Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9723 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9723 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 11233/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, in INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in calce al controricorso con ricorso incidentale.
– controricorrente e ricorrente in via incidentale-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del VENETO, n. 834/9/19, depositata in data 25 settembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Verona, con sentenza n. 483/14, depositata il 18 novembre 2014, aveva accolto parzialmente i ricorsi, riuniti, promossi dalla società RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, avverso gli avvisi di accertamento relativi ai periodi d’imposta 2006, 2007, 2008 e 2009, per Ires, Irap ed Iva, oltre accessori di legge, in relazione a fatture soggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, ritenendo legittimo il recupero della sola Iva esposta in fattura e detratta illegittimamente.
La Commissione tributaria regionale, adita da entrambe le parti, ha accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio e ha rigettato l’appello incidentale della società, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti considerazioni:
) in ordine al periodo d’imposta 2007, dall’attività istruttoria condotta dai militari era emerso che le operazioni intervenute tra la RAGIONE_SOCIALE e il COGNOME erano riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti e che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME non possedeva una struttura adeguata per lo svolgimento dell’attività d’impresa dichiarata e non aveva mai svolto alcuna attività commerciale, esistendo come «cartiera», la cui finalità era quella di scaricare su di essa il debito tributario, consentendo al presunto acquirente, nel caso di specie, alla RAGIONE_SOCIALE di beneficiare di un’indebita detrazione dell’I.V.A., nonché della deduzione di costi, in realtà mai sostenuti, per l’acquisto di materiale legnoso;
-) si trattava di operazioni oggettivamente inesistenti poste in essere tra le parti, per cui andavano recuperati a tassazione i relativi costi d’acquisto, pari a complessivi euro 129.157,20, e recuperata l’I.V .A. indebitamente detratta, pari ad euro 25.831,44;
-) con riferimento al recupero derivante dalla verifica eseguita nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi che la società RAGIONE_SOCIALE faceva parte RAGIONE_SOCIALE società che avevano partecipato alla c.d. «frode carosello», che aveva avuto il ruolo di filtro, detto COGNOME , nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, e che le fatture emesse dalla società per operazioni soggettivamente inesistenti, erano finalizzate esclusivamente a far concludere a terzi la frode; in particolare, la società RAGIONE_SOCIALE operava come società fittiziamente interposta nell’acquisto di legname e pallets, che altrimenti avrebbe dovuto avvenire direttamente fra la RAGIONE_SOCIALE, società estera di parte comunitaria, omologa alla RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente indeducibilità dei costi essendovi stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell’attività delittuosa.
I giudici di secondo grado, sull’appello incidentale della società, rilevavano che, a pag. 21 dell’avviso di accertamento, si evinceva che l’atto era stato firmato, in modo autografo, dal capo ufficio controlli, NOME COGNOME, su delega del direttore provinciale NOME COGNOME e che, in ogni caso, gli eventuali vizi della delega di firma non riverberavano i loro effetti sugli atti sottoscritti dal funzionario delegato. Inoltre, in ordine al capo della sentenza impugnata, nel quale il primo decidente, riconoscendo la fondatezza dell’eccezione di parte privata, aveva statuito che le sanzioni irrogate dall’Ufficio fossero liquidate, in funzione dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 472 del 1997, si era formato il giudicato, non avendo l’Ufficio proposto alcuna impugnazione al capo della sentenza allo stesso sfavorevole.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e ricorso incidentale fondato su cinque motivi, cui resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 e degli artt. 19 e 21, del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. La sentenza aveva errato nell’individuazione della disciplina applicabile a fronte degli elementi di fatto pacificamente rivenienti dagli avvisi di accertamento, nei quali la ragione della determinazione del maggior reddito non era stata ricondotta al disconoscimento di costi derivanti dall’utilizzo di fatture (passive) soggettivamente inesistenti, bensì nella riconducibilità a maggior reddito occultato RAGIONE_SOCIALE somme oggetto di fatturazione (attiva) da parte di RAGIONE_SOCIALE
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per apparenza della motivazione e la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992. La sentenza era affetta da apparenza logico-motivazionale in quanto le affermazioni ivi contenute erano del tutto inidonee a descrivere e a far comprendere i tratti elementari della vicenda in fatto e le singole questioni giuridiche sottoposte al suo esame e, sotto l’apparenza di una ratio decidendi , finiva per risolvere la propria decisione in una giustapposizione di proposizioni che tautologicamente e apoditticamente esprimevano la decisione, ma non le ragioni della decisione. La sentenza appariva, infatti, contraddittoria in quanto, i Giudici di secondo grado, pur riconoscendo la realizzazione della
frode finalizzata al risparmio d’imposta della RAGIONE_SOCIALE e la partecipazione ad essa della RAGIONE_SOCIALE, avevano, poi, affermato che ricorreva, nella vicenda in esame, la fattispecie dell’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti che, normalmente, comportava il recupero dell’indebita detrazione dell’IVA, ma non il recupero dei costi e RAGIONE_SOCIALE spese esposte in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, come anche dichiarato dalla relazione illustrativa al decreto legge n. 16/2012, in quanto l’indeducibilità del costo operava qualora vi fosse stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell’attività delittuosa.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
2.2 Ed invero deve premettersi, in punto fattuale, come emerge dalla lettura del ricorso per cassazione nella parte in cui, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, è stato trascritto il contenuto degli avvisi di accertamento (cfr. pagine 3-6 ed anche pagine 12-14) e dalla pag. 3 del controricorso e ricorso incidentale, che l’Ufficio aveva proceduto all’emissione di quattro avvisi di accertamento, relativi agli anni 2006, 2007, 2008 e 2009 ( oltre a un quinto relativo sempre all’anno 2007 riguardante l’emissione di fatture oggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ) con i quali era stata effettuata una rettifica del reddito d’impresa ex art. 39, comma primo, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e recuperato le imposte dirette su quanto ricevuto a titolo di retrocessione, a seguito dell’emissione di fatture attive per operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello. In particolare, l’Ufficio aveva effettuato un controllo sulla società RAGIONE_SOCIALE per gli anni d’imposta dal 2006 al 2011, a seguito del quale era stato contestato l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per euro 350.861,40 ed Iva pari ad euro
69.524,29, emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE. Più specificamente, era emerso che una consistente parte degli acquisti di pallets era di origine estera e che l’operatore estero che aveva principalmente alimentato il mercato fraudolento di pallets era la RAGIONE_SOCIALE, con sede nella Repubblica Ceca e che sebbene gli acquisti provenissero, formalmente, da operatori nazionali, e tra questi la società RAGIONE_SOCIALE, in realtà la merce (pallets) proveniva dalla società RAGIONE_SOCIALE; la società RAGIONE_SOCIALE, infatti, non aveva mai effettuato acquisti diretti dalla RAGIONE_SOCIALE; si trattava di operazioni che prevedevano due o più passaggi fittizi prima della cessione alla società RAGIONE_SOCIALE.
2.3 L’ufficio, dunque, aveva ritenuto che « la fatturazione fittizia ingenera una presunzione di corrispondente vantaggio economico, dato che detti comportamenti non verrebbero posti in essere se mancasse la prospettiva di un fine di lucro, tanto più consistente in ragione del rischio corso… Sulla base di quanto sopra esposto l’Ufficio determina induttivamente un maggior reddito imponibile in capo alla società emittente solamente ai fini Imposte dirette».
2.4 Ciò premesso, questa Corte ha affermato che le norme sulla imposizione diretta, ispirata al principio costituzionale della capacità contributiva, non contemplano ipotesi di responsabilità fiscale «oggettiva», indipendente dall’esistenza di un reddito effettivo. Tale ipotesi, invece, si rinviene nella disciplina dei tributi indiretti, come l’Iva, che è dovuta per l’intero ammontare della fattura, anche se emessa per operazione inesistente, ai sensi dell’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, o l’imposta di registro, dalla quale non è dispensato l’autore di atto nullo o annullabile ex art. 38 del d.P.R. n. 131 del 1986 e che, inoltre, in presenza di una società che svolge attività di «cartiera», oggetto della imposizione diretta non sono i ricavi, pacificamente inesistenti, risultanti da una contabilità riconosciuta fittizia, ma il reddito illecito può essere determinato sinteticamente, in base ai dati ed alle notizie comunque venuti in
possesso dell’Ufficio che, in tal caso, è autorizzato a prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cass., 20 novembre 2008, n. 27569, richiamata anche dall’RAGIONE_SOCIALE ricorrente).
2.5 Dunque, anche per le prestazioni fittizie è da presumere un ritorno economico dato che nessuno porrebbe in essere tali comportamenti se non prospettasse a se stesso un fine di lucro, tanto più consistente in ragione del rischio correlato alla realizzazione di operazioni soggettivamente inesistenti, sicché l’Ufficio legittimamente può procedere ad accertamento in via presuntiva, in quanto la fatturazione fittizia ingenera almeno, nella prospettiva di cui all’art. 39, comma primo, lett. d, del d.P .R. n. 600 del 1973, una presunzione di corrispondente vantaggio economico che è onere del contribuente superare (Cass., 9 settembre 2008 n. 22680, in motivazione).
2.6 Deve aggiungersi che, a fronte della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi devono essere applicate le presunzioni «super semplici», ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 600/1973, prive quindi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con la conseguenza che deve presumersi che la società abbia avuto un vantaggio economico corrispondente all’importo di cui all’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture (Cass., 17 luglio 2019, n. 19191, in motivazione).
2.7 Dunque, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure
induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1506) e che lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo «puro», ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui all’art. 39, comma primo, lettera d), del d.P .R. n. 600/1973 (in termini, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26748, proprio tenendo conto del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. (Cass., 19 febbraio 2009, n. 3995, in motivazione).
2.8 Anche di recente è stato precisato che, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, il potere -dovere dell’Amministrazione è disciplinato non già dell’art. 39, bensì dall’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale, sulla base dei dati e RAGIONE_SOCIALE notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo; a tal fine, esso può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e può fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. supersemplici cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (Cass., 17 luglio 2019, n. 19191, citata) e che, anche nell’ipotesi di accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. l’Ufficio determina il reddito complessivo del
contribuente con il ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (Cass., 17 giugno 2021, n. 17244, che richiama Cass., 18 luglio 2014, n. 16477).
2.9. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti, in quanto, pur affermando (in ciò condividendo la decisione dei giudici di primo grado) che la società RAGIONE_SOCIALE operava come società fittiziamente interposta nell’acquisto di legname e pallets, che altrimenti doveva avvenire direttamente fra la RAGIONE_SOCIALE, società estera di parte comunitaria, omologa alla RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE, e, dunque, che la società ricorrente fosse una società fittiziamente interposta, che faceva da filtro alla RAGIONE_SOCIALE, ha, poi, ritenuto, che le fatture emesse dalla società per operazioni soggettivamente inesistenti, erano finalizzate esclusivamente a far concludere a terzi la frode e da ciò ne ha tratto la conseguenza (errata) che l’Ufficio aveva procedu to al recupero dell’Iva e dei costi come se si trattasse di un recupero d’imposta tipico di fatture passive, facendo applicazione di disposizioni (l’art. 109 TUIR e la deducibilità dei costi in materia di operazioni soggettivamente inesistenti) in una fattispecie nella quale l’oggetto del recupero non era costituito dal maggior reddito rinveniente dai costi (i quali, peraltro, avrebbero presupposto che la contestazione riguardasse fatture passive utilizzate dalla società RAGIONE_SOCIALE), bensì la presunzione di reddito riveniente dall’avere emesso, nella qualità di cartiera, fatture attive per operazioni soggettivamente inesistenti. I Giudici di secondo grado, dunque, pur avendo affermato l’esistenza della frode e la
partecipazione ad essa della COGNOME, hanno, poi, concluso per il riconoscimento dell’Iva e dei costi, mentre la richiesta dell’Ufficio era diretta al r iconoscimento della percezione del valore retrocesso proprio in considerazione del fatto che le fatture oggetto di accertamento erano attive, ovvero emesse, e non passive, e, quindi, ricevute. Il procedimento logico-valutativo seguito dalla commissione tributaria non è, pertanto coerente con le regole di governo RAGIONE_SOCIALE prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., come sopra delineato e in questa sede debitamente contestato, nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 5 maggio 2017, n. 10973; Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715).
2.10 Il ricorso principale è, dunque, fondato.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società RAGIONE_SOCIALE lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. e specificamente della circostanza che la merce fosse stata effettivamente acquistata da COGNOME NOME e poi rivenduta come dimostrato con le copie della fattura, del pagamento mediante assegno bancario, del documento di accompagnamento della merce, della fattura di vendita del legname, dei pagamenti mediante bonifico effettuati dai clienti e del documento di trasporto della merce consegnata. Non era stata nemmeno valutata la sentenza n. 226/14 di assoluzione della Corte di Appello di Trento riferita al COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e rilevata nuovamente in sede di appello incidentale, che aveva rilevato che altri clienti del RAGIONE_SOCIALE (ritenuto teste del tutto inaffidabile ed inattendibile), interrogati, avevano confermato di aver trattato direttamente con COGNOME stesso, escludendo così una partecipazione della società RAGIONE_SOCIALE .
3.1 Il motivo è inammissibile, in quanto la censura formulata, invero, esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 20123, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053).
3.2 Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
3.3 Inoltre, il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).
3.4 Il motivo è pure infondato, dovendosi richiamare, con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale
documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma secondo, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza RAGIONE_SOCIALE indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria
offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ. (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628).
3.5 In particolare, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
3.6 Al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851), come nel caso di specie, dove, si legge a pag. 6 della sentenza impugnata, che nei confronti di COGNOME NOME, la cui attività era stato oggetto di verifica da parte della Guardia di Finanza, « era stato appurato il carattere fittizio di tale operatore ».
3.7 In ultimo, in disparte il difetto di autosufficienza della censura nella parte in cui richiama, ma non trascrive integralmente il
contenuto della sentenza della Corte di appello di Trento, n. 226/14 del 28 luglio 2014, che aveva assolto COGNOME NOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE (soprattutto alla luce RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte dalla difesa erariale alla pagine 11 del controricorso al ricorso incidentale), questa Corte, proprio con riferimento ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha chiarito che, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass., 28 giugno 2017, n. 16262; Cass., 23 maggio 2012, n. 8129).
4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società lamenta l’illegittimità della sentenza per omesso pronuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sull’eccezione sollevata in sede di gravame, di omessa valutazione RAGIONE_SOCIALE prove prodotte in primo grado con le quali erano stati documentati gli acquisti eseguiti, i loro pagamenti d il loro trasporto, la successiva rivendita della merce acquistata e il relativo pagamento e il successivo trasporto, nonché la sentenza n. 226/14 del 28 luglio 2014 della Corte di appello penale di Trento che aveva assolto COGNOME NOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE.
4.1 Il profilo processuale della censura deve ritenersi infondato, posto che, pur vero che la Commissione tributaria regionale non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che si tratta di un rigetto implicito, avendo i giudici di appello affermato che, in ordine al periodo d’imposta 2007, dall’attività istruttoria condotta dai militari era emerso che le operazioni intervenute tra la RAGIONE_SOCIALE e il COGNOME erano riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti e che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE non possedeva una struttura adeguata per lo svolgimento dell’attività d’impresa dichiarata e non aveva mai svolto alcuna attività commerciale, esistendo come «cartiera», la cui finalità era quella di scaricare su di essa il debito tributario, consentendo al presunto acquirente, nel caso di specie, alla RAGIONE_SOCIALE di beneficiare di un’indebita detrazione dell’I.V.A., nonché della deduzione di costi, in realtà mai sostenuti, per l’acquisto di materiale legnoso; che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME non aveva personale alle proprie dipendenze, né mezzi di trasporto, né aveva mai usufruito di vettori per il trasporto merci; che i conti correnti intestati a COGNOME NOME non presentavano movimentazioni finanziarie e che lo stesso titolare aveva dichiarato che gli assegni bancari emessi dalla società RAGIONE_SOCIALE per il pagamento della merce acquistata venivano negoziati da lui stesso, che poi restituiva il controvalore a COGNOME NOME, che era colui che amministrava direttamente la RAGIONE_SOCIALE.
4.2 Può pertanto al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto secondo cui « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di
domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
4.3 Anche di recente, questa Corte ha affermato che « Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione » (cfr. Cass., 12 aprile 2022, n. 11717; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953).
Con il terzo motivo del ricorso incidentale si lamenta l’illegittimità della sentenza per la violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 sulla validità della sottoscrizione dell’atto, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in quanto pur essendo firmato «su delega» del direttore, non era stata prodotto un documento autorizzativo.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. l’illegittimità della sentenza impugnata per omessa valutazione di prove, avendo la Commissione tributaria regionale completamente trascurato la verifica sia della presenza in atti di tale delega, sia (ovviamente) del suo contenuto.
6.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono inammissibili, perchè non si confrontano con il provvedimento impugnato, laddove, dopo avere specificato, a pag. 9 della sentenza
impugnata, che la società ricorrente aveva eccepito la violazione dell’art. 42, comma primo , del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto non sottoscritto dal direttore dell’Ufficio, ha affermato, a pag. 9 della sentenza impugnata, che alla pagina n. 21 dell’avviso di accertamento si evinceva che l’atto era stato formato, in modo autografo, dal capo ufficio controlli, NOME COGNOME, su delega del direttore provinciale NOME COGNOME. E ciò senza prescindere da quanto emerge dalla lettura RAGIONE_SOCIALE pagine 12 e 13 del controricorso al ricorso incidentale, sull’avvenuto deposito della delega di firma (allegato n. 3 RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni del giudizio di primo grado e pagine 16-22 del controricorso al ricorso incidentale) e sulle argomentazioni esposte dai giudici di primo grado sul punto « Espone, poi, motivi comuni a tutti i ricorsi, abbandonando quello relativo alla mancanza di valida sottoscrizione dell’avviso sub A), dopo la costituzione dell’RAGIONE_SOCIALE, lette le argomentazioni di questa », il che esigeva nel rispetto del principio di autosufficienza, la trascrizione del contenuto del motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e del motivo di appello con il quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato la violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 .
6.2 Il motivo, così come formulato nel giudizio di secondo grado, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata, è, comunque, pure infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’avviso di accertamento, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” per il quadriennio 2002-2005, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente » (Cass., 26 febbraio 2020, n. 5177;
Cass., 10 dicembre 2019, n. 32172) e che « In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del titolare dell’ufficio, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore e la presenza della delega del titolare dell’ufficio » (Cass., 17 maggio 2022, n. 15898; Cass., 28 luglio 2022, n. 23651; Cass., 29 luglio 2022, n. 23735).
Con il quinto motivo del ricorso incidentale si lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per la violazione dell’art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avendo la Commissione tributaria regionale imputato integralmente a carico della società contribuente le spese del doppio grado di giudizio nonostante entrambe le pronunce fossero intermedie ed anzi a ben vedere prevalentemente a favore della società contribuente.
7.1 Il motivo è infondato, perché la Commissione tributaria regionale, che ha accolto parzialmente l’appello principale dell’Ufficio e rigettato l’appello incidentale della società contribuente, ai fini della distribuzione dell’onere RAGIONE_SOCIALE spese del processo tra le parti, ha fatto corretto applicazione del criterio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese stesse e che identifica la parte soccombente, alla stregua del principio di causalità, con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, abbia dato causa alla lite ovvero con quella che abbia tenuto nel processo un comportamento rilevatosi
ingiustificato; tale accertamento, ai fini della condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito e la conseguente pronuncia è sindacabile in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui dette spese, anche solo parzialmente, siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass., 16 giugno 2011, n. 13229; Cass., 4 agosto 2017, n. 19613).
7.2 Ed infatti, la disciplina della condanna alle spese di cui all’art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992 riposa, come la norma RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 91 cod. proc. civ., sul principio della soccombenza, che costituisce espressione del principio di causalità, onde chi abbia dato causa alla necessità dell’introduzione del giudizio con il proprio comportamento rivelatosi contra ius è tenuto alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese anticipate da controparte (Cass., 12 ottobre 2018, n. 25594).
7.3 Peraltro, con riferimento al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti fissati dalle tabelle vigenti (Cass., 21 luglio 2017, n. 18125; Cass.,17 ottobre 2017, n. 24502).
Alla luce di quanto sopra esposto il ricorso principale va accolto e il ricorso incidentale va rigettato; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al ricorso principale, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso principale, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, con onere a carico della società ricorrente in via incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2024.