Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26326 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26326 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11738 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa, per procura speciale allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO COGNOME (pec: EMAIL) e, per procura allegata all’atto di costituzione di nuovo difensore del 29/02/2024, dall’AVV_NOTAIO COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– ricorrente –
Oggetto: Tributi -operazioni soggettivamente inesistenti
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5485/01/2019 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 26/09/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 settembre 2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
Con avviso di accertamento ai fini IVA per l’ anno d’imposta 2013 l’Agenzia delle entrate , sulla scorta delle risultanze dei processi verbali di constatazione redatti da funzionari dell’Ufficio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, nonché nei confronti della società contribuente, da cui emergeva il coinvolgimento delle stesse in una cd. frode carosello, contestava a quest’ultima l’utilizzazione di fatture emesse dalle predette società per operazioni soggettivamente inesistenti, recuperandone a tassazione l’IVA indebitamente detratta dalla società contribuente.
Con la sentenza impugnata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) del Lazio rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che le risultanze processuali attestavano la natura meramente fittizia delle società emittenti le fatture utilizzate dalla società contribuente che, dal canto suo, non aveva dato prova della propria buona fede, considerando, peraltro, che la stessa non aveva potuto non rendersi conto, stante i rapporti intrattenuti con le due società cartiere per numerosi anni, della non operatività delle società fornitrici per la mancanza di una effettiva sede operativa e di personale dipendente. Escludeva, inoltre, la sussistenza in capo all’Ufficio di un obbligo di attivazione del contraddittorio
endoprocedimentale con la società contribuente in quanto, nella specie, si verteva in ipotesi di verifica condotta a tavolino avente ad oggetto tributi non armonizzati.
Avverso tale statuizione la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui replicava l’ intimata con controricorso.
Con comparsa depositata in data 29/02/2024, si costituiva in giudizio l’AVV_NOTAIO, in sostituzione del precedente difensore AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, deceduto in data 02/12/2023.
Formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, ex art. 380 bis c.p.c., in data 07/03/2024, in considerazione della rilevata inammissibilità e manifesta infondatezza dei motivi proposti, la società ricorrente con atto del 08/04/2024 ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ai sensi degli artt. 380 bis e 380 bis.1 c.p.c. è stata disposta la trattazione della causa per l’odierna camera di consiglio.
6. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, sotto il versante del difetto di motivazione sub specie di motivazione apparente, in quanto «non si rinviene l’ iter logico seguito dai giudici di seconde cure per addivenire alla conclusione che la ricorrente abbia partecipato consapevolmente o almeno colposamente ad ‘un meccanismo di frode’ e che, pertanto, legittimo sarebbe il recupero dell’Iva asseritamente indebitamente detratta. Nel caso di specie, la C.T.R. non ha dato conto di quali fossero i fatti esaminati, di quali fossero gli elementi probanti di tali fatti e in ultimo quali fossero le ragioni per cui ai fatti medesimi
dovevano riconnettersi determinati effetti giuridici» (ricorso, pag. 15).
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729, dell’art. 115 c.p.c., nonché dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 13.02.2014, causa C-18/13 del 22.10.2015, causa C-277/14».
2.1. Sostiene la ricorrente che la CTR aveva «erroneamente statuito in ordine all’ onus probandi omettendo di compiere un ponderato ed attento bilanciamento degli opposti elementi forniti dalle parti in causa», in particolare in relazione al AVV_NOTAIOilo relativo alla prova della consapevolezza di essa società contribuente di partecipare ad una frode fiscale. Sostiene, al riguardo, che quelle addotte dall’Ufficio erano «mere ipotesi», «mere illazioni» (ricorso, pag. 19 e pag. 21) e non, invece, presunzioni gravi precise e concordanti idonee a dimostrare la situazione soggettiva di essa società contribuente.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 54 D.P.R. 633/1972, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., nonché dei principi indicati nella sentenza della Corte di Giustizia Europee del 22.10.2015 (in causa C-277/14)».
3.1. Con il motivo in esame la ricorrente censura « l’operato della RAGIONE_SOCIALE.T.R. che nel decidere la controversia ha avallato un illegittimo recupero di Iva ritenuta indebitamente detratta, senza effettuare una valutazione del compendio posto al suo vaglio, al fine di tener compiutamente conto della reale portata del quadro indiziario proposto dall’Amministrazione finanziaria », fondata su « meri e labili indizi », « e di contro della efficacia della prova contraria offerta da parte privata », che « gestiva e tutt’ora gestisce la selezione dei propri
fornitori sul mercato di riferimento », procedendo al reperimento preventivo di informazioni, « presso clienti già riforniti » e con l’acquisizione di documentazione relativa alle società fornitrici (nella specie, la visura storica tratta dal registro delle imprese; l’atto di attribuzione della partita IVA; l’atto di attribuzione del codice IVA comunitario, cd. VIES; la certificazione IBAN; i report ‘Cerved Business Information ‘, ‘TREND’ , ‘PROSPETTO ORDINARIO’ e ‘BASIC LIGHT’) . Deduce, inoltre, che i giudici di appello non avevano considerato le argomentazioni difensive e le prove addotte per contestare la tesi erariale relativa agli acquisti sottocosto. Sostiene, infine, che la statuizione d’appello si pone in contrasto con la sopra citata sentenza della CGUE da cui emerge che « il criterio dell’esistenza del fornitore non figura tra le condizioni legittimanti il diritto alla detrazione, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni formali e sostanziali previste dalla direttiva 2006/112/CE » (ricorso, pag. 27).
Con il quarto motivo deduce l’« Omesso esame di fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. », sostenendo che la CTR aveva trascurato di valutare tutta «una serie di circostanze che afferiscono a tutti gli elementi portati dall’odierna ricorrente nel merito ed ignorati del tutto nel relativo giudizio».
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la « Violazione dell’obbligo del preventivo contraddittorio. Normativa violata: Legge 241/1990 e Statuto del contribuente (Legge 212/2000), nonché dei principi indicati nella sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. n. 24823 del 9 dicembre 2015» .
5.1. Sostiene che aveva errato la CTR nel ritenere che nella specie si era trattato di un accertamento condotto a tavolino e non aveva interessato tributi armonizzati, mentre invece aveva
riguardato il recupero dell’IVA, asseritamente detratta in maniera indebita, ed era stato pure redatto un processo verbale di constatazione nei confronti della contribuente in data 31 marzo 2016.
Il primo motivo, incentrato sul contenuto motivazionale della sentenza impugnata, è manifestamente infondato.
6.1. Deve premettersi che, secondo un orientamento ormai sedimentato nella giurisprudenza di questa Corte, la sentenza è nulla quando, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, contenga una motivazione che non consente di ” comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato “, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un ” ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo “, logico e consequenziale, ” a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Quando, cioè, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, atteso, peraltro, che non può lasciarsi all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; cass. n. 29124/2021). In buona sostanza, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia
del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
6.2. Ciò posto, venendo alla fattispecie in esame, nell’impugnata sentenza si legge:
«Dagli atti del procedimento emerge che l’attuale vicenda processuale scaturisce dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Entrambe risultano delle mere società cartiere che hanno operato secondo lo schema classico delle frodi carosello. In particolare la RAGIONE_SOCIALE era rappresentata da tale NOME COGNOME, risultato essere un soggetto nullatenente e privo di redditi, che non si è mai occupato delle vicende della società e che ha dichiarato di essere un mero prestanome. La RAGIONE_SOCIALE non ha osservato gli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili, ha omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali ed ha dichiarato quale sede legale un immobile privo di targhe ed insegne riconducibili alla stessa. Per quanto riguarda la RAGIONE_SOCIALE, risulta che la stessa ha omesso di presentare dichiarazioni di redditi e di effettuare versamenti di imposta e che era legalmente rappresentata da NOME COGNOME che risulta irreperibile. La società RAGIONE_SOCIALE per l’anno di imposta 2013 ha utilizzato numerose fatture emesse dalle due predette società che devono essere considerate relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. In situazione siffatta, sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione, grava sulla società utilizzatrice l’onere probatorio di dimostrare la sua buona fede nell’utilizzo delle fatture. Tale onere, come già ampiamente motivato dal Giudice di primo grado, non è stato assolto in quanto, a fronte del quadro indiziario for nito dall’Ufficio, non contestato dalla
ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE si è limitata alla produzione di copiosa documentazione relativa alle risultanze meramente formali della sua contabilità, per cui non è ipotizzabile che la RAGIONE_SOCIALE, avendo intrattenuto rapporti con le due società cartiere per numerosi anni, non si sia resa conto della effettiva consistenza operativa che risultava quanto meno dalla mancanza di un’effettiva sede operativa e della inesistenza di personale dipendente. Quanto al lamentato difetto di contraddittorio preventivo, si osserva che nel caso di specie si è trattato di una verifica ‘a tavolino’ avente ad oggetto il recupero di imposte non armonizzate e pertanto, sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di instaurare il contraddittorio. » .
6.3. Orbene, prescindendo dall’esattezza o meno delle statuizioni rese dai giudici di appello, che non è oggetto della verifica richiesta dalla censura in esame, ritiene il Collegio che il contenuto motivazionale della sentenza impugnata si ponga ben al di sopra del minimum costituzionale, contenendo un’esposizione chiara delle ragioni della decisione assunta, oltre che l’ indicazione degli elementi probatori da cui i giudici hanno tratto il proprio convincimento.
Deve, quindi, passarsi all’esame del quinto motivo di ricorso, perché, in astratto, idoneo a risolvere la causa in quanto incentrato sulla violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale.
7.1. Il motivo è, però, manifestamente infondato alla stregua del noto principio giurisprudenziale secondo cui «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini
della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio» (Cass. n. 701 del 15/09/2019). In buona sostanza, nelle ipotesi, come quella di specie, di avviso di accertamento emesso successivamente ad una verifica in loco , ovvero nei locali della società contribuente destinati all’esercizio dell’attività, con redazione e consegna di un p.v.c., quello che rileva, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, nella versione applicabile ratione temporis, è unicamente il rispetto del termine dilatorio ivi previsto, nella specie sicuramente rispettato considerato che, per stessa ammissione della parte ricorrente, il p.v.c. è stato elevato in data 31/03/2016 e l’ avviso di accertamento notificato il 22/9/2016.
Va esaminato prioritariamente, rispetto ai restanti motivi, il quarto mezzo di cassazione con cui viene dedotto l’omesso esame di elementi istruttori.
8.1. Il motivo è palesemente inammissibile per diverse concorrenti ragioni.
8.2. Innanzitutto, perché formulato, così come correttamente rilevato dalla controricorrente, in violazione del disposto di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ., ora 360, quarto comma, cod. proc. civ., vertendosi nella specie in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme , peraltro senza che il ricorrente abbia assolto l’onere di indicare i AVV_NOTAIOili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta
(cfr. Cass. n. 26774 del 2016, n. 5528 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 5947 del 2023).
8.3. Il motivo è inammissibile anche perché si pone in contrasto, come correttamente evidenziato nella proposta di definizione anticipata, con il principio giurisprudenziale secondo cui l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato, come nella specie, comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), precisandosi, inoltre, che il motivo pecca anche di specificità, avendo la ricorrente del tutto pretermesso l’indicazione dei fatti storici in thesi pretermessi dai giudici di appello.
I restanti secondo e terzo motivo di ricorso, entrambi incentrati sulla complessiva valutazione operata dai giudici di appello del compendio probatorio, che si sostiene essere stata effettuata in violazione delle disposizioni censurate, sono manifestamente infondati.
9.1. Al riguardo devono richiamarsi i principi giurisprudenziali elaborati in materia da questa Corte anche sulla scia delle pronunce della Corte di giustizia europea.
9.2. In materia di operazioni soggettivamente inesistenti, come nella fattispecie in esame, che presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, l’orientamento giurisprudenziale , anche unionale, (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in
linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, citata anche dalla ricorrente, e, recentemente, CGUE 11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20) è consolidato nel ritenere che ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione; elementi che devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia stata posta in essere dal soggetto che risulta documentalmente. Sotto tale AVV_NOTAIOilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura da parte del soggetto emittente (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
9.3. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente « sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità AVV_NOTAIOessionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale ». In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla
AVV_NOTAIOessionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli ‘ disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente ‘). Una volta accertato che l’amministrazione finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettivamente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
9.4. Applicati tali principi alla fattispecie discende che la « mancanza di un’effettiva sede operativa » e la « inesistenza di personale dipendente », accertate dalla CTR e nemmeno contestate dalla ricorrente, costituiscono validi e qualificati elementi presuntivi dell’inesistenza delle operazioni oggetto di verifica, essendo impossibile che le forniture venissero effettuate proprio dalle società emittenti le fatture, ma anche della consapevolezza della società contribuente di inserirsi in un sistema di frode fiscale giacché, a prescindere dalla verifica della esistenza meramente formale di dette società – che la ricorrente ha effettuato attraverso
l’acquisizione dei documenti elencati al superiore par. 3.1. , che ne attestavano, in particolare, l’iscrizione nel registro delle imprese e l’attribuzione della partita IVA -, non è giustificabile, sul piano della diligenza qualificata richiesta alla ricorrente, la mancata verifica dell’effettiva esistenza ed operatività delle società con le quali intratteneva rapporti commerciali.
9.5. A quanto fin qui detto, aggiungasi che la società ricorrente, al fine di dimostrare la propria buona fede, ha riferito della prassi interna di «assumere eventuali ‘informazioni’ presso clienti già riforniti, circa la correttezza commerciale in termini di rapidità e puntualità con cui usava eseguire le consegne» (ricorso, pag. 24) ed ha negato che gli acquisti avvenissero sottocosto, ma non ha indicato da quali elementi emergesse e, comunque, non ha riprodotto o allegato l’eventuale documentazione prodo tta a tal fine nei gradi di merito, con evidente violazione del principio di specificità del ricorso.
9.7. Le suesposte considerazioni rendono, quindi, evidente anche l’inammissibilità dei due motivi che, come correttamente sostenuto anche nella proposta di definizione anticipata della causa, «si risolvono in una contestazione sulla sufficienza della motivazione espressamente ancorata, tra l’altro, all’esistenza di stabili rapporti con due società cartiere, durati per ‘numerosi’ anni, da cui la ragionevole conclusione che la condotta era stata carente per diligenza».
Conclusivamente, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nonché, ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, ord. n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, ord. n. 27433
del 27/09/2023; Cass. n. 28318 del 2023), delle somme di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 96 cod. proc. civ., liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in euro 8.200,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Condanna la ricorrente a pagare in favore della controricorrente l’ulteriore importo di euro 4.100,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. nonché l’ importo di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 settembre 2024