Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17777 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17777 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23028/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA VICOLO DI SANT’AGATA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA n. 183/2018 depositata il 25/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, l’Agenzia delle Entrate emetteva l’avviso n. TVS030300703/2015, sulla scorta del pvc redatto dalla Guardia di finanza di Barletta del 14 marzo 2013, con cui recuperava l’IVA indebitamente detratta pari ad euro 60.817,66, conseguentemente rettificando la dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2008.
In particolare, la pretesa traeva origine dall’attività di indagine della Guardia di finanza di Clusone (BG), promossa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con sede a Brescia, esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e commercio all’ingrosso di metalli ferrosi e prodotti semilavorati, nel corso della quale veniva acclarato che detta società aveva emesso nell’anno 2008 fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di numerose aziende. Alcune fatture emesse dalla SICE RAGIONE_SOCIALE risultavano esser state annotate e contabilizzate dalla verificata, che aveva dichiarato nella propria dichiarazione gli acquisti per un ammontare imponibile pari ad euro 304.088,30, in tal modo detraendo IVA per un importo complessivo pari ad euro 60.817,66. La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Provinciale di Bari che, con sentenza n. 997/2016 depositata in data 10/03/2016, accoglieva il ricorso della società ritenendo illegittimo l’atto impugnato per omesso contraddittorio preventivo, nonché per aver la società assolto l’onere di fornire prova contraria.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla CTR della Puglia che, con sentenza n. 183/2018 del
20/12/2017 depositata il 25/1/2018, lo rigettava e condannava l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio.
L’Agenzia delle Entrate propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., posto che diversamente da quanto ritenuto dalla CTR ‘ l’oggetto della domanda non era l’obbligo di contraddittorio ma l’eventuale mancanza di motivazione del rigetto delle deduzioni difensive post notifica del processo verbale di constatazione ‘.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che la mancata valutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata dopo il rilascio della copia del processo verbale di constatazione abbia inficiato la validità dell’atto di accertamento per difetto di motivazione.
Con il terzo motivo di ricorso di deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto che la società abbia assolto l’onere della prova in capo alla stessa, facendo leva sulla provata congruità dei prezzi di vendita del ferro acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE e su ll’assenza di rapporti diretti con la cedente.
Va esaminato in principalità il terzo motivo, che è infondato e va respinto.
Sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh , causa C-277/14), questa Corte ha stabilito
che, in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del 30/10/2018; Cass, sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33598; Cass. Sez. 5, Ord. n. 15369 del 20/07/2020; n. 28562 del 2021). Si è quindi chiarito che la prova si incentra su due circostanze, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.
Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea , deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa
dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, cause C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME , cause C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, cit.).
Quanto al ‘tipo’ di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere il proprio onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’I.V.A. l’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/72 e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, cit.; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, cit.), che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente ” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, COGNOME, cit., Corte di Giustizia, Ppuh, cit., punto 50).
Ora, la CTR ha ritenuto che in favore della ‘buona fede’ della contribuente militassero due elementi. Il primo è rappresentato dalla congruità del prezzo praticato per l’acquisto del bene; ma, e soprattutto, il giudice d’appello ha mostrato di valorizzare l’elemento costituito dall’intervenuta contrattazione con un intermediario del cedente, tale NOME COGNOME il quale ‘ svolgeva abitualmente l’ attività di agente di commercio di
materiale per l’edilizia ed il quale era iscritto alla Camera di Commercio sin dal 1997 ‘.
La CTR , di là dal peso assegnato all’elemento della congruità dei prezzi, non ha, quindi, violato il criterio di riparto dei carichi probatori, ma ha svolto la propria valutazione. Nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. è quindi configurabile.
Le argomentazioni svolte sul punto dai giudici di appello sono il frutto di accertamenti in fatto dai medesimi compiuti, che non sono stati adeguatamente contestati, posto che il motivo è calibrato sulla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. ed è comunque incentrato, sotto il versante della consapevolezza, su circostanze riguardanti la SICE e sull’importo elevato degli acquisti . Ed è appena il caso di osservare che, anche laddove si volesse procedere alla riqualificazione del motivo come deducente un vizio motivazionale, un tale motivo comunque sarebbe inammissibile, in quanto volto a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo la diversa interpretazione della parte ricorrente, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello (Cass., 1 giugno 2021, n. 15276). La doglianza è apertamente diretta, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, ad ottenere una inammissibile rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987). Eppure, è evidente che la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non possa rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito
di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
La sentenza impugnata ha, in definitiva, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, nel rispetto delle regole di riparto dei carichi probatori.
Il primo motivo e il secondo motivo restano assorbiti, essendo ambedue calibrati su profili preliminari, dei quali l’accertamento in fatto della CTR sterilizza in nuce la rilevanza sul piano dell’interesse.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato.
Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie e agli accessori di legge, con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario .
Così deciso in Roma, il 29/04/2025.