Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33126 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33126 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11092/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di Corte di Giustizia Tributaria di II grado della PUGLIA-BARI n. 55/2023 depositata il 11/01/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Giusta quanto apprendesi dalla sentenza in epigrafe, il presente giudizio approda per la seconda volta dinanzi a questa Suprema Corte.
Invero, c on sentenza 258/5/09, la CTR della Puglia, ritenendo la tardività della comunicazione della notizia di reato nei confronti del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE per l’illecito di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, avevano rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento ai fini dell’IVA emesso in relazione all’anno di imposta 2002 sulla scorta delle risultanze di p.v.c. della G.d.F. da cui era emerso l’indebito utilizzo, da parte della medesima, di fatture relative ad operazioni inesistenti.
La Sez. 5 Civ. di questa Suprema Corte, con ordinanza n. 3264 del 24/01/2018, in accoglimento del ricorso agenziale, cassava la sentenza della CTR, con rinvio per nuovo esame.
La Corte di giustizia di secondo grado della Puglia, pronunciando in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe, ‘rigetta l’appello’, così motivando:
L’Ufficio ha contestato alla ricorrente l’indebita detrazione dell’Iva su fatture per operazioni, tra la ricorrente e la società RAGIONE_SOCIALE ritenute inesistenti sulla base dei seguenti rilievi operati dalla GdF nel pvc:
la società RAGIONE_SOCIALE, nell’anno 2002, non sarebbe stata nelle condizioni di poter lavorare la plastica da recupero in quanto non disponeva della merce né di macchinari idonei alla lavorazione né di mezzi idonei allo spostamento ed al trasporto di tale materiale;
b) nel corso delle indagini di PG e PT i lavoratori della RAGIONE_SOCIALE avrebbero dichiarato di aver lavorato presso le linee di produzione delle imprese del gruppo Colucci, che “i colloqui propedeutici all’assunzione avvenivano presso gli uffici del complesso industriale Colucci “, che “al termine dei colloqui sarebbero stati solo formalmente assunti dalla RAGIONE_SOCIALE, ma di fatto impiegati nei cicli produttivi delle imprese del Gruppo RAGIONE_SOCIALE, tra cui la RAGIONE_SOCIALE“;
c) la società RAGIONE_SOCIALE non aveva dichiarato agli Uffici Finanziari la propria sede operative all’interno del complesso industriale INDIRIZZO, dove conduceva un immobile concesso in locazione anche ad altra società, la RAGIONE_SOCIALE;
la COGNOME non aveva mai ottenuto l’autorizzazione all’iscrizione nel registro delle imprese operanti nella commercializzazione, recupero ed intermediazione dei rifiuti, come previsto dalla D.Lgs. 22/97 (Decreto Ronchi)
la società RAGIONE_SOCIALE, secondo i rilevi dei verbalizzanti fatti propri dall’Ufficio ‘per gli anni dal 2001 al 2006 era stata in possesso di materiale plastico da riciclo oggetto di compravendita nelle predette fatture né avrebbe potuto lavorarlo atteso che non disponeva di merce, in assenza di documenti che ne comprovassero l’acquisto”;
f) la società RAGIONE_SOCIALE non disponeva di macchinari idonei alla lavorazione della plastica da recupero né di mezzi di trasporto o spostamento.
Rileva questa Corte che oggetto delle 18 fatture contestate sono i lavori di facchinaggio e i lavori di selezionatura imballaggio della foglia PE neutral e dunque, contrariamente a quanto assumono i verificatori, non vi sono state cessioni di merce tra la Contribuente e la COGNOME
Ne consegue che prive di qualsiasi valore indiziario sono le circostanze e le conseguenti considerazioni dei verbalizzanti di cui ai punti a) e) ed f) sopra riportate.
Il rilievo sub d) è contrastato dall’allegato 12 del fascicolo di primo grado che comprova la comunicazione di inizio di attività di recupero rifiuti non pericolosi, comprendente anche lo stoccaggio e la selezione inviata il 29.7.2002.
Per quanto attiene alle dichiarazioni rese dai lavoratori deve rilevarsi che alcuni di essi hanno dichiarato alla P.G. di essere dipendenti di altre società (COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME Francesco); mentre tutti
gli altri hanno dichiarato di lavorare per la cooperativa RAGIONE_SOCIALE sebbene dalle dichiarazioni rese da alcuni di essi sembra configurarsi un’ipotesi di interposizione nel rapporto di lavoro ma non certo quella di operazioni inesistenti configurata dall’Ufficio. Tale considerazione è avvalorata dalle copie di 15 verbali di conciliazione in sede sindacale nel marzo del 2006 tra la RAGIONE_SOCIALE ed i propri dipendenti, a seguito di impugnativa di licenziamento e risoluzione dei rapporti di lavoro svoltisi tra il 2001 ed il 2006, dai quali risulta che alcuni operai lavoravano alle dipendenze della Mier sin dal 2002. Infine, che la Mier non fosse una ‘cartiera’ ma una società realmente operativa e dotata del personale necessario a svolgere l’attività sociale è stata prodotta copia del contratto di affidamento dell’appalto dei servizi di pulizia spazi a verde pubblico stipulato tra la Mier ed il Comune di Monopoli del 9.12.2001 per un corrispettivo orario contrattualmente stabilito di € 13,43 oltre IVA.
Residua la circostanza sub c) che, all’evidenza non è sufficiente sotto il profilo probatorio a supportare l’ipotesi formulat dall’Ufficio.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi. Resiste la contribuente con controricorso. L’Agenzia delle entrate deposita breve memoria telematica in data 20 giugno -16 luglio 2024, mediante la quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ Violazione e falsa applicazione dell’articolo 132, comma 2, c.p.c., dell’articolo 36, comma 2, n. 4), del d. lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4) c.p.c.’.
1.1. ‘ Per contrastare i rilievi sub a), e) e f), la Commissione ha, in particolare, rilevato che «oggetto delle 18 fatture contestate sono i lavori di facchinaggio e i lavori di selezionatura selezionatura imballaggio della foglia PE neutrale »’. In realtà oggetto della contestazione mossa alla contribuente era il fatto che ‘la RAGIONE_SOCIALE per gli anni dal 201 al 2006 non era mai stata in possesso di materiale plastico da riciclo né poteva lavorare tale materiale, visto
che: non disponeva della merce ceduta alla RAGIONE_SOCIALE, poiché mai acquistata, tenuto conto che non risultano documenti in tal senso; non disponeva di alcun macchinario idoneo alla lavorazione della plastica da recupero. né di alcun mezzo per il suo trasporto o spostamento; gli operai formalmente assunti dalla citata RAGIONE_SOCIALE di fatto lavoravano della società RAGIONE_SOCIALE, come pure di altre società collegate e costituenti il RAGIONE_SOCIALE, pienamente inseriti nel ciclo produttivo (processo di selezione, lavaggio, imballaggio e g1anulazione delle foglie di plastica di riciclo) senza averne alcun titolo. Risultava. dunque, del tutto evidente che la RAGIONE_SOCIALE, che aveva emesso le fatture ritenute fittizie, era una propaggine del gruppo COGNOME (che comprende anche la contribuente RAGIONE_SOCIALE), priva di macchinari e di mezzi idonei alla lavorazione, allo spostamento ed al trasporto del materiale plastico’. ‘Allo stesso modo, deve ritenersi meramente apparente la motivazione dell’impugnata decisione, con la quale la CGT ha affermato che «il rilievo sub d) è contrastato dall’allegato 12 ». Anche in questo caso non si comprende la rilevanza della citata affermazione., considerato che, come evidenziato nel rilievo di cui si discute, la parte non ha mai fornito la prova contraria alla contestata assenza di autorizzazione della Provincia per l’iscrizione nel registro delle imprese operanti nella commercializzazione, recupero e intermediazione dei rifiuti, come previsto dal decreto Ronchi’. Rispetto al rilievo b), erroneamente, alla luce di quanto dedotto dall’Agenzia anche nel giudizio di rinvio, la CGT ‘ha concluso che la RAGIONE_SOCIALE fosse una società realmente operativa e dotata del personale necessario a svolgere l’attività sociale. L’affermazione della CTG che il rilievo c) sarebbe insufficiente a fondare l’accertamento è apodittica.
1.2. Il motivo è infondato.
È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione (condivisibile o meno, ma) effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto le argomentazioni che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
Secondo motivo: ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3) c.p.c.’.
2.1. ‘Come si è accennato nel precedente motivo di ricorso, la sentenza in esame deve essere annullata anche per violazione della disciplina della distribuzione dell’onere della prova. con particolare riferimento alle presunzioni che possono supportare la pretesa impositiva. Invero , una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri. anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA, nonché in relazione alla deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La CTG non ha preso in considerazione tutti gli elementi evidenziati nel PVC (riassunti gli uni e fotoriprodotto nella parte rilevante l’altro).
2.2. Il motivo – che supera il vaglio di ammissibilità, in quanto identifica con precisione la censura, mediante corretta enucleazione, rispetto allo sviluppo argomentativo, delle violazioni di legge ritenute affliggere la sentenza impugnata, riassumendo e riproducendo il PVC per autosufficienza – è fondato e merita accoglimento.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che, in caso di operazioni ritenute dall’Amministrazione inesistenti, incombe a quest’ultima l’onere di dimostrare, attraverso la prova logica (o indiretta) o storica (o diretta) e anche con indizi integranti presunzione semplice, la fittizietà dell’operazione, spettando poi al contribuente fornire rigorosa prova contraria (cfr., tra le innumerevoli, Sez. 5, n. 28246 del 11/12/2020, Rv. 660035 -01). Segnatamente – come rilevato, ancora recentemente, da Sez. 6 -5, n. 31710 del 12/10/22, in motiv., p. 3, con ampi richiami
giurisprudenziali cui si rinvia -in ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti (per la quale sembra propende la lettera del motivo), ‘ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/1.3, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C -439/04; 21 febbraio 2006, C -255/02; 21 giugno 2012, C -80/11; 6 dicembre 2012, C -285/11; 31 novembre 2013, C -642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 26790 del 2020; 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente , il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo’.
Sotto altro profilo, a proposito dell’onere probatorio gravante sull’Amministrazione, è a rilevarsi che, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare l’oggettiva insussistenza delle
operazioni, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01). In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di
elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
La sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei superiori principi.
Anzitutto, ha proceduto ad un’indebita parcellizzazione del quadro indiziario, confutando singolarmente gli indizi addotti dall’Amministrazione, peraltro ad eccezione di uno, di cui alla ‘circostanza sub c)’, ritenuta, immotivatamente (ossia letteralmente senza motivazione) insufficiente ‘a supportare l’ipotesi formulat dall’Ufficio’. Ciò ha evidentemente impedito
l’apprezzamento, invece doveroso per quanto detto, dell’efficacia rappresentativa degli indizi in quadro unitario, l’uno per mezzo degli altri, in una ricostruzione logico-fattuale completa e coerente.
Non solo: a misura che si è profusa in tale parcellizzazione, ha attribuito rilievo ad elementi di fatto inconferenti rispetto al risultato probatorio avuto di mira dall’Amministrazione, misconoscendone altri invece conferenti.
In particolare, nel considerare il possesso, in capo a Mier, di una mera denuncia di inizio dell’attività, senza appurare l’esistenza, o meno (come sostenuto dall’Amministrazione), del necessario titolo autorizzativo, e, soprattutto, nel rilevare che ‘oggetto delle 18 fatture contestate sono i lavori di facchinaggio e i lavori di selezionatura imballaggio della foglia PE neutral e dunque, contrariamente a quanto assumono i verificatori, non vi sono state cessioni di merce tra la Contribuente e la COGNOME‘, ha omesso di considerare che, nella prospettazione agenziale, COGNOME, di per sé priva di macchinari per la lavorazione ed il trasporto della plastica, non era in possesso di materiale plastico, ceduto o meno alla contribuente, siccome mai acquistato, ragion per cui i lavori di facchinaggio e selezionatura affermati nelle fatture non avrebbero potuto essere svolti.
A fronte di ciò, pur dando atto che alcuni lavoratori erano alle dipendenza di ‘altre società’ e che, in riferimento a coloro che hanno dichiarato di lavorare per la Mier, ‘sembra configurarsi un’ipotesi di interposizione nel rapporto di lavoro’, ha mancato di verificare l’efficacia corroboratrice della tesi agenziale in riferimento al dato in sé della non effettiva disponibilità di manodopera da pare di Mier, onde accertare, in un quadro d’insieme, la reale e concreta capacità operativa di quest’ultima, in funzione della quale commisurare le prestazioni della contribuente.
In definitiva, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 8 ottobre 2024.