Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4549 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4549 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6039 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, da ll’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5440/13/2023 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 02/10/2023;
Oggetto: TRIBUTI – operazioni soggettivamente inesistenti – motivazione apparente
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno d’imposta 2014, emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, che l’amministrazione finanziaria riteneva esser e società cartiera, con la sentenza impugnata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) del Lazio accoglieva l’appello dell’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e confermava l’atto impositivo .
1.1. I giudici di appello, «premessa la legittimità delle acquisizioni presso il diverso contribuente (cartiera)» sostengono che «è stata anche acquista piena prova dell’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate. In tale situazione, sarebbe stato onere del contribuente dimostrare il contrario, ovvero l’esistenza di tali operazioni»; che, «Invece, nel caso di specie il contribuente RAGIONE_SOCIALE non ha neppure effettuato una visura camerate, dalla quale sarebbe risultata la sostanziale inesistenza del fornitore, che non aveva neppure depositato i bilanci nel Registro delle Imprese e che, quindi, non poteva emettere fatture per operazioni soggettivamente esistenti».
Avverso tale statuizione la società contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replicava l’ intimata con controricorso.
Formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, ex art. 380-bis c.p.c., in data 12/07/2024, comunicata in data 13/07/2024, in considerazione della rilevata infondatezza dei motivi di ricorso, la ricorrente tempestivamente, con atto depositato in data 24/07/2024, sottoscritto dal difensore munito della necessaria procura, ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ai sensi degli artt. 380-bis e 380-
bis.1. c.p.c., è stata disposta la trattazione della causa per l’odierna camera di consiglio.
La ricorrente in data 31/01/2025 ha depositato memoria ex art. 380-bis1. cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la «Nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 36 co. 2 n. 4 del Decreto Legislativo n. 546/1992, dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., dell’art. 111 co. 6 Cost., degli art.li 6 e 13 CEDU e degli art.li 20 e 47 CDFUE (c.d. Carta di Nizza): motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile», con riferimento alla ritenuta qualificazione della cedente come società cartiera, sull’acquisizione della piena prova dell’inesistenza sogge ttiva delle operazioni fatturate e sulla consapevolezza della contribuente di partecipare ad una frode carosello.
1.1. Il motivo è fondato nei termini di cui in motivazione.
1.2. Deve, al riguardo, ricordarsi che in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14 e, recentemente, 11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20) è consolidato nel ritenere che in tale tipo di operazioni fraudolente, che presuppongono, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da
soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione, tra cui, a titolo esemplificativo, che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, era privo di idonea struttura organizzativa, ovvero di locali, di mezzi, di personale, di utenze (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
1.3. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente «sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale» (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli ‘disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente’).
1.4. Una volta accertato che l’amministrazione finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettiva mente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
1.5. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non
rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
1.6. Quanto ai doveri del giudice tributario, questi, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto con cui l’amministrazione finanziaria contesta l’inesistenza soggettiva di un’operazione economica, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ.
1.7. Degli esiti della valutazione degli elementi presuntivi o anche indiziari forniti dall’amministrazione finanziaria, nonché degli eventuali elementi di prova contraria forniti dal contribuente, il giudice tributario deve dare ragionata illustrazione nella motivazione della sentenza, non potendosi limitare ad enunciare in sentenza il risultato del proprio ragionamento, omettendo di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indicandoli senza un’approfondita disamina logica e giurid ica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, ma anche di verificare se ha giudicato iuxta alligata et probata .
1.8. E’, quindi, nulla la sentenza che dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, contenga una motivazione che non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della
sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016).
1.9. Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
In tale grave forma di vizio incorre la sentenza impugnata che deve ritenersi del tutto insufficiente sul piano della logica giuridica in quanto i giudici di appello si sono limitati ad affermare, con riferimento alle operazioni contestate, che era stata acquisita «piena
prova dell’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate», premettendo «la legittimità delle acquisizioni presso il diverso contribuente (cartiera)», senza null’altro aggiungere o spiegare, ovvero senza indicare gli elementi presuntivi, anche emergenti da dette acquisizioni, da cui desumere la natura di cartiera della società emittente le fatture contestate, ovvero che le operazioni commerciali documentate dalle fatture erano state poste in essere da soggetto diverso dall’emittente. Né a tal fine è sufficiente, come invece sostiene la controricorrente, l’affermazione, pure fatta in sentenza, secondo cui il «fornitore non aveva neppure depositato i bilanci nel registro delle imprese», che può essere mero indice sintomatico, ma non un indizio grave e preciso, di inoperatività della società cedente.
L’accoglimento del motivo con riferimento alla motivazione resa dai giudici di appello in punto di inesistenza soggettiva delle operazioni contestate rende superfluo l’esame della questione pure posta nel motivo in esame di nullità della sentenza per difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta consapevolezza della società contribuente di partecipare ad una frode carosello.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la «Nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 36 co. 2 n. 4 del Decreto Legislativo n. 546/1992, dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., degli art.li 112/113/115/116 c.p.c., dell’art. 111 co. 6 Cost., degli art.li 6 e 13 CEDU e degli art.li 20 e 47 CDFUE (c.d. Carta di Nizza) e per violazione o falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. dell’art. 2697 c.c., dell’art. 39 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 e degli art.li 19 e 54 co. 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972: mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Agenzia delle Entrate e illegittima inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente»
4.1. Sostiene la ricorrente che «La decisione oggetto di gravame si fonda essenzialmente sull’enunciazione del seguente argomento: a) l’Agenzia delle Entrate ha dimostrato la natura di cartiera del cedente quindi l’onere di provare la sussistenza della buona fede nella conclusione dell’operazione commerciale, e quindi di aver ignorato incolpevolmente l’inesistenza del soggetto cedente, grava sul contribuente», ma in tal modo la CTR ha invertito l’onere della prova, spettando all’amministrazione finanziaria e non alla contribuente provare la consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.
Il motivo è fondato e va accolto in quanto anche in relazione al profilo della prova gravante sull’amministrazione finanziaria in ordine alla consapevolezza della società contribuente che le operazioni erano fittizie, nulla viene detto in sentenza, limitandosi la CTR a rilevare la mancanza di prova contraria offerta sul punto dalla contribuente, per non avere neppure effettuato una visura camerale della società fornitrice, senza prima avere accertato l’assolvimento da parte dell’amministrazione finan ziar ia dell’onere probatorio su di essa incombente, che fa sorgere l’obbligo di prova contraria in capo alla parte contribuente.
Con il terzo motivo deduce la «Nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 36 co. 2 n. 4 del Decreto Legislativo n. 546/1992, dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., degli art.li 112/113/115/116 c.p.c., dell’art. 111 co. 6 Cost., degli art.li 6 e 13 CEDU e degli art.li 20 e 47 CDFUE (c.d. Carta di Nizza): violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; in specie, omessa pronuncia su domande ed eccezioni assorbite dall’accoglimento del ricorso in primo grado e riproposte dalla contribuente nel giudizio di appello proposto dall’Amministrazione Finanziaria soccombente».
6.1. Sostiene di aver proposto le seguenti domande nell’originario ricorso, poi riproposte in grado di appello, su cui la CTR non si era pronunciata: Violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000, dell’art. 3 della L. 07 agosto 1990, n. 241, dell’art 56 comma 5 del D.P.R. N. 633 DEL 1972 633/1972 e dell’art 24 della Costituzione – mancata allegazione di atti richiamati. – Violazione dell’art 56 del DP R 633/1972 -per carente ed insufficiente motivazione; Violazione dell’art 2697 del c.c, illegittima inversio ne dell’onere probatorio, mancato rispetto dell’onere posto a carico dell’ufficio; – Buona fede Violazione degli art 6 commi 2 e 5, dell’art 12 della L. 2012/2000 e degli articoli 24 e 97 della Costituzione mancata instaurazione del contraddittorio preventivo. ‘ .
Il motivo è infondato e va rigettato.
7.1. Invero, fatta eccezione su quella di violazione dell’art. 2697 cod. civ., di cui si è peraltro già detto esaminando il secondo motivo di ricorso , sulle altre questioni, tutte preliminare all’esame del merito della vicenda processuale, vi è pronuncia implicita di rigetto, che si ha quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (arg. da Cass. n. 16788 del 2006; Cass. n. 24155 del 2017
7.2. Peraltro, il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), come accaduto nel caso di specie (fatta eccezione per la violazione del contraddittorio endoprocedimentale di cui al successivo quarto motivo di ricorso) bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. n. 24953 del 2020).
Con il quarto motivo di ricorso viene dedotto il vizio di «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.: mancata instaurazione del contraddittorio preventivo in violazione degli art.li 6 co. 2/5 e 12 della Legge n. 212/2000 e conseguente nullità dell’avviso di accertamento».
Il motivo è inammissibile perché il rigetto implicito della domanda di nullità dell’avviso di accertamento per violazione del contraddittorio endoprocedimentale viene dedotto come vizio di omesso esame di un fatto storico, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., mentre andava dedotto come error in iudicando , quindi ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.
9.1. Peraltro, il motivo è chiaramente dedotto come vizio logico di motivazione facendosi espresso riferimento, oltre che nella rubrica, anche nelle argomentazioni svolte, a ll’omesso esame «del fatto storico (espletamento del contraddittorio preventivo sull’annualità d’imposta IVA in esame, cioè il 2014)» (ricorso, pag. 37). Ed in tale prospettiva il motivo è inammissibile perché quello dedotto non è un fatto storico-naturalistico bensì una domanda di merito implicitamente rigettata dai giudici di appello.
In estrema sintesi vanno accolti il primo e secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame, da condursi alla stregua dei principi sopra enunciati, e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2025