Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8721 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8721 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5379/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 7389/2016, depositata il 22 luglio 2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-In data 14 ottobre 2014, la RAGIONE_SOCIALE ricorreva alla Commissione tributaria provinciale di Napoli per l’annullamento dell’avviso di accertamento del 10 aprile 2014, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva determinato, relativamente all’anno di imposta 2009, ex art. 54 comma 5, del d.P.R. 633/1972, una maggiore IVA per euro 14.226,00, sul presupposto che la Guardia di finanza aveva accertato l’ emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in favore della RAGIONE_SOCIALE da parte di un’altra società (RAGIONE_SOCIALE, risultata priva di personale dipendente, di automezzi idonei al trasporto, di locali idonei per lo stoccaggio.
L’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Con sentenza n. 18780/2015, la Commissione tributaria provinciale di Napoli accoglieva il ricorso della contribuente.
-Avverso la sentenza interponeva appello l’Agenzia delle entrate.
Resisteva la contribuente contestando i motivi di gravame.
Con sentenza n. 7389/2016, depositata il 22 luglio 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.
-L ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso, giacché la sua struttura risulta conforme ai requisiti di ammissibilità individuati da questa S.C. in merito all’esposizione dei fatti di causa e della formulazione delle censure anche sotto il profilo della loro specificità riguardo alle doglianze prospettate, in coerenza con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cass., Sez. IV, 3 gennaio 2020, n. 27).
-Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge 212/00, e 56 d.P.R. 633/72, 2699 e 2700 cod. civ. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. La sentenza sarebbe errata e viene censurata laddove afferma l ‘ invalidità dell’avviso di accertamento per omessa notifica o conoscibilità, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, dei processi verbali di constatazione relativi alle due società con le quali ha intrattenuto rapporti commerciali e che sono risultate essere due “cartiere”. Secondo l’assunto della Commissione tributaria, non sarebbe sufficiente a integrare la motivazione dell’avviso di accertamento la conoscenza del processo verbale di constatazione diretto alla società stessa, il quale contiene i precisi riferimenti fattuali in forza dei quali è stata ritenuta l’inesistenza soggettiva delle operazioni. Il processo verbale di constatazione era invece chiaro nell’individuare le caratteristiche e i risultati dell’accertamento operato a carico delle due società con le quali la RAGIONE_SOCIALE aveva intrattenuto rapporti.
2.1. -Il motivo è fondato.
In tema di avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha l’obbligo di allegare all’atto impositivo i documenti richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2024,
n. 34906). Costituisce infatti principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, nel regime introdotto dall’art. 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem , ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., Sez. V, 25 marzo 2011, n. 6914; Cass., Sez. V, 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., Sez. VI-5, 15 aprile 2013, n. 9032; Cass., Sez. 6VI-5, 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., Sez. VI-5, 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., Sez. V, 23 febbraio 2018, n. 4396; Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., Sez. V, 15 dicembre 2020, n. 28574; Cass., Sez. VI-5, 9 febbraio 2021, n. 3183).
Più precisamente, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212) deve essere inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, comma 3, della Legge 7 agosto 1990 n. 241. Ne consegue che all’avviso di accertamento vanno allegati i soli atti aventi contenuto integrativo della motivazione dell’avviso medesimo e che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale, ma non anche gli altri atti cui l’amministrazione finanziaria faccia comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono
utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva (in termini: Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., Sez. V, 15 dicembre 2020, n. 28574; Cass., Sez. VI-5, 9 febbraio 2021, n. 3183).
Tale principio può essere ribadito e confermato, stante l’assoluta identità dei presupposti, anche per l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria ometta di allegare all’atto impositivo documenti della cui allegazione sia stata fatta ivi espressa menzione, sempre che il relativo contenuto (almeno per le parti rilevanti e salienti) sia stato riprodotto (in forma integrale o sintetica) in motivazione. Difatti, tale omissione non arreca al contribuente alcuna menomazione del diritto di difesa, trattandosi di un adempimento superfluo ed ultroneo rispetto alla motivazione dell’atto impositivo, che è già integrata dalla riproduzione o dalla sintesi del documento richiamato (ma non allegato) ( vitiatur, sed non vitiat ). Non a caso, in coerenza con tale ratio, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in caso di impugnazione dell’avviso di accertamento sotto il profilo evidenziato, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass., Sez. 5, 18 dicembre 2009, n. 26683; Cass., Sez. V, 29 ottobre 2010, n. 22118; Cass., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7654; Cass., Sez. VI-5, 24 novembre 2016, n. 23985, 23986 e 23987; Cass., sez. VI-5, n. 25588 del 2021).
Nel caso di specie, l’avviso di accertamento e il processo verbale di constatazione, riprodotto per autosufficienza per le parti rilevanti, individuava le specifiche caratteristiche e i risultati degli accertamenti compiuti a carico delle società, le cui fatture erano state contestate in quanto ritenute essere due “cartiere”, da cui emergevano gli elementi (oggetto, contenuto) necessari e sufficienti per sostenere l’adeguata motivazione del provvedimento adottato, per cui l’accertamento in
questione -contrariamente a quanto ritenuto dalla pronuncia impugnata -risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
3. -Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.P.R. 633/72 e 109 d.P.R. 917/86, nonché 2697, 2699, 2700 e 2727 cod. civ . in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. La sentenza violerebbe le regole concernenti l’oggetto dell’onere probatorio dell’Amministrazione, gravandola di un compito che va al di là della individuazione degli elementi indiziari in base ai quali essa legittimamente inferisce la fittizietà delle operazioni rappresentate nelle fatture. L’Amministrazione deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di “cartiera”, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni mentre spetta al contribuente che ha portato in detrazione l’I VA, la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti (Cass., Sez. V, 9 settembre 2016, n. 17818 ). Parte ricorrente evidenzia che il processo verbale di constatazione era chiaro nell’individuare le caratteristiche e i risultati dell’accertamento operato a carico delle due società con le quali la RAGIONE_SOCIALE aveva intrattenuto rapporti, ossia RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
3.1. -Il motivo è fondato.
In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566).
L ‘Amministrazione finanziaria ha pertanto l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore ed è tenuta a provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Va però precisato la prova può essere anche solo indiziaria e quanto alla ‘consapevolezza del destinatario’ l’oggetto specifico dell’onere incombente sull’erario non è costituito dalla prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né dalla prova della sua piena consapevolezza della frode ma solo che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale’. In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un
parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto.
Le modalità per assolvere a tale onere da parte dell’Ufficio non possono tradursi nel solo fatto che il fornitore sia fittizio, elemento che ha sì idoneità probatoria ma va suffragato da obbiettivi riscontri, quali, ad esempio, l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti.
Correlativamente, sorge in capo al contribuente l’onere della prova contraria, ossia che il fornitore non è fittizio e che egli ha agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale perché ha adoperato – per non essere coinvolto in una tale situazione – la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
Quali mezzi di prova utili è però escluso che siano invocabili la regolarità della contabilità, la regolarità e congruità dei pagamenti e la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Questo perché si tratta di circostanze – le prime – già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e l’ultima – perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
Nel caso di specie, a fronte della deduzione di operazioni soggettivamente inesistenti, la Commissione tributaria regionale ha sbrigativamente ritenuto – con considerazione aggiuntiva a quella riguardante il difetto di impugnazione dell’atto impugnato – che la documentazione prodotta dalla contribuente in sede di verifica dimostrerebbe l’esistenza di alcuni contatti con persone qualificatesi come responsabili di una delle due società (RAGIONE_SOCIALE e che tale evidenza probatoria non sarebbe stata contestata, considerazione che appare del tutto insufficiente a fronte delle puntuali deduzioni
contenute nel processo verbale di accertamento riferite a entrambe le società con cui la contribuente deduce di aver avuto dei rapporti commerciali.
In realtà, come dedotto nel motivo di censura ed emergente dal processo verbale di constatazione riprodotto, l’accertamento evidenziava, quanto alla società RAGIONE_SOCIALE che la stessa non ha avuto personale alle dipendenze né automezzi idonei per il trasporto delle merci, non ha avuto locali per lo stoccaggio delle merci acquistate, sebbene, stando ai documenti, avrebbe movimentato enormi quantitativi; negli anni di imposta 2009 e 2010 ha dichiarato volumi d’affari in forte crescita rispetto agli anni precedenti, che appaiono tutt’altro che congrui rispetto alla caratteristica di dettagliante dell’attività esercitata, situazione quest’ultima sintomatica per le società “cartiere” nelle “frodi carosello” all’IVA; non ha esibito contratti e/o documenti che possano attestare prestazioni d’opera in intermediazioni commerciali. Quanto alla società RAGIONE_SOCIALE gli stessi elementi documentali evidenziano che la stessa non ha avuto personale alle dipendenze e non ha avuto automezzi idonei per il trasporto delle merci, non ha avuto locali per lo stoccaggio delle merci acquistate, sebbene, stando ai documenti, avrebbe movimentato enormi quantitativi; negli anni di imposta 2010 e 2011 ha dichiarato volumi d’affari in forte crescita rispetto agli anni precedenti, che appaiono tutt’altro che congrui rispetto alla caratteristica di dettagliante dell’attività esercitata, situazione quest’ultima sintomatica per le società “cartiere” e/o “filtro nelle frodi carosello” all’IVA; non ha esibito contratti e/o documenti che possano attestare prestazioni d’opera in intermediazioni commerciali; risulta evasore totale per l’anno di imposta 2011.
Tali elementi, alla luce della consolidata giurisprudenza richiamata, costituiscono la base indiziaria sufficiente a ritenere
integrato l’assolvimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’onere della prova sulla stessa incombente. La prova indiziaria fornita dall’ufficio sull’elemento soggettivo va commisurata ad una serie plurima di elementi che si aggiungono alla qualità di cartiera: a) la pluralità di rapporti con due diverse cartiere; b) l’esistenza di rapporti personali con asseriti responsabili delle cartiere, riconosciute dalla stessa parte, e che, contrariamente a quanto considerato dalla Commissione tributaria regionale, evidenziano una immediatezza dei rapporti con soggetti strutturalmente inseriti in una operazione in frode.
4. -La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025.