottami metallici e, pertanto, non poteva vendere l’eventuale materiale ferroso.
Non ha mai avuto personale dipendente, né uffici amministrativi e di contabilità nell’anno in contestazione.
Inoltre era risaputo nell’ambiente e non, che NOME COGNOME indicato dalla dipendente dell’appellata COGNOME NOME come procacciatore d’affari che teneva i rapporti tra la New Metal e l’appellata medesima, fosse persona dubbia con residenza a Panama, irreperibile, segnalato da tutte le Polizie Tributarie per tutta una serie di reati tributari e non. La stessa COGNOME ha dichiarato che in qualità di impiegata amministrativa della appellata non ha mai fatto indagini documentali sulla predetta New Metal.
Appare fuor di dubbio che siamo in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti.
L’Agenzia ha prospettato il valore fidefaciente del pvc indicando in maniera specifica gli elementi fattuali che i verbalizzanti avrebbero individuato per dimostrare il coefficiente psicologico con specifico riferimento alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, in tal modo rendendo la censura in merito dettagliata e specifica .
Il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, stante le notizie sul sig. COGNOME note e reperibili anche attualmente in Internet, che le operazioni erano soggettivamente inesistenti e pertanto tale atteggiamento assume i connotati di indizio grave preciso e concordante tale da far presumere che l’appellata comprava il materiale da terzi e riceveva fatture dalla “cartiera” rendendosi “complice” della stessa.
A questo punto la appellata avrebbe dovuto fornire la prova che non poteva conoscere le condizioni del suo fornitore in quanto aveva adottato ogni misura di indagine documentae a tal fine.
I fatti narrati lo escludono.
La contribuente avrebbe dovuto provare lo status di soggettiva impossibilità di percepire il carattere fraudolento delle operazioni, nonostante l’impiego della ordinaria diligenza.
Facendo uso della comune diligenza la contribuente avrebbe dovuto verificare, ossia provare, la regolarità sostanziale delle operazioni e non soltanto la regolarità formale delle fatture e/o dei pagamenti .
Neppure la constatazione tra la corrispondenza del prezzo fatturato a quello corrente di mercato è sufficiente a provare la buona fede soggettiva intesa quale non conoscenza delle operazioni fraudolente .
L’atto impugnato è sottoscritto da funzionario all’uopo delegato con delega di firma (funzionario delegato NOME COGNOME; delega del Direttore Provinciale NOME COGNOME).
L’atto impugnato è motivato tale da consentire un adeguato diritto di difesa.
Le sanzioni sono state applicate a norma di legge.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con sei motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La contribuente deposita ampia memoria telematica.
Considerato che:
Preliminarmente deve rilevarsi che, con la memoria, la difesa della contribuente allega che ‘in data 16.12.2022 è divenuta irrevocabile la sentenza n. 2994, depositata in data 25.10.2022’, contestualmente depositata come doc. 4, ‘con la quale il Tribunale di Brescia, peraltro su conforme richiesta del P.M., ha assolto il legale rappresentante pro tempore dell’odierna ricorrente, dott. NOME COGNOME dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato’, invocando pertanto l’applicazione dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000.
1.1. Nel procedimento penale, il suddetto l.r. era imputato del reato p. e p. dall’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 perché, nella qualità, al fine di evadere le imposte dui redditi e l’IVA; indicava nelle dichiarazioni, per l’anno 2012, elementi passivi fittizi, ‘avvalendosi delle fatture ritenute relative ad operazioni oggettivamente inesistenti per un imponibile complessivo pari ad euro 1.829.601,999 e IVA in regime di reverse charge pari a euro 384.216,28 emesse dalla ‘RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Nel dispositivo si legge che l’imputato è mandato assolto ‘perché il fatto non costituisce reato’.
1.3. Dalla motivazione si evince che,
a seguito di formale contestazione, così come emerge dal p.v.c. del 10 ottobre 2016 in atti, COGNOME NOME aveva prodotto la documentazione comprovante l’effettività di tutte le forniture riferibili a ciascuna delle fatture in imputazione, rappresentando sin da subito come al settore dei materiali metallici non ferrosi fosse stato preposto con regolare contratto il procacciatore di affari NOME NOME.
Pertanto l’Agenzia aveva ritenuto di mutare l’originario orientamento e di contestare l’inesistenza solamente soggettiva delle fatture, in quanto verosimilmente emesse a copertura di acquisti ‘in nero’ a prezzi ribassati da fornitore diverso dalla RAGIONE_SOCIALE e restato ignoto.
Ciononostante l’accusa mossa all’imputato nell’odierno procedimento è restata ancorata all’inesistenza oggettiva delle operazioni, pur essendo ormai pacifica per la stessa Agenzia delle entrate l’effettività materiale delle forniture.
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In punto di penale responsabilità del l.r., la sentenza sottolinea poi il difetto di evidenza, dall’esperita istruttoria, del suo ‘coinvolgimento’ ‘nel presunto acquisto di merci sottocosto dalla società RAGIONE_SOCIALE
Al riguardo, la sentenza così motiva:
Da una parte l’imputato, che rappresentava una società oggettivamente incontrollabile per dimensioni senza di collaboratori, si era premurato di organizzare diligentemente l’attività aziendale per settori e di assegnarne la gestione a soggetti preposti, affiancati da altro personale che potesse coadiuvarli e muniti delle direttive necessarie all’orientamento del proprio incarico.
Dall’altra manca, in verità, tenuto conto dell’ingente fatturato dell’anno 2012 e della regolarità di tutto il resto della significativa fatturazione, la stessa verifica se l’acquisto di merce dalla cartiera in imputazione forse derivato da una frode consapevolmente artata dai dipendenti del Brotto o se, invece, essi stessi non ne fossero restati a loro volta coinvolti. Conclude la sentenza nei seguenti termini:
Per tutte le ragioni esposte COGNOME NOME deve essere assolto da reato ascrittogli, in quanto, difettando la consapevolezza della natura fittizia della società emittente e
con questa l’elemento soggettivo della fattispecie, il fatto non costituisce reato.
Ora, tenuto conto della formula terminativa della sentenza assolutoria passata in giudicato del l.r. per il reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, non viene in linea di conto la dedotta, nella memoria, ‘efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di cassazione’, di cui al novello art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000. Invero, a termini del comma 1 di questo, ‘la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha , in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi’, ma solo qualora la sentenza medesima sia pronunciata con la formula ‘perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso’.
2.1. D’altronde, appare evidente dall’esplicita motivazione della sentenza che il l.r. è stato assolto per difetto dell’elemento soggettivo, donde la congruente individuazione della formula terminativa ‘perché il fatto non costituisce reato’, tanto più in relazione ad un addebito, ancorato all’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate, di per sé non collimante con la contestazione di soggettiva inesistenza di cui si discute nel presente giudizio.
2.2. Inoltre, pur a prescindere da ciò, le ragioni dell’assoluzione, riguardando in via esclusiva la sfera strettamente personale del l.r ., siccome, secondo il giudizio espresso dal Tribunale di Brescia nella sentenza in disamina, al vertice di un’impresa di notevoli dimensioni che aveva settorializzato, ed in sostanza delegato, l’attività dell’approvvigionamento di materiali metallici, non incrociano il ‘thema decidendum’ che ne occupa, tanto che la stessa memoria non ne esplicita rilevanza e decisività.
Può a questo punto procedersi con la disamina del ricorso.
Con il primo motivo si denuncia: ‘ Omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi per la soluzione della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5″.
4.1. La CTR non ha preso ‘in considerazione i molteplici elementi probatori introdotti in causa da, peraltro ritenuti fondati dai Giudici di primo grado’. ‘on risulta affatto che, nell’anno 2012, il sig. COGNOME avesse residenza panamense. Al contrario, egli risultava risiedere a Cormano (MI), come si desume dalla lettera d’incarico e relativi contratti sottoscritti, non esaminati dalla Commissione (docc. 30 e 31 allegati ricorso primo grado, ove il sig. COGNOME si dichiarava ‘residente in 20032 Cormano (MI), INDIRIZZO). Non si vede poi come la società avrebbe potuto verificare che il sig. COGNOME era segnalato da tutte le polizie tributarie, e neppure risulta che all’epoca dei fatti la situazione del sig. COGNOME fosse notoria tramite Internet’. La COGNOME non ha dichiarato quanto indicato dalla CTR. Ella, ‘peraltro a quattro anni di distanza dai fatti’, ‘ebbe invece modo di dichiarare testualmente che ‘… se non ricordo male all’inizio del 2013 il sig. COGNOME Giovanni, amministratore della società, ci comunicò di richiedere ai nuovi fornitori la copia della visura camerale e le autorizzazioni per il commercio del rottame. Non ricordo se tali documenti sono stati chiesti alla RAGIONE_SOCIALE (pvc G.d.F. di Brescia, foglio 11, doc. 4 controdeduzioni Agenzia primo grado). Non solo: sono state anche prodotte in giudizio svariate visure camerali risalenti al 2012, a riprova del non perfetto ricordo sulla collocazione temporale dei fatti da parte della sig.ra COGNOME (doc. 28 allegato al ricorso in primo grado)’. Inoltre, si contesta, non tanto ‘il valore fidefaciente del pvc, quanto piuttosto la valutazione del giudice rispetto agli elementi probatori posti alla sua attenzione, neppure evidenziati’. Infine, ‘la Commissione Regionale ha totalmente omesso di esaminare le prove documentali versate in atti a riprova non solo dell’effettività degli acquisti (doc. da 3 a 20 allegati al ricorso in
primo grado), ma anche del dimostrato scrupolo con il quale gli stessi venivano riscontrati e verificati all’atto dell’ingresso in azienda, pure in ordine all’effettività del fornitore (fotografie del materiale – doc. 25, visure dei vettori – doc. 27, certificazione ISO 9001 del fornitore – doc. 34, tutti allegati al ricorso in primo grado) ‘.
4.2. Il motivo è inammissibile.
Fa riferimento ad atti e soprattutto documenti del procedimento amministrativo e dei giudizi di merito senza (previa idonea contestualizzazione) testualmente riprodurli, viepiù dimostrandone rilevanza e, soprattutto, decisività.
Più in particolare, anche a voler valorizzare nel motivo il piano, anziché dell’omesso esame di documenti, dell’omesso esame di quanto in essi rappresentato, ‘sub specie’ dunque dei relativi fatti storici, di questi – comunque non espressamente enucleati nel cotesto di uno sviluppo delle argomentazioni difensive di per sé complessivamente orientato a denunciare l’inadeguatezza motivazionale della sentenza impugnata, al di fuori, dunque, del paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. – non è finanche graficamente allegata e viepiù dimostrata l’idoneità a sovvertire l’esito decisorio attinto dalla CTR nel merito. Infatti, il mancato esame da parte del giudice del merito di elementi contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione adottata ovvero la mancata pronuncia su una istanza istruttoria non integrano, di per sé, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia occorrendo, a tal fine, che la risultanza processuale ovvero l’istanza istruttoria non esaminata attengano a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata (Sez. L, n. 1203 del 03/02/2000, Rv. 533422 -01).
Il difetto di decisività dianzi rilevato si coglie al cospetto del chiaro e di per sé inconfutato accertamento in fatto compiuto dalla CTR sul duplice versante, da un lato, della natura di mera cartiera d RAGIONE_SOCIALE (‘ RAGIONE_SOCIALE non ha mai avuto alcuna autorizzazione ambientale per lo stoccaggio ed il recupero del rifiuto costituito da rottami metallici e, pertanto, non poteva vendere l’eventuale materiale ferroso. Non ha mai avuto personale dipendente, né uffici amministrativi e di contabilità nell’anno in contestazione’) e, dall’altro lato, della mancata somministrazione, da parte della contribuente, della ‘prova che non poteva conoscere le condizioni del suo fornitore in quanto aveva adottato ogni misura di indagine documentae a tal fine’.
Segnatamente -fermo che la contribuente, come si vedrà ancora più approfonditamente nel prosieguo della presente ordinanza, non confuta il giudizio in fatto espresso dalla CTR in ordine (oltreché alla dubbia reputazione commerciale del COGNOME, soprattutto) all’assenza, secondo la testimonianza della COGNOME, di mirate ‘indagini documentali sulla predetta New Metal’ il preteso omesso esame delle (viepiù non descritte) ‘fotografie del materiale’, ‘visure dei vettori’ e ‘certificazione ISO 9001 del fornitore’ non manifesta a fronte di una contestazione di solo soggettiva inesistenza delle operazioni (che pertanto si assume aver oggettivamente avuto luogo) -alcun carattere di decisività in funzione della prova contraria -cui la contribuente, come rilevato dalla CTR, era tenuta -del mancato coinvolgimento nella frode attraverso l’adozione di ogni misura anche preventiva diligentemente esigibile secondo uno ‘standard’ professionale (qualificato).
Ad ogni buon conto -ed in ciò il motivo è, altresì e comunque, infondato -proprio quanto testé detto riguardo all’accertamento in fatto compiuto dalla CTR dimostra come questa non abbia omesso l’esame di alcunché. A questo riguardo, soccorre l’insegnamento
secondo cui l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. 2, n. 17005 del 20/06/2024, Rv. 671706 -01).
Con il secondo motivo si denuncia: ‘ Violazione o falsa applicazione degli artt. 54 DPR n. 633/1972, artt. 39 e 40 DPR n. 600/1973, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. in relazione all’art. 115 c.p.c. sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3’.
5.1. ‘Sempre sotto il profilo della pretesa consapevolezza della società RAGIONE_SOCIALE di essere parte di una frode, si deduce altresì la violazione delle norme sull’onere della prova e dei principi relativi all’accertamento delle operazioni soggettivamente inesistenti, non avendo l’Amministrazione Finanziaria provato, né tantomeno la Commissione Regionale posto a base della decisione ‘elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore’ in forza dei quali il contribuente conoscesse o avrebbe dovuto conoscere ‘con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale ‘. a mancanza di una sede operativa della cedente, adeguata allo svolgimento dell’attività asseritamente svolta, non è circostanza di per sé idonea a costituire prova presuntiva dello stato soggettivo del contraente . Occorre infatti distinguere gli
elementi dei quali la ricorrente avrebbe potuto avvedersi con l’ordinaria diligenza, da quelli ai quali mai avrebbe potuto avere accesso ‘. ‘Le dichiarazioni della sig.ra COGNOME riportate in sentenza , oltre a non costituire un elemento specifico, sono state poi semplicemente travisate dalla Commissione ‘.
5.2. Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, al contempo, manifestamente infondato.
È inammissibile laddove mira a sollecitare a questa SRAGIONE_SOCIALE. un nuovo e più favorevole giudizio meritale, peraltro incorrendo in difetto di precisione ed autosufficienza nel mero richiamo di atti e documenti senza adeguata e sufficientemente ampia riproduzione (ciò è a valere segnatamente per la mera decontestualizzata estrapolazione di un brevissimo stralcio delle dichiarazioni della COGNOME dal -di per sé non riprodotto -pvc).
È manifestamento infondato alla luce del sedimentato insegnamento giurisprudenziale sul riparto degli oneri probatori in caso di operazioni soggettivamente inesistenti.
Invero, in un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par -tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la
consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in ba -se ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono -scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesi -stenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto in -combente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio -nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una
presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr ., da un lato, Corte Giust. COGNOME e NOME, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
Sotto altro profilo, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare l’oggettiva insussistenza delle operazione, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01.
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
La CTR ha fatto puntuale, e finanche esplicita, applicazione dei superiori principi, evidenziando come New Metal fosse una mera ‘cartiera’, operativamente ineffettiva, tanto che ‘non ha mai avuto
personale dipendente, né uffici amministrativi e di contabilità nell’anno in contestazione’, e, viepiù, persino documentalmente carente, poiché priva di ‘alcuna autorizzazione ambientale per lo stoccaggio ed il recupero del rifiuto costituito da rottami metallici’, ragion per cui neppure cartolarmente ‘poteva vendere l’eventuale materiale ferroso’.
Tale accertamento è di per se stesso sufficiente a comprovare la soggettiva inesistenza delle operazioni mettenti capo a New Metal, di cui avrebbe potuto e dovuto avvedersi chiunque, contribuente compresa, fosse entrato in rapporti commerciali con la medesima, per non ritrovare in questa un interlocutore reale ed operativo.
La CTR poi aggiunge, al di là della compromessa reputazione dell’intermediario, il non avere la contribuente, come dichiarato dalla COGNOME, effettuato doverose verifiche documentali per appurare, di converso, l’effettività di New Metal.
Al riguardo, sia consentito di far rilevare che l’affermazione della CTR secondo cui ‘la stessa COGNOME ha dichiarato che in qualità di impiegata amministrativa della appellata non ha mai fatto indagini documentali sulla predetta New Metal’ non si dimostra affatto frutto di travisamento di quelle che il motivo assume essere le vere dichiarazioni della medesima, ossia: ‘… se non ricordo male all’inizio del 2013 il sig. COGNOME NOME, amministratore della società, ci comunicò di richiedere ai nuovi fornitori la copia della visura camerale e le autorizzazioni per il commercio del rottame. Non ricordo se tali documenti sono stati chiesti alla RAGIONE_SOCIALE …’. Premesso che l’anno di imposta accertato è il 2012, e non il 2013, il non ricordare ‘se tali documenti stati chiesti alla RAGIONE_SOCIALE‘ esprime il risultato del non essere stata la teste in grado di indicare indagini (ossia approfondimenti) documentali (oltre le mere visure ed autorizzazioni) sul conto di RAGIONE_SOCIALE: ciò tanto più in quanto, a fronte della sollecitazione dell’amministratore
della contribuente di richiedere ‘le autorizzazioni per il commercio del rottame’, RAGIONE_SOCIALE, come detto (senza che sul punto la contribuente abbia controdedotto alcunché), non era in possesso di ”alcuna autorizzazione ambientale per lo stoccaggio ed il recupero del rifiuto costituito da rottami metallici’.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘V iolazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, c.p.c.’.
6.1. A proposito delle affermazioni della CTR circa il COGNOME, la CTR ha fatto ricorso a nozioni di comune esperienza al di fuori dei limiti consentiti.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Atteso che la CTR afferma a chiare lettere che ‘l ‘Agenzia ha prospettato il valore fidefaciente del pvc indicando in maniera specifica gli elementi fattuali che i verbalizzanti avrebbero individuato per dimostrare il coefficiente psicologico con specifico riferimento alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti’, il motivo il non offre contezza dell’impiego di nozioni di comune esperienza da parte della CTR, non riproducendo, onde comprovare l’assunto, anzitutto pvc e l’avviso di accertamento nelle parti (eventualmente) dedicate a tratteggiare la figura dell’intermediario.
D’altronde, pur a prescindere da ciò, avendo la CTR (come visto nella disamina del motivo precedente) ritenuto provata la natura di mera ‘cartiera’ di New Metal, totalmente inoperativa ed altresì documentalmente carente sul piano delle necessarie autorizzazioni amministrative, il motivo non allega e non dimostra né, ‘a monte’, la decisività delle censurate affermazioni della CTR riguardo alla di per sé compromessa reputazione dell’intermediario né, ‘a valle’, l’erroneità delle stesse.
Con il quarto motivo si denuncia: ‘ Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360, comma 1
4 c.p.c., per avere la Commissione Tributaria Regionale completamente ignorato l’appello incidentale della contribuente’.
7.1. Ripresi a tassazione, in avviso, costi per operazioni soggettivamente inesistenti, ‘pur consapevole della normativa introdotta con il D.L. n. 16/2012 in tema di deducibilità dei costi derivanti da fatture relative , l’Agenzia l’aveva integralmente negata, ‘in difetto dei requisiti di certezza ed oggettiva determinabilità dei costi sostenuti”. L’avviso di accertamento, sul punto, era stato oggetto del terzo motivo di ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale, ove tra l’altro si legge che ‘ i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti sno comunque deducibili in quanto non riconducibili a quelli direttamente utilizzati per il compimento dei delitti e ciò addirittura nell’ipotesi (che comunque non ricorre nel caso di specie) in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni’. Benché l’accoglimento del ricorso nel merito, da parte della Commissione Provinciale, avesse determinato ‘l’assorbimento di ogni ulteriore eccezione sollevata dalla parte ricorrente’ , la questione fu espressamente riproposta in sede di controdeduzioni con appello incidentale (cfr. controdeduzioni in appello, motivo n. 1 pp. 25 e ss.), ma rimase totalmente ignorata dalla Commissione Regionale, nella cui sentenza non è dato rinvenire nemmeno un fugace o implicito riferimento motivazionale ad essa. La sentenza d’appello e dunque viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c.’.
7.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
La sentenza impugnata è totalmente silente sull’appello incidentale condizionato proposto dalla contribuente, di cui non fa menzione neppure nella parte in fatto (‘Propone appello l’Agenzia riformulando le considerazioni già svolte in sede di accertamento . La Commissione così decide’).
Sussiste dunque il vizio denunciato con il motivo.
I successivi due motivi sono congiuntamente enunciabili per evidente sovrapposizione di censure.
8.1. Con il quinto motivo si denuncia: ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.”.
8.1.1. Dalle pp. 17 e 18 del pvc emerge che le fatture annotate in contabilità dalla contribuente ‘sarebbero indeducibili per ritenuta assenza dei requisiti di effettività e certezza’. ‘La medesima qualificazione giuridica di fatture per operazioni inesistenti (solo) sotto il profilo soggettivo viene fatta propria dall’Agenzia delle entrate’. La CTR ha confermato la ripresa a tassazione ai fini delle imposte dirette, tralasciando di verificare la sussistenza dei presupposti di deducibilità ai sensi dell’art. 109 tuir’.
8.2. Con il sesto motivo si denuncia: ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 14, comma 4-bis, Legge 24.12.1993 n. 537, dell’art. 109 T.UI.R. e dell’art. 115 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.”.
8.2.1. La CTR ha omesso di ‘dare contezza della verifica circa la sussistenza dei presupposti richiesti per il riconoscimento dei costi portati in deduzione’.
8.3. Entrambi i motivi di cui si tratta restano assorbiti dall’accoglimento del quarto.
In definitiva, in accoglimento del quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti il quinto ed il sesto e rigettati gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 21 novembre 2024.