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Fatturazione differita: no per società consortili

Una società consortile, operante come centrale acquisti per le sue consorziate, è stata sanzionata per aver utilizzato la fatturazione differita. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale regime derogatorio non si applica in questi casi. Secondo i giudici, il ruolo di semplice intermediario della consortile non complica gli adempimenti IVA al punto da giustificare un ritardo nell’emissione della fattura, che deve avvenire al momento dell’operazione. La sentenza, pur fissando questo principio, ha rinviato il caso al giudice di merito per valutare la proporzionalità delle sanzioni applicate.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatturazione differita: la Cassazione nega l’agevolazione alle società consortili

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2837 del 2024, ha fornito un importante chiarimento sui limiti di applicazione della fatturazione differita in ambito IVA. La decisione riguarda in particolare le società consortili che operano come “centrali acquisti”, stabilendo che queste non possono avvalersi del regime di deroga per posticipare l’emissione delle fatture. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

Il caso: una centrale acquisti e la contestazione sulla fatturazione differita

Una società consortile, attiva nel settore della grande distribuzione, fungeva da “collettore” o “centrale acquisti” per le proprie imprese consorziate. In pratica, la società gestiva gli ordini di beni dai fornitori, i quali poi consegnavano la merce direttamente ai clienti finali delle singole consorziate. In questo schema operativo, la società consortile aveva applicato il regime della fatturazione differita e “super-differita”, emettendo le fatture non al momento della consegna, ma nel mese successivo.

L’Amministrazione Finanziaria ha contestato questa pratica, irrogando sanzioni per tardiva fatturazione. Secondo il Fisco, le condizioni per applicare il regime derogatorio previsto dall’art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972 non erano soddisfatte. La controversia è giunta fino in Cassazione dopo che sia la Commissione Tributaria Provinciale sia quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate.

L’interpretazione della norma sulla fatturazione differita e il ruolo della consortile

Il cuore del dibattito legale era l’interpretazione del termine “cessioni effettuate a terzi dal cessionario per il tramite del proprio cedente”, contenuto nella norma che disciplina la fatturazione differita nelle operazioni triangolari. La società ricorrente sosteneva che la ratio della norma, ovvero concedere più tempo per la fatturazione in operazioni complesse con più soggetti, dovesse applicarsi anche al suo caso, che di fatto coinvolgeva quattro parti (fornitore, consortile, consorziata, cliente finale).

La Corte di Cassazione ha però respinto questa interpretazione estensiva. I giudici hanno sottolineato come la voluntas legis (la volontà del legislatore) sia quella di agevolare l’adempimento in situazioni in cui la circolazione documentale e delle informazioni tra i soggetti rende oggettivamente complesso rispettare i termini ordinari di fatturazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte, il ruolo della società consortile nel caso di specie è quello di un mero intermediario, un “collettore d’ordini” che opera per spuntare prezzi migliori. Questa funzione, sebbene aggiunga valore economico, non introduce una complessità materiale nel processo di scambio della merce che giustifichi una deroga ai termini ordinari di fatturazione IVA. La consegna avviene direttamente dal fornitore al cliente affiliato, e la società consortile non svolge alcun ruolo logistico o materiale che possa ritardare il flusso di informazioni necessarie per fatturare.

Di conseguenza, consentire alla società consortile di utilizzare la fatturazione differita creerebbe un ingiustificato vantaggio economico. Posticipare l’emissione della fattura significa, infatti, posticipare il versamento dell’IVA relativa. Questo si traduce in un ritardo nel pagamento dell’imposta che è assimilabile a una forma di accesso al credito a danno dell’Erario, alterando le dinamiche di mercato rispetto ad altri operatori economici che non hanno una struttura consortile.

La Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: per le società consortili con funzione di collettore di acquisti, con consegna diretta dei beni dai fornitori ai clienti finali delle consorziate, vige la regola generale. La fattura deve essere emessa al momento di effettuazione dell’operazione, e non è consentito il ricorso né alla “fatturazione differita” né a quella “ultra-differita”.

Le conclusioni: la proporzionalità delle sanzioni

Pur confermando la non applicabilità del regime di favore, la Corte ha accolto parzialmente il ricorso su un altro fronte. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio limitatamente al profilo della proporzionalità delle sanzioni. Il giudice del rinvio dovrà quindi riesaminare l’importo delle sanzioni applicate alla luce dei principi comunitari, in particolare quelli di proporzionalità e ragionevolezza, valutando la natura e la gravità dell’infrazione. In sostanza, la violazione c’è stata, ma la sanzione deve essere equa e non eccessiva rispetto all’obiettivo di garantire la corretta riscossione dell’IVA e prevenire l’evasione.

Una società consortile che funge da “centrale acquisti” può utilizzare la fatturazione differita?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una società consortile che agisce come semplice collettore di ordini, senza un coinvolgimento materiale nella logistica dei beni (consegnati direttamente dal fornitore al cliente finale), deve emettere la fattura al momento dell’effettuazione dell’operazione, non potendo avvalersi dei regimi di fatturazione differita o super-differita.

Perché la Corte di Cassazione ha escluso l’applicazione della fatturazione differita in questo caso?
La Corte ha ritenuto che il ruolo di intermediario della società consortile non complichi gli adempimenti di fatturazione al punto da giustificare una deroga ai termini ordinari. Concedere tale possibilità creerebbe un ingiustificato vantaggio economico, equivalente a un ritardo nel pagamento dell’IVA, che violerebbe il principio di neutralità fiscale e altererebbe la concorrenza.

Qual è l’esito finale della sentenza per l’azienda?
La Corte ha stabilito che l’azienda ha violato le norme sulla fatturazione, quindi la contestazione dell’Agenzia delle Entrate è corretta nel merito. Tuttavia, ha annullato la sentenza precedente e ha rinviato il caso a un altro giudice per una nuova valutazione dell’importo delle sanzioni, che dovranno essere conformi al principio di proporzionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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