Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34732 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34732 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26428/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2288/2016 depositata il 15/04/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE appartenenti al medesimo gruppo societario, rispettivamente in qualità di consolidante e consolidata, proponevano appello avverso la sentenza n. 253/2012 della CTP di Milano che, previa riunione, aveva rigettato cinque
ricorsi promossi dalle predette società per l’annullamento di tre avvisi di accertamento relativi ad Ires, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2005.
Come si apprende dalla sentenza impugnata, gli avvisi di accertamento scaturivano da segnalazioni della Guardia di Finanza di Gorgonzola e da un PVC della D.R.E. Lombardia – Ufficio Controlli Fiscali, emesso a conclusione di una verifica parziale relativa al periodo d’imposta 2004.
Il primo avviso di accertamento, relativo alla posizione di RAGIONE_SOCIALE si articolava in due autonomi rilievi.
3.1. Con il primo rilievo l’Ufficio recuperava costi indeducibili in violazione dell’art. 109, commi 1 e 5, Tuir, afferenti a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE ritenuta una società c.d. RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il secondo rilievo aveva invece ad oggetto componenti negativi, ritenuti indeducibili in violazione dell’art. 109, comma 8, Tuir. L’Agenzia delle entrate contestava che, mediante una complessa serie di operazioni, la società contribuente avesse ridotto il reddito dichiarato per l’anno di imposta 2004 di un importo pari ad euro 18.252.668,00, facendo risultare, nel successivo anno 2005, un dividendo di € 18.376.846,11, soggetto a tassazione al 5%.
I verificatori avevano rilevato che RAGIONE_SOCIALE nell’esercizio 2004, aveva iscritto nel conto “sopravvenienze passive su titoli” l’importo di € 18.252,668,00, quale minusvalenza da rimborso anticipato di alcuni titoli obbligazionari strutturati, acquistati per un valore pari ad euro 40.000.000,00 e rimborsati per un valore di euro 21.744.972,00.
Con detta operazione, contestava l’Amministrazione, la società non solo aveva potuto trasferire al successivo anno di imposta la tassazione dell’importo di cui si discute, ma aveva anche goduto di un illecito vantaggio fiscale, in quanto tale somma, fatta risultare
quale oggetto di un dividendo attraverso un complesso di operazioni, era stata assoggettata all’imposizione con l’aliquota del 5%, più favorevole rispetto all’aliquota ordinaria Ires.
L’operazione veniva, pertanto, ricondotta al contesto della «specifica disposizione antiabuso dell’ordinamento» e, in particolare, l’Ufficio richiamava «l’articolo 109, comma 8, TUIR (post riforma Ires) in base al quale in deroga al comma 5, non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto di usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’articolo 89».
Sulla base di ciò, l’Agenzia delle entrate contestava l’indeducibilità ai fini Ires del costo sostenuto negli anni 2004 e 2005, per un importo complessivo pari ad euro 18.890.126,74.
Con il secondo avviso di accertamento venivano recuperati a tassazione costi per interessi passivi su finanziamento per euro 579.796,24, quale minusvalenza da vendita di quote di partecipazione, ritenuta indeducibile ai sensi dell’art. 109, comma 8, Tuir.
Con il terzo avviso di accertamento, in relazione ai rilievi di cui al primo avviso di accertamento richiamato, veniva accertata l’indebita detrazione dell’IVA sulle fatture di acquisto emesse dalla RAGIONE_SOCIALE
Infine, con l’avviso di accertamento emesso nei confronti della consolidante RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE di Milano recepiva, in relazione alla posizione di RAGIONE_SOCIALE consolidata, i rilievi di cui al primo avviso di accertamento menzionato.
La CTR della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, confermando la decisione di primo grado, rigettava l’appello delle società.
Avverso la predetta sentenza RAGIONE_SOCIALE anche in qualità di incorporante di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sedici motivi.
Resiste l’Amministrazione finanziaria con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 59, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione al combinato disposto dell’art. 1, comma 2, dello stesso D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 101, secondo comma, c.p.c., introdotto dalla Legge n. 69/2009». Lamenta la ricorrente che, nel giudizio di prime cure non si fosse validamente costituito tra le parti il contraddittorio sulla questione dell’operatività del principio generale antiabuso, che la CTR avrebbe, poi, rilevato d’ufficio e posto a fondamento della propria decisione. La CTR, si afferma, avrebbe dovuto: i) rilevare la violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c., a mente del quale “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, termine, inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie’ e ii) rilevare la violazione del dichiarare la nullità della sentenza di prime cure e, conseguentemente, rimettere la causa al giudice di primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Ammesso pure che quella di cui trattasi costituisse non già una questione di puro diritto, bensì una questione mista di fatto e di diritto, come tale soggetta all’obbligo di segnalazione previsto dall’art. 101, comma 2, c.p.c., occorre comunque tener presente che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ove una simile questione sia rilevata d’ufficio dal giudice e posta a fondamento della decisione, senza essere stata preventivamente indicata alle parti, in tanto può pervenirsi alla declaratoria di nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa in quanto la parte che denunci il relativo vizio in sede di gravame prospetti, in concreto, le
ragioni che avrebbe potuto far valere ove il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato sul punto (cfr. Cass. n. 21314/2023, Cass. n. 7365/2022, Cass. n. 11440/2021).
Nel caso di specie, la società impugnante si è limitata a lamentare la formale violazione della norma processuale evocata in rubrica ( error in procedendo ), ma non ha illustrato le ragioni – diverse e ulteriori rispetto a quelle da essa già prospettate negli atti difensivi depositati nei gradi di merito e parzialmente ritrascritte nell’odierno ricorso – che avrebbe potuto far valere in appello qualora la CTR avesse sottoposto alle parti la questione, rilevata d’ufficio, inerente alla pretesa configurabilità di un’elusione fiscale.
1.3. Inoltre, con riferimento alla disciplina vigente ratione temporis , va richiamato l’orientamento di questa Corte, secondo cui «Nel processo tributario, nel caso di impugnazione della sentenza di primo grado pronunciata “a sorpresa”, in quanto fondata su questioni rilevate d’ufficio di fatto o miste, di fatto e di diritto, senza il previo contraddittorio delle parti, non si impone la rimessione della causa al grado precedente – la quale costituisce soluzione eccezionale – dal momento che in appello è ammessa la produzione di nuovi documenti, sicché non si determina un vulnus al diritto di difesa» (Cass., Sez. 5, n. 34634 del 16/11/2021).
E ancora si è affermato che «In tema di contenzioso tributario la rimessione della causa alla Commissione tributaria provinciale è prevista dal comma 1 del citato art. 59 soltanto in talune ipotesi tassative ed eccezionali, al di fuori delle quali il giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale assume le caratteristiche del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo, con la conseguente necessità per i giudici di secondo grado di decidere nel merito le questioni proposte. La tassatività delle ipotesi di rimessione al primo giudice impone, infatti, alla Commissione tributaria regionale di trattenere la causa e deciderla nel merito (cd. assorbimento delle nullità nei motivi di gravame), a ciò non ostando il principio del
doppio grado di giurisdizione, il quale, oltre a non trovare garanzia costituzionale nel nostro ordinamento (Corte Cost. sentenza n. 243 del 2014; ordinanza n. 42 del 2014 e n. 190 del 2013; n. 410 del 2007 e n. 84 del 2003), presuppone soltanto che una stessa domanda venga proposta a due giudici di grado diverso, ma non che venga decisa da entrambi» (Cass., sez. 5, 30/06/2010, n. 15530; Cass., sez. 5, 7/03/2018, n. 5426; Cass. Sez. 6 – 5, n. 23741 del 29/07/2022).
Tenuto conto che l’art. 59 citato è norma speciale, salvo che in primo grado non sia stato ritualmente instaurato il contraddittorio o non sia stato rilevato un difetto di integrazione del contraddittorio ipotesi che non ricorrono nel caso in esame – la possibilità per il contribuente di spiegare in secondo grado tutte le difese nel merito, comprese le eventuali produzioni documentali, osta al rinvio al giudice di primo grado e, quindi, all’applicabilità dell’art. 101, secondo comma, del cod. proc. civ., poiché si traduce in un aggravio di procedura di segno opposto a quello postulato dalla norma (Cass., Sez. 5, 16/11/2021, n. 34634; Cass., sez. 5, 15/04/2016, n. 7514; Cass., sez. 5, 25/07/2012, n. 13113; Cass., sez. 5, 24/11/2006, n. 24972).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, riferibile ratione temporis alla controversia di cui è causa».
Deduce la società ricorrente che la CTR, qualora avesse ritenuto di non poter annullare, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 546/1992, la sentenza appellata, rimettendo gli atti alla Commissione di prime cure, «non avrebbe comunque potuto confermare le statuizioni dei primi Giudici, nella parte in cui, mercè il richiamo alle sentenze nn. 180/22/2014 e 23/35/2012, rese dai primi e secondi Giudici milanesi nel separato giudizio relativo all’avviso di accertamento n. TMB030200316/2009 ai fini IRES ed
IRAP per l’anno 2004, confermavano la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio sulla base di una riqualificazione officiosa della fattispecie in termini di violazione della generale clausola antielusiva (cfr. pagine 8 e 9 della sentenza n. 253/17/2012)». L’atto impositivo sarebbe risultato comunque nullo e parimenti invalida sarebbe risultata la sentenza che avesse diversamente statuito, giacché il recupero impositivo sarebbe avvenuto in violazione della garanzia del contraddittorio preventivo, che l’art. 37-bis del DPR n. 600/1973 assicura al contribuente ogni qual volta l’Amministrazione finanziaria intenda disconoscere gli effetti fiscali di condotte ritenute elusive.
2.1. Il motivo è infondato.
Per costante orientamento di questa Corte, la riqualificazione giuridica del comportamento del contribuente in termini di elusione fiscale può essere autonomamente operata dal giudice e prescinde dal rispetto degli oneri procedimentali posti a carico dell’Amministrazione dall’art. 37 -bis D.P.R. n. 600 del 1973, quali la richiesta di chiarimenti prima dell’emanazione dell’atto impositivo e la specifica motivazione dello stesso in relazione alle giustificazioni fornite del contribuente.
Ciò in quanto la rilevabilità officiosa del negozio abusivo deve ritenersi ammessa in ogni stato e grado del giudizio, stante l’indisponibilità della pretesa tributaria, con i soli limiti rappresentati, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto e, in sede di legittimità, dalla necessità di ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. Sez. Un. n. 30055/2008, paragrafo 2.6; negli stessi termini, ex multis , Cass. n. 33793/2022 e Cass. n. 33973/2022; da ultimo, cfr. Cass. n. 8484/2024).
Ove si propendesse per la soluzione opposta, verrebbe meno in radice la rilevabilità d’ufficio, anche in sede di legittimità, del
negozio abusivo, la quale, invece, è pacificamente ammessa dalla S.C., a cominciare da Cass. Sez. U., n. 30055/2008, cit.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’espressa eccezione di violazione, da parte della sentenza di prime cure, del combinato disposto di cui agli artt. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, 3, comma 1, della Legge n. 212/2000 e 23 Cost».
Allega la ricorrente che i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui si contestava che il primo giudice avesse confermato gli avvisi di accertamento impugnati dalle parti contribuenti sulla base di una pretesa violazione del generale divieto di abuso, non contestata dall’Amministrazione finanziaria con i predetti atti impositivi, né altrimenti emersa prima di allora in corso di causa.
3.1. Il motivo è infondato, rilevandosi che, nella specie, non si versa in ipotesi di omessa pronuncia, ricorrendo invece un’ipotesi di implicita pronuncia di rigetto.
Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
Inoltre, secondo costante giurisprudenza, «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di
un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
Con il quarto motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, 3, comma 1, della Legge n. 212/2000 e 23 Cost.»
Rileva la società contribuente che, nella ipotesi in cui si ravvisasse, nella sentenza di secondo grado, un’implicita statuizione di rigetto dell’eccezione, detta statuizione sarebbe comunque contrastante con il principio generale di legalità ricavabile dal combinato disposto di cui agli artt. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e 23 Cost., che in materia tributaria trova espresso riconoscimento nell’ citato art. 3, comma 3, della Legge n. 212/2000, a mente del quale “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.
Osserva in particolare, al riguardo, che il principio generale antielusivo, posto dai giudici del merito a fondamento delle proprie statuizioni di rigetto dei ricorsi riuniti presentati dalle società comparenti, non avrebbe potuto operare nella controversia de qua , in quanto enucleato dalla giurisprudenza solo in un momento successivo rispetto a quello in cui la società ha posto in essere la condotta accertata e contestata dall’Ufficio fiscale esclusivamente sulla base dell’art. 109, comma 8, del TUIR.
4.1. Il motivo è infondato.
L’invocato principio non può infatti essere interpretato in se nso estensivo ad un orientamento giurisprudenziale interpretativo di una o più norme di legge, come nel caso in esame, non trovando fondamento la sua equiparazione allo ius superveniens suggerita dalla ricorrente.
4.2. Questa Corte ha costantemente affermato che un orientamento del giudice della nomofilachia cessa di essere retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, e può quindi parlarsi di prospective overruling , presenti gli altri presupposti che devono cumulativamente ricorrere, laddove si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non anche, come dedotto nel caso di specie, su disposizioni di natura sostanziale (Cass. SU n. 4135/2019).
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’espressa eccezione di invalidità dell’atto impositivo per violazione dell’art. 109, comma 8, del D.P.R. n. 917/1986».
Osserva la ricorrente che la Commissione tributaria provinciale di Milano, nel rinviare alle sentenze pronunciate in relazione all’anno 2004, ha ritenuto, anche per l’annualità 2005, di poter confermare la pretesa fiscale sulla base del solo richiamo, ope iudicis , alla generale clausola antielusiva, omettendo pertanto di pronunciarsi in merito all ‘ applicabilità al caso di specie dell’art. 109, comma 8, del TUIR, ancorché, come visto, posto dall’Ufficio ad esclusivo fondamento della propria iniziativa impositiva.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento del precedente, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986»
Con il settimo strumento di impugnazione, la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’espressa eccezione di invalidità dell’atto impositivo per violazione dell’art. 109, comma 8, del D.P.R. n. 917/1986».
Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto in via di subordine, per il caso di mancato accoglimento del precedente, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986», per non avere la CTR statuito alcunché in merito al motivo articolato in appello, con riferimento alla indetraibilità dell’Iva assolta su operazioni inesistenti sul piano soggettivo».
I motivi quinto, sesto, settimo e ottavo sono inammissibili, in conseguenza di quanto affermato in merito alla correttezza della riqualificazione giuridica del comportamento del contribuente in termini di elusione fiscale, operata ex officio dalla CTR, sì che le critiche fondate sulla violazione dell’art.109, comma 8 e comma 5 del Tuir risultano non pertinenti e non si confrontano con il dictum della sentenza impugnata.
Con il nono motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la «Nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118, comma 1, disp. att. c.p.c. e 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546/1992». Lamenta la ricorrente l’omessa motivazione in relazione al rilievo, contestato con il ricorso introduttivo e quindi con specifico motivo di appello, relativo all’indeducibilità dei costi per utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
10.1. Il motivo è fondato.
È costante affermazione di questa Corte che nella ipotesi di redazione per relationem della sentenza d’appello, è necessaria di una effettiva valutazione critica, da parte del giudice
dell’impugnazione, dei motivi di gravame ( ex plurimis , Cass. 25/10/2018, n. 27112; Cass. 05/08/2019, n. 20883).
10.2. Non si è conformata a tale onere motivazionale la CTR, che si è limitata ad affermare che «Vanno condivise, quindi, le conclusioni dei primi giudici che hanno condiviso l’operato dell’Ufficio e la natura fraudolenta dell’operazione finanziaria posta in essere dalle società appellanti al solo fine di godere di vantaggi fiscali indebiti ed illegittimi (…)», per concludere affermando che «La riconosciuta fondatezza delle suesposte argomentazioni e considerazioni comporta l’assorbimento delle ulteriori doglianze formulate nell’appello, rendendone superfluo l’esame» (sentenza, p. 5), esponendo argomentazioni tautologiche dalle quali non è dato desumere la ratio decidendi che fondano le statuizioni assunte.
11. Con il decimo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 della Legge n. 212/2000, nonché del principio generale del diritto europeo in tema di contraddittorio preventivo».
Il motivo deve ritenersi assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del nono strumento di impugnazione, dedotto in relazione alle medesime censure, ma sotto il diverso profilo della denuncia del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4. c.p.c.
12. Con l’undicesimo strumento di impugnazione si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, nonché del principio generale del diritto europeo sulla detraibilità dell’IVA da parte del soggetto passivo del tributo, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.».
12.1. Il motivo è fondato.
In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti. L’insegnamento della prima
-a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la partecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust. Ppuh, C-277/14; Corte Giust. COGNOME, C285/11) -è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, «in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto» (Cass. Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 65842901, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘reverse charge’, Cass. Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, da ultimo richiamate da Cass. n. 7061 del 15/03/2024).
12.2. Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unionale sia interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e David, C-80/11 e
C142/11 e Corte Giust. Kittel, C439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6-5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435-01).
12.3. Ad una semplice lettura della sentenza impugnata si rileva come la CTR non si sia conformata ai principi affermati da questa Corte.
Con il dodicesimo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’espressa eccezione di violazione dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997.
Con il tredicesimo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997».
Con il quattordicesimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sull’espressa eccezione di violazione dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997».
Con il quindicesimo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997, in combinato disposto con l’art. 115 del c.p.c.».
I motivi dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo, aventi ad oggetto contestazioni afferenti al regime sanzionatorio applicato, risultano assorbiti.
Parimenti assorbito è il sedicesimo, ed ultimo, strumento di impugnazione, con il quale la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992», dolendosi della mancata compensazione delle spese di lite della fase di merito.
In conclusione, accolti il nono e undicesimo motivo di ricorso, rigettati il primo, secondo, terzo e quarto, dichiarati inammissibili il quinto, sesto, settimo e ottavo e assorbiti i restanti, il ricorso va
accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il nono e undicesimo motivo di ricorso, rigetta il primo, secondo, terzo e quarto, dichiara inammissibili il quinto, sesto, settimo e ottavo ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024.