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Fatture false: motivazione e onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21160/2025, ha rigettato il ricorso di una società fallita contro un accertamento fiscale per l’utilizzo di fatture false. La Corte ha stabilito che una motivazione sintetica del giudice di merito è sufficiente se supera il ‘minimo costituzionale’, e che in caso di inesistenza oggettiva dell’operazione, la consapevolezza del contribuente è presunta, rendendo impossibile invocare la buona fede per la detrazione dell’IVA.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture False: la Cassazione definisce i limiti della motivazione e l’onere della prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema delle fatture false, fornendo chiarimenti cruciali sulla validità della motivazione di una sentenza tributaria e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione analizza il caso di una società accusata di aver utilizzato fatture per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, confermando la linea dura della giurisprudenza in materia di evasione IVA.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da due avvisi di accertamento notificati a una società operante nel settore della lavorazione dell’alluminio, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava costi indeducibili e IVA indetraibile per gli anni d’imposta 2003 e 2004. Secondo il Fisco, la società aveva utilizzato fatture emesse da ‘società cartiera’ (inesistenza soggettiva) che, inoltre, documentavano operazioni mai avvenute o diverse da quelle reali (inesistenza oggettiva).

L’iter giudiziario è stato lungo e complesso: dopo un primo annullamento degli atti impositivi da parte della Commissione Tributaria Regionale (CTR), la Cassazione aveva cassato la sentenza con rinvio. Il giudice del rinvio, riesaminando il caso, dava ragione all’Agenzia delle Entrate, ritenendo provata l’inesistenza delle operazioni. Contro questa nuova decisione, il curatore fallimentare della società proponeva un ulteriore ricorso in Cassazione.

I motivi del ricorso e la questione della motivazione

Il ricorrente lamentava principalmente due vizi della sentenza impugnata:

1. Nullità per motivazione apparente: Si sosteneva che la CTR non avesse adeguatamente spiegato le ragioni della sua decisione, limitandosi ad affermazioni generiche senza esaminare le specifiche prove e contestazioni sollevate dalla società.
2. Omessa pronuncia: Si denunciava il fatto che la CTR avesse ignorato diverse doglianze specifiche presentate nel ricorso in riassunzione.

La Decisione della Corte: l’onere della prova per le fatture false

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, confermando la sentenza della CTR e delineando principi fondamentali in materia di fatture false.

Il Principio del “Minimo Costituzionale” della Motivazione

In risposta al primo motivo, la Suprema Corte ha ribadito che il vizio di motivazione denunciabile in Cassazione è solo quello che scende al di sotto del “minimo costituzionale”. Una sentenza è nulla solo in caso di:

* Mancanza assoluta di motivazione (materiale o grafica).
* Motivazione apparente, ovvero un insieme di affermazioni irriducibilmente contraddittorie o obiettivamente incomprensibili, che non permettono di ricostruire il ragionamento logico del giudice.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la motivazione della CTR, seppur sintetica, fosse sufficiente. I giudici di merito avevano spiegato che le operazioni erano oggettivamente inesistenti perché le fatture indicavano una merce diversa da quella scambiata e soggettivamente inesistenti perché emesse da società fittizie. Questo, secondo la Cassazione, costituisce un iter logico comprensibile e supera la soglia della mera apparenza.

L’onere della prova nell’inesistenza oggettiva

Sul secondo motivo, la Corte ha chiarito che, avendo la CTR ritenuto fondata la pretesa del Fisco, ha implicitamente rigettato tutte le argomentazioni contrarie del contribuente. Ma il punto cruciale riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha precisato che:

* In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, che l’operazione non è mai avvenuta.
* Una volta fornita questa prova, non è necessario che il Fisco dimostri anche la malafede del contribuente.

La consapevolezza dell’inesistenza dell’operazione, infatti, è desumibile dalla stessa divergenza tra la merce documentata e quella (non) ricevuta. Un imprenditore sa perfettamente se ha ricevuto o meno un bene o un servizio. Pertanto, se l’operazione non è mai esistita, non può esistere alcuna “buona fede” che giustifichi la detrazione dell’IVA.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale che mira a contrastare le frodi IVA. Si distingue nettamente tra inesistenza oggettiva e soggettiva. Mentre nella seconda è possibile per il contribuente dimostrare la propria buona fede (ossia di non essere stato a conoscenza che il fornitore fosse un soggetto fittizio), nella prima tale possibilità è esclusa in radice. L’inesistenza stessa dell’operazione rende il contribuente necessariamente partecipe della frode, poiché egli è il destinatario finale di una prestazione mai eseguita. La decisione sottolinea inoltre che la valutazione del giudice di merito sui fatti e sulle prove non è sindacabile in sede di legittimità, se la motivazione fornita è logicamente coerente e non meramente apparente.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine del diritto tributario: in presenza di fatture false per operazioni mai avvenute, la detrazione dell’IVA e la deduzione dei costi sono sempre precluse. Il contribuente non può invocare la buona fede, poiché la sua partecipazione alla frode è in re ipsa. Per i giudici tributari, è sufficiente fornire una motivazione che, sebbene concisa, espliciti chiaramente le ragioni fattuali e giuridiche della decisione, senza dover confutare punto per punto ogni singola argomentazione difensiva, se queste sono implicitamente superate dall’accoglimento della tesi dell’accusa.

Quando la motivazione di una sentenza tributaria è considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
Una motivazione è considerata apparente, e quindi causa di nullità della sentenza, solo quando è del tutto incomprensibile, si basa su affermazioni irriducibilmente contraddittorie o è così generica da non permettere di capire il ragionamento logico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. Una motivazione sintetica, ma che spiega le ragioni essenziali, è invece valida.

In caso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, che l’operazione fatturata non è mai avvenuta o è avvenuta in modo diverso. Una volta che il Fisco ha fornito questa prova, non deve dimostrare anche la malafede del contribuente. La consapevolezza della frode da parte di quest’ultimo è presunta.

È possibile per un contribuente detrarre l’IVA su una fattura per un’operazione mai avvenuta, invocando la propria buona fede?
No. Secondo la Corte, quando un’operazione è oggettivamente inesistente (cioè non è mai stata posta in essere), non è configurabile la buona fede del contribuente. Quest’ultimo sa perfettamente se ha ricevuto o meno il bene o il servizio fatturato, e quindi la sua consapevolezza della falsità della fattura è implicita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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