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Fatturazione fittizia e reddito: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9723/2024, interviene su un caso di fatturazione fittizia nell’ambito di una frode carosello. Una società, operante come “cartiera”, aveva emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. L’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior reddito basandosi sulla presunzione che l’emissione di tali fatture generasse un profitto illecito. La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che il reddito di una società cartiera può essere determinato induttivamente, presuponendo un vantaggio economico pari all’importo delle fatture emesse. La sentenza impugnata è stata cassata per aver erroneamente applicato le norme sulla deducibilità dei costi (tipiche delle fatture passive) a un caso di emissione di fatture attive.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatturazione Fittizia: La Cassazione detta le regole per la tassazione delle società “cartiere”

L’ordinanza n. 9723 del 10 aprile 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione su come deve essere trattata fiscalmente una società che emette fatture per operazioni inesistenti. Il caso esaminato riguarda la complessa tematica della fatturazione fittizia e il ruolo delle cosiddette società “cartiere” all’interno delle frodi IVA, meglio note come “frodi carosello”. La Suprema Corte ha delineato con precisione i principi per la determinazione del reddito imponibile di tali entità, distinguendo nettamente tra l’emissione e l’utilizzo di fatture false.

I fatti di causa: una società filtro in una frode carosello

Il contenzioso nasce da una serie di avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia Fiscale nei confronti di una società a responsabilità limitata, la “Società Legno S.r.l.”, per gli anni d’imposta dal 2006 al 2009. L’amministrazione finanziaria contestava alla società di aver partecipato a una frode carosello nel settore del commercio di legname e pallet.

Secondo le indagini, la Società Legno S.r.l. agiva come società “filtro” o “buffer”. In pratica, si interponeva fittiziamente tra una società fornitrice estera (“Società Fornitrice Estera S.r.o.”) e la società acquirente finale italiana (“Società Destinataria Finale S.r.l.”). Lo scopo era quello di permettere a quest’ultima di beneficiare di un indebito credito IVA, simulando un acquisto nazionale anziché intracomunitario. La Società Legno S.r.l., quindi, non svolgeva una reale attività commerciale, ma si limitava a emettere fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ricevendo in cambio una retrocessione di denaro.

L’Agenzia Fiscale, di conseguenza, aveva proceduto a un accertamento induttivo, recuperando a tassazione non i costi (che non erano contestati in quanto la società era l’emittente), bensì il reddito che si presumeva la società avesse illecitamente percepito per il suo ruolo nella frode.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla fatturazione fittizia

I giudici di merito avevano parzialmente accolto le ragioni della società, creando una certa confusione nell’applicazione delle norme. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia Fiscale, ha cassato la sentenza di secondo grado, ritenendola viziata da nullità per motivazione apparente e contraddittoria.

La presunzione di reddito per chi emette fatture false

Il punto centrale della decisione è il principio secondo cui l’emissione di fatture per operazioni inesistenti genera una presunzione di conseguimento di un corrispondente vantaggio economico. La Corte afferma che “nessuno porrebbe in essere tali comportamenti se non prospettasse a se stesso un fine di lucro”.

Quando una società opera come “cartiera”, il suo reddito illecito può essere determinato sinteticamente, anche prescindendo dalle scritture contabili. L’Amministrazione Finanziaria è autorizzata a utilizzare presunzioni “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, per stabilire il reddito occultato. L’onere di provare che tale vantaggio economico non è stato conseguito, o è stato conseguito in misura minore, spetta al contribuente.

L’errore dei giudici di merito

La Commissione Tributaria Regionale aveva commesso un grave errore logico-giuridico. Pur riconoscendo che la Società Legno S.r.l. era una società fittiziamente interposta che emetteva fatture false (fatture “attive”), aveva poi ragionato come se si trattasse di un caso di utilizzo di fatture false ricevute da altri (fatture “passive”). Aveva quindi erroneamente incentrato la sua decisione sulla non deducibilità dei costi e sulla detrazione dell’IVA, concetti che si applicano a chi utilizza le fatture false, non a chi le emette.

La Cassazione ha chiarito che l’oggetto del recupero fiscale non era il costo indebitamente dedotto, ma la presunzione di reddito derivante dall’aver emesso fatture fittizie, partecipando attivamente alla frode.

Rigettato il ricorso della società

La Suprema Corte ha altresì rigettato tutti i motivi del ricorso incidentale presentato dalla Società Legno S.r.l. In particolare, ha ribadito che:
1. L’eventuale assoluzione in sede penale non ha efficacia automatica nel processo tributario, dove valgono regole probatorie diverse e sono ammesse anche le presunzioni semplici.
2. La questione sulla validità della firma sull’avviso di accertamento era infondata, essendo sufficiente la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un funzionario delegato della carriera direttiva.
3. La decisione dei giudici di merito di rigettare le prove fornite dalla società era da considerarsi un “rigetto implicito”, non un’omessa pronuncia.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra la disciplina fiscale applicabile a chi riceve fatture false e quella per chi le emette. Nel primo caso, la normativa si concentra sul disconoscimento dei costi e dell’IVA. Nel secondo, come quello della società “cartiera”, l’obiettivo è tassare il profitto illecito che si presume derivi dalla partecipazione alla frode. L’ordinamento tributario, basato sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), non ammette una “responsabilità fiscale oggettiva” sui ricavi inesistenti, ma consente di tassare il reddito effettivo, anche se di provenienza illecita. L’accertamento induttivo, basato su presunzioni, è lo strumento corretto per raggiungere questo scopo, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente che ha agito illecitamente.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare le frodi carosello. Viene confermato il principio per cui chi emette fatture fittizie è presunto aver realizzato un reddito pari al valore delle fatture stesse, salvo prova contraria a suo carico. La decisione evidenzia l’importanza di un corretto inquadramento giuridico della fattispecie: un errore nel distinguere tra fatture attive e passive può portare a una motivazione errata e, come in questo caso, alla cassazione della sentenza. La causa è stata quindi rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto per un nuovo esame basato sui principi stabiliti dalla Suprema Corte.

Come viene determinato il reddito di una società “cartiera” che emette fatture false?
Secondo l’ordinanza, il reddito non corrisponde ai ricavi fittizi indicati nelle fatture, ma viene determinato tramite un accertamento induttivo. L’amministrazione fiscale può legalmente presumere che la società abbia conseguito un vantaggio economico o un profitto illecito pari all’importo delle fatture emesse, e spetta al contribuente dimostrare il contrario.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per reati fiscali ha valore anche nel processo tributario?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che una sentenza penale, anche di assoluzione con formula piena, non ha efficacia vincolante automatica nel giudizio tributario. Quest’ultimo ha regole probatorie differenti e ammette l’uso di presunzioni semplici che possono essere sufficienti per fondare un accertamento fiscale, anche se non per una condanna penale.

Qual è la differenza fiscale tra utilizzare una fattura falsa e emetterne una?
La differenza è sostanziale. Chi utilizza una fattura falsa (fattura passiva) subisce il disconoscimento della deducibilità del costo e della detrazione dell’IVA. Chi, come una “cartiera”, emette una fattura falsa (fattura attiva) è soggetto a un accertamento che presume un reddito illecito derivante dalla sua partecipazione alla frode. L’ordinanza si concentra su questa seconda ipotesi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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