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Fatture false: onere della prova e diligenza

Una società del settore calzaturiero ha impugnato un avviso di accertamento che negava la detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. L’Agenzia delle Entrate sosteneva che il fornitore fosse una società fittizia e che il contribuente fosse consapevole della frode. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’amministrazione finanziaria può dimostrare la frode tramite presunzioni. Spetta poi al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’evasione, prova che la società non è riuscita a fornire. Il ricorso è stato rigettato con condanna per abuso del processo.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False: Onere della Prova e Diligenza dell’Imprenditore

La gestione delle fatture false e delle operazioni soggettivamente inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per gli imprenditori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi cardine in materia di onere della prova e dovere di diligenza, offrendo chiarimenti cruciali per chiunque voglia evitare di cadere inconsapevolmente in una frode fiscale e vedersi negata la detrazione dell’IVA. Analizziamo insieme la decisione per capire come tutelarsi.

Il Caso: Detrazione IVA Negata per Fatture Sospette

Una società operante nel commercio all’ingrosso di calzature si è vista notificare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’amministrazione finanziaria contestava la detrazione di un’ingente somma a titolo di IVA, sostenendo che le operazioni di acquisto sottostanti fossero ‘soggettivamente inesistenti’.

In pratica, l’Agenzia riteneva che la società fornitrice fosse una ‘società cartiera’, un’entità fittizia interposta nella transazione al solo scopo di permettere una frode fiscale. Secondo la tesi dell’accusa, la società acquirente era, o avrebbe dovuto essere, consapevole di questo meccanismo fraudolento, data la sua qualità di operatore professionale.

Il contenzioso, dopo due gradi di giudizio con esiti opposti, è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione dell’Onere della Prova nelle Fatture False

Il punto centrale del ricorso verteva su chi dovesse provare cosa. La società contribuente sosteneva che l’Agenzia delle Entrate non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare né l’inesistenza del fornitore né la propria consapevolezza della frode. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato questa tesi, chiarendo la ripartizione dell’onere probatorio in questi casi specifici.

La Prova dell’Amministrazione Finanziaria

La Corte ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate può assolvere al suo onere probatorio anche attraverso elementi presuntivi. Non è necessaria una prova diretta e inconfutabile. Nel caso di specie, l’Agenzia aveva dimostrato:

* La totale inidoneità della società fornitrice a svolgere l’attività economica dichiarata.
* La mancanza di una struttura aziendale, di dipendenti e di attrezzature.

Questi indizi, gravi, precisi e concordanti, sono stati ritenuti sufficienti per provare l’esistenza di una frode e per presumere la consapevolezza dell’acquirente.

Il Dovere di Diligenza del Contribuente

Una volta che l’Agenzia ha fornito questi elementi, la palla passa al contribuente. A questo punto, spetta a quest’ultimo dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza richiesta a un operatore accorto. Non è sufficiente limitarsi a esibire la regolarità contabile dei pagamenti. L’imprenditore deve provare di aver adottato tutte le cautele ragionevoli per verificare l’affidabilità del proprio partner commerciale.

Nel caso esaminato, la società non è riuscita a fornire questa prova. Le sue giustificazioni sono state ritenute vaghe e prive di riscontri, come il non ricordare i cognomi dei referenti commerciali o il non aver prodotto alcuna prova del trasporto della merce.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato. Le motivazioni si basano sulla corretta applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. L’Ufficio ha correttamente utilizzato prove presuntive per dimostrare la consapevolezza del contribuente riguardo all’inserimento dell’operazione in un’evasione d’imposta. Elementi come la conclamata inidoneità della società fornitrice a svolgere l’attività economica e la mancanza di normali cautele commerciali da parte dell’acquirente (come l’acquisizione di informazioni preventive sul fornitore) costituiscono un quadro indiziario sufficiente. Di fronte a ciò, il contribuente non ha fornito prove concrete della propria buona fede e della propria diligenza. Le giustificazioni addotte, quali contatti con personale non identificato e l’uso di mezzi propri per il trasporto non documentato, sono state giudicate un mero ‘escamotage difensivo’, inidoneo a dimostrare l’effettività dei rapporti commerciali e la buona fede.

Conclusioni

La decisione della Suprema Corte serve da monito per tutti gli imprenditori. La lotta alle fatture false richiede un ruolo attivo da parte di chi acquista beni o servizi. Per poter legittimamente detrarre l’IVA, non basta pagare e registrare una fattura formalmente corretta. È indispensabile adottare un comportamento diligente e prudente, verificando, nei limiti del ragionevole, la reale esistenza e operatività dei propri fornitori. Ignorare segnali di allarme o agire con superficialità può costare caro, trasformando un partner commerciale in un complice, anche involontario, di una frode fiscale, con la conseguente perdita del diritto alla detrazione e l’applicazione di pesanti sanzioni. Inoltre, la Corte ha sanzionato la società per abuso del processo, condannandola a pagare ulteriori somme per aver proseguito in un contenzioso ritenuto manifestamente infondato, confermando una linea dura contro i ricorsi dilatori.

In caso di contestazione di fatture false, chi deve provare la frode?
Inizialmente, l’onere della prova ricade sull’amministrazione finanziaria. Essa deve fornire elementi, anche presuntivi (indiretti), che dimostrino l’esistenza di una frode e la consapevolezza, o la colpevole negligenza, del contribuente che ha ricevuto la fattura.

Cosa deve fare un imprenditore per dimostrare la sua buona fede e poter detrarre l’IVA?
Una volta che l’Agenzia ha fornito i suoi indizi, l’imprenditore deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto. Questo significa provare di aver adottato misure ragionevoli per verificare l’affidabilità e la reale operatività del fornitore, andando oltre la mera regolarità formale dei documenti contabili.

Cosa si rischia a insistere con un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate se è palesemente infondato?
Si rischia una condanna per ‘abuso del processo’. Come avvenuto in questo caso, il giudice può imporre il pagamento di ulteriori somme a titolo di sanzione, sia a favore della controparte che della cassa delle ammende dello Stato, per aver intrapreso un’azione legale pretestuosa e aver aggravato il carico di lavoro della giustizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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