Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10693 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 10693 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5973/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale pro tempore
-intimata- avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA, SEZ.DIST. CATANIA n. 3867/2015 depositata il 15/09/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi secondo, terzo e quinto del ricorso, rigettati i restanti; uditi per la ricorrente l’Avv. NOME COGNOME e per l’intimata, che si è costituita al solo fine di partecipare alla discussione, l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’Agenzia delle Entrate di Catania, a seguito di attività di verifica fiscale da parte del Comando Nucleo Polizia Tributaria di Catania, emetteva avviso di rettifica con il quale contestava alla società RAGIONE_SOCIALE in relazione all’anno di imposta 2003, l’omessa fatturazione IVA di operazioni imponibili per euro 552.221,70, l’indeducibilità delle perdite da immobilizzazioni per euro 340.061,00, l’indeducibilità accantonamento Fondo rischi su crediti per euro 123.033,66, la non competenza delle spese legali per euro 55.162,41, la non inerenza delle spese per sponsorizzazioni e spese varie per euro 58.026,67, la non competenza delle spese per sponsorizzazioni per euro 17.373,43, l’indebita detrazione Iva su poste recuperate per euro 10.934,61, l’indeducibilità delle spese di rappresentanza per euro 7.511,15 e indeducibilità della quota di ammortamento di euro 4.094,90.
L’atto impositivo veniva impugnato dalla Società odierna ricorrente e l’adita Commissione tributaria provinciale di Catania accoglieva il ricorso, ritenendo che la società avesse dimostrato, documentalmente e puntualmente, quanto dedotto nell’atto introduttivo.
La decisione, impugnata dall’Agenzia delle Entrate, veniva parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. distaccata di
Catania (d’ora in poi C.T.R), che respingeva l’appello limitatamente alla ripresa a tassazione della somma di euro 4.094,90, quale quota di ammortamento illegittimamente ritenuto dall’Ufficio non deducibile, accogliendo nel resto il gravame.
3. La C.T.R. riteneva, quanto alle svalutazioni da immobilizzazioni, non convincenti le argomentazioni addotte dalla società, la quale non aveva specificato se esistesse o meno un fondo di ammortamento, né spiegato perché, dovendo procedere alla svalutazione, erano ciò nonostante state sostenute notevoli spese nell’anno 2003. Il procedimento seguito dalla società non era corretto, né dal punto di vista civilistico, né dal punto di vista fiscale, non potendosi far gravare l’intero onere su un solo esercizio e non avendo preventivamente provveduto a costituire il relativo fondo.
Relativamente alle spese legali ‘non di competenza’, osservava che trattavasi di prestazioni relative a più anni, per le quali doveva essere precostituito un apposito fondo spese, in modo da ripartire l’onere nei vari anni e non gravare solo al momento del pagamento.
Con riguardo alle spese per sponsorizzazioni, liberalità e spese pubblicitarie, ritenute non di competenza o non inerenti, la società non aveva dimostrato nessuno dei suddetti requisiti. Stessa carenza di giustificazione e documentazione si riscontrava anche per le spese di rappresentanza, che avrebbero dovuto risultare dalle parcelle dei professionisti e ciò valeva anche per i dipendenti, in relazione ai quali non vi era nota giustificativa. Di conseguenza, anche la detrazione Iva risultava indebita.
In merito al ‘fondo svalutazione crediti’ riteneva non convincenti le argomentazioni della società volte a giustificare il superamento del limite del 5% del valore dei crediti e ciò anche in considerazione del fatto che tale limite era già stato abbondantemente superato.
Infine, quanto all’omessa fatturazione di operazioni imponibili, secondo la C.T.R. la tesi della società non era condivisibile, non risultando applicabili le invocate deroghe alla disciplina, atteso che l’art. 6, comma 3, del D.P.R. 633/72 si riferiva solo alla prestazione di servizi.
Avverso la sentenza la Società ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita in giudizio nel termine di legge, ma l’Avvocatura dello Stato, in data 6.5.2016, si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione. La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Vanno preliminarmente dichiarati inammissibili i motivi, contenuti nella memoria illustrativa depositata in data 27.2.2025, relativi ai recuperi concernenti spese varie, sponsorizzazioni, indebite detrazioni iva e spese di rappresentanza, non oggetto delle censure di cui ai numeri da 2 a 5 del ricorso, atteso che l’art. 378 del codice di procedura civile consente alle parti di depositare sintetiche note illustrative, intendendosi per tali memorie riferite esclusivamente ai motivi contenuti nel ricorso per cassazione originario. Tali memorie non possono dunque costituire l’occasione per dedurre nuove censure o sollevare nuove questioni, né può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari del ricorso, fatto salvo il caso in cui si tratti di questioni rilevabili d’ufficio, la cui risoluzione non richieda alcun accertamento nel merito, ipotesi non ravvisabile nel caso di specie. 2.Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la nullità della sentenza per « violazione degli artt. 132, co. 2 e 156 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, comma 2, D.L.vo n. 546/1992 e 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62 D.L.vo n. 546/1992» , ritenendo meramente apparente la motivazione adottata dalla C.T.R., in quanto a suo dire del tutto
priva di riferimento sia alle censure mosse dall’Ufficio alla sentenza della C.T.P., sia alle specifiche controdeduzioni opposte dalla società, oltre che apodittica ed infarcita di espressioni generiche, così rendendo impossibile l’individuazione di qualsiasi ratio decidendi sulle singole questioni effettivamente controverse, oltre a concludersi con un abnorme dispositivo di sostanziale rigetto dell’originario ricorso. La fondatezza della censura sarebbe indirettamente confermata dai restanti motivi, con i quali si denunciano violazioni di legge relative ai recuperi indicati in ciascuno dei motivi da 2 a 5.
2.1.La doglianza è in parte infondata ed in parte inammissibile.
Quanto al dispositivo della sentenza impugnata (‘ in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio ed in riforma della sentenza impugnata, accoglie l’originario ricorso solo con riguardo alla ripresa relativa alla parziale deducibilità della quota di ammortamento pari ad euro 4.094,90; rigetta nel resto. Spese compensate’ ), esso non può essere definito abnorme, atteso che il giudizio di appello ha ad oggetto proprio le domande formulate in primo grado, seppure nei limiti di quanto devoluto con i motivi di gravame.
Nel resto, il motivo appare inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo esigibile che la Corte ricerchi negli altri motivi di ricorso, peraltro tutti sussunti nella categoria del vizio di error in iudicando , le ragioni per le quali la motivazione della sentenza dovrebbe ritenersi meramente apparente e/o apodittica.
In ogni caso, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 17 aprile 2014) hanno interpretato la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimit à̀ sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola ” anomalia motivazionale che
si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in s é , purch é il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione” .
Come successivamente ribadito, sempre, dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 22232 del 3 novembre 2016): ‘ la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perch é́ affetta da error in procedendo, quando, bench é́ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perch é́ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le pi ù varie, ipotetiche congetture >>.
2.3.Nel caso di specie, la motivazione oltre che graficamente esistente, soddisfa i requisiti imposti dalla Costituzione, dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 36 del decreto legislativo n. 546/92, essendo chiaro il percorso logico giuridico sotteso alle statuizioni, ciascuna delle quali dedicata alle singole questioni controverse.
3.Con il secondo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e dell’art. 62 D.L.vo 546/1992 – « la violazione e falsa applicazione degli articoli 6, 21 e 54 del D.P.R. 633/1972, nonché 2967 c.c., nel capo relativo ad asserite operazioni IVA non fatturate per euro 552.217,03».
La società ricorrente assume al riguardo che, contrariamente a quanto argomentato dalla C.T.R., la gestione del servizio idrico cittadino concretizza una prestazione di servizio soggetta alla regola, identica per le somministrazioni periodiche o continuative di
beni, per la quale le operazioni ai fini IVA si considerano compiute all’atto del pagamento del corrispettivo di tal che la C.T.R., nella pacifica assenza di prove o indizi di pagamenti non fatturati ed in presenza della dimostrazione (mediante i mastrini prodotti quale allegato n. 6 del ricorso introduttivo) dello stralcio, nell’anno 2005, dei crediti verso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, che da soli costituivano circa l’ottanta per cento del complessivo rilievo, avrebbe dovuto ritenere illegittimo il recupero operato dall’A.F..
3.1.Il motivo è fondato nei limiti che seguono.
La gestione del servizio idrico costituisce in effetti una prestazione di servizi e come tale è riconducibile alla fattispecie disciplinata dal comma 3 dell’art. 6 del D.P.R. 633/1972.
Tuttavia, di recente, questa Corte, nella sentenza n. 9064/2021, in fattispecie analoga, ha avuto modo di ricordare che le sezioni unite (con sentenza 21 aprile 2016, n. 8059) hanno evidenziato la distinzione tra fatto generatore dell’imposta, da cui scaturisce l’obbligazione tributaria, esigibilità, ossia attitudine attuale dell’imposta ad essere pretesa da parte dell’erario, e pagamento. Il fatto generatore di norma coincide con l’esigibilità, ma ne rimane ontologicamente distinto, giacché esso s’identifica con l’espletamento dell’operazione. Il fatto generatore determina l’imponibilità, cui si ricollegano gli effetti previsti dalla disciplina del tributo; e l’imponibilità è indice di capacità contributiva, sicché va necessariamente riferita, nella prospettiva degli artt. 3 e 53 Cost. e per l’esigenza di non trattare differentemente situazioni uguali, a un dato oggettivo omogeneo e insuscettibile di variazioni determinate da scelte casuali e soggettive. Il che non accadrebbe, ove si ritenesse che l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633/72 costruisca il pagamento come fatto generatore dell’imposta, giacché, in tal caso, l’imponibilità a fini iva sarebbe, irrazionalmente, destinata a mutare non solo in rapporto alla tipologia delle operazioni imponibili, ma anche all’interno di
ciascuna di esse, nonché in funzione dell’opzione dell’operatore (che eventualmente anticipi il momento impositivo con l’emissione della fattura). In questo contesto, e con riguardo alla normativa italiana, la giurisprudenza unionale ha stabilito che l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633/72, là dove attribuisce rilevanza a fini impositivi, quanto alle prestazioni di servizi, al dato del pagamento del relativo corrispettivo, non contrasta con l’art. 10 della sesta direttiva «in quanto questa disposizione, pur identificando il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, consente tuttavia agli Stati membri di stabilire che l’imposta diventi esigibile, per tutte le prestazioni, solo con l’incasso del corrispettivo» (Corte giust. 26 ottobre 1995, causa C-144/94). La norma nazionale deve quindi essere necessariamente intesa nel senso che la ficta identificazione con il pagamento del corrispettivo («le prestazioni di servizio si considerano effettuate…») investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilità dell’imposta: ove ne risultassero coinvolte anche l’imponibilità e, quindi, l’insorgenza dell’obbligazione tributaria, la disposizione sarebbe incompatibile con il diritto unionale. Significativo riscontro si ha anche nell’art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 633/72 (nel testo applicabile all’epoca dei fatti), che, ai fini della territorialità delle prestazioni di servizi, e quindi dell’imponibilità di esse in Italia, si riferisce pur sempre alla loro esecuzione («…quando sono rese a…»). L’esecuzione della prestazione comporta dunque l’insorgenza dell’obbligazione tributaria; e l’insorgenza dell’obbligazione si traduce nell’insorgenza degli obblighi propri della disciplina del tributo. In particolare, ai fini dell’iva, tra questi obblighi v’è quello di fatturazione; in relazione a quest’obbligo il pagamento del corrispettivo è soltanto l’«estremo limite temporale per l’adempimento» (ancora Cass., sez. un., n. 8059/16, cit.). In definitiva, l’obbligo sorge con l’esecuzione della prestazione, anche se ai fini dell’adempimento è fissato in favore
dell’obbligato termine fino al pagamento del corrispettivo. È proprio la fatturazione, d’altronde, che propizia il funzionamento del meccanismo dell’iva, in quanto consente al soggetto passivo del tributo di addebitarne il peso economico all’acquirente/committente: lo stabilisce l’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, a norma del quale «il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente», e se ne trae conferma dal successivo art. 21, comma 2, il quale prescrive che la fattura deve contenere l’indicazione dell’imposta separatamente rispetto a quella del corrispettivo della cessione o della prestazione (sul ruolo fondamentale della fattura nel sistema dell’iva vedi anche Corte cost. 18 aprile 2019, n. 95, punto 5). Anche la base imponibile d’altro canto è determinata dal corrispettivo dovuto al prestatore secondo le condizioni contrattuali (art. 13 del d.P.R. n. 633/72), in conformità alla norma unionale (art. 73 della direttiva iva, che riproduce la parte corrispondente dell’art. 11 della sesta direttiva), che si riferisce al «corrispettivo versato o da versare …al prestatore…». Va allora ribadito che l’orientamento (espresso di recente da Cass. 23 gennaio 2020, n. 1468) secondo il quale le prestazioni di servizi si considerano effettuate soltanto all’atto del relativo pagamento, cosicché prima di tale momento non sussiste alcun obbligo, ma solo la facoltà di emettere fattura, non è allineato alle sezioni unite e alla giurisprudenza unionale (lo rimarcano, da ultimo, Cass. 19 novembre 2020, n. 26319 e 24 novembre 2020, n. 26650, punto 3.5). Questa ricostruzione trova addentellati anche in altri comparti. Giustappunto configurando l’esecuzione della prestazione di servizi come fatto generatore dell’obbligazione tributaria questa Corte ha escluso difatti, con indirizzo consolidato, che, in caso di procedure fallimentari, il pagamento e la conseguente fatturazione avvenuti in corso di
procedura della prestazione di un professionista che sia stata svolta prima della procedura comporti la qualificazione come debito di massa del credito di rivalsa dell’iva ex art. 111, comma 2, L.fall. (tra varie, Cass. 17 gennaio 2017, n. 1034 e 14 marzo 2018, n. 6245). Di questa giurisprudenza ha dato conto anche la Corte costituzionale (con la sentenza 3 gennaio 2020, n. 1), la quale ha rimarcato che il legislatore ha risposto all’esigenza di protezione delle retribuzioni di professionisti e lavoratori autonomi prevedendo, con la legge di bilancio per l’anno finanziario 2018 (art. 1, comma 474, I. n. 205 del 2017), che il credito avente ad oggetto il corrispettivo del servizio del «professionista» e il credito per rivalsa dell’iva hanno lo stesso privilegio generale sui mobili, proprio prendendo atto della loro natura concorsuale e non prededucibile. Su altro versante, a proposito della prestazione dell’appaltatore, si sottolinea (Cass. 3 novembre 2016, n. 22276) che l’appaltatore deve emettere, per l’ammontare del corrispettivo dovutogli, una fattura, che rappresenta, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore anche del credito per la rivalsa.
Nella pronuncia sopra citata (Cass. n. 9064/2021) è stata pertanto ritenuta ambigua la circostanza, su cui si punta anche nel presente ricorso, che le prestazioni non sono state fatturate perché non pagate, ricordando che la giurisprudenza unionale, con la richiamata sentenza concernente la normativa italiana, ha ammesso che il regime in questione, che consente al prestatore e al committente di scegliere il momento dell’esigibilità in funzione dei loro interessi, non impedisce le frodi; ma a limitare i casi in cui il pagamento è rinviato allo scopo di ritardare il momento dell’esigibilità dell’imposta, ha aggiunto, vi sono l’interesse del prestatore a ricevere il pagamento del servizio reso e il fatto che il diritto di detrarre l’imposta nasce appunto quando questa diviene esigibile (punto 20 della sentenza in causa C-144/94, cit.).
3.2.Questi parametri, che qui si condividono, comportano dunque la necessità di un approfondimento, in relazione alle circostanze di fatto emerse in giudizio, occorrendo verificare, anche in considerazione del tempo trascorso dall’espletamento delle prestazioni, se queste modalità (contabilizzazione al 31.12.2002 di crediti per fatture da emettere, relativi a prestazioni rese in anni antecedenti il 2003) abbiano comportato la sottrazione della contribuente all’obbligo di fatturazione o siano state finalizzate a tale scopo, evidenziando, per conseguenza, elementi idonei a stabilire, a norma dell’art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 633/72, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, «…l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati…» .
3.3. Il motivo va quindi accolto e la sentenza cassata per il profilo corrispondente, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. distaccata di Catania, in diversa composizione, affinché riesamini la questione, attenendosi ai seguenti principi di diritto: 1. ” In materia di iva, il fatto generatore dell’obbligazione tributaria, che comporta l’obbligo di fatturazione, in caso di prestazione di servizi è costituito dalla materiale esecuzione della prestazione, laddove il pagamento del corrispettivo identifica esclusivamente il momento di esigibilità dell’imposta, ossia quello di riscossione, nonché, in relazione a quanto previsto dall’art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, il termine per l’adempimento dell’obbligo di emettere la fattura “. 2. “In materia di iva, l’amministrazione finanziaria che, a fronte di indicazioni contabili che prevedano l’annotazione di prestazioni di servizi dapprima in un conto “fatture da emettere” e poi in un conto relativo a crediti da riscuotere, contesti l’omessa fatturazione delle operazioni, ha l’onere di provare, anche sulla base di elementi presuntivi, che il pagamento, pure per equivalente, è stato in realtà compiuto,
oppure che il contribuente intende sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di fatturazione e di assolvimento dell’imposta, anche in considerazione del tempo trascorso dall’esecuzione dell’operazione, attesi l’interesse del prestatore a ricevere il pagamento rapido del prezzo e la correlazione del diritto di detrazione all’esigibilità dell’imposta” .
4.Con il terzo mezzo di gravame la società ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e dell’art. 62 D.L.vo 546/1992 -« la violazione e falsa applicazione degli artt. 66, comma 3 e 75, comma 1 (oggi articoli 101, comma 5 e 109, comma 1) del D.P.R. 917/1986, in relazione alla negata deducibilità della ‘svalutazione immobilizzazioni’ per euro 340.061,00» . Lamenta, al riguardo, che la C.T.R., in violazione del divieto di nova in appello, avrebbe dato illegittimamente ingresso al motivo di gravame con cui l’Agenzia delle Entrate assumeva l’erroneità della pronuncia di primo grado per non aver considerato che, con l’abbandono del progetto PSAIC da parte di essa società, le spese sostenute e patrimonializzate in anni precedenti avevano acquisito nell’anno 2003 la natura di vero e proprio costo e che per quelle sostenute nel 2003 non esisteva la prova che i pagamenti fossero stati effettuati nello stesso anno. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, la C.T.R., sorvolando su quanto sostenuto dalle parti in causa, avrebbe confermato la legittimità del recupero a tassazione, mediante argomentazioni del tutto estranee agli obiettivi termini del rilievo, inconferenti e comunque giuridicamente errate.
4.1. Il motivo è inammissibile. L’assunto secondo cui la C.T.R. avrebbe consentito alla parte appellante di violare il divieto di nova in appello e di poi accolto il gravame dell’Ufficio sulla base di argomentazioni del tutto estranee agli obiettivi termini del rilievo dà luogo al vizio di error in procedendo ed è pertanto incompatibile con la deduzione di un error in iudicando . La società ricorrente,
peraltro, non specifica sotto quale profilo il motivo di appello formulato dall’Agenzia delle Entrate dovrebbe integrare una violazione del suddetto divieto rispetto alle difese articolate in primo grado.
5.Con il quarto motivo, la società RAGIONE_SOCIALE denuncia – ai sensi degli artt. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e 62, D.L.vo 546/1992 -« la violazione e falsa applicazione dell’art. 71 (oggi art. 106) del D.P.R. n. 917/1986, in relazione alla negata deducibilità dell’accantonamento al Fondo rischi su crediti per euro 123.033,66 .»
Deduce al riguardo che, a fronte delle contestazioni mosse nel ricorso di primo grado, che trascrive, l’A.F. nulla aveva obiettato e che poi, nell’atto di appello, la stessa A.F. si sarebbe limitata a ricopiare acriticamente quanto affermato dai verificatori. La C.T.R., nonostante essa società avesse evidenziato la mancata contestazione della sostanza del discorso in punto di deducibilità, travisava il tenore delle sue difese, interpretandole come un tentativo di giustificare il superamento del limite del 5% del valore dei crediti, laddove invece essa società aveva sostenuto che tale limite non era stato affatto superato, in quanto negli anni 1997, 1998 e 1999 aveva natura giuridica di Ente ed era dunque totalmente esclusa dall’area dei soggetti passivi di imposta, ai sensi dell’art. 66, comma 14, della legge n. 427/1993, in virtù dell’art. 88, comma 1, TUIR, sicchè gli accantonamenti al Fondo rischi del suddetto triennio non potevano essere computati.
5.1. Il motivo è infondato.
Premesso che l’interpretazione del tenore dell’atto introduttivo e dunque anche dell’atto di appello è riservato al giudice del merito e che il motivo di gravame formulato dall’Agenzia delle Entrate, che la C.T.R., secondo la tesi della ricorrente, avrebbe esaminato nonostante inammissibile, non risulta trascritto in ricorso, né il suo contenuto è evincibile dalla sentenza impugnata, occorre ricordare
che il ‘principio di non contestazione’ attiene, com’è noto, alle allegazioni in fatto e non alle valutazioni giuridiche ( deducibilità/non deducibilità di un costo, computabilità o meno di un accantonamento).
5.2.Si desume dalla motivazione della sentenza impugnata che la C.T.R., contrariamente a quanto sostiene la società ricorrente, ha dato atto dell’oggettivo superamento del limite del 5% del valore dei crediti ed ha valutato non convincenti le giustificazioni addotte dalla società, che miravano appunto a sostenere la non computabilità dei crediti relativi agli anni 1997, 1998 e 1999, ritenendo pertanto, implicitamente, che i relativi accantonamenti dovessero invece essere presi in considerazione.
5.3.Il giudice del gravame, a parere della Corte, non ha pertanto travisato i termini della questione e la statuizione appare conforme a diritto, posto che il temporaneo regime di esenzione dall’imposta non incideva sull’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili. Il fondo rischi su crediti, detto anche fondo svalutazione crediti, è infatti una voce dello stato patrimoniale che rettifica il valore dei crediti.
Ed anche le scritture contabili degli enti locali sono soggette ai principi di unità, annualità, universalità, integrità, veridicità ed attendibilità, pareggio finanziario e pubblicità. Ne consegue che il difetto della qualità di soggetto passivo di imposta, secondo il regime fiscale proprio degli enti territoriali, nel periodo in contestazione, non appare conferente.
6.Con il quinto ed ultimo mezzo di gravame si denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e dell’art. 62, D.L.vo n. 546/1992 -« la violazione e falsa applicazione degli articoli 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 600/1973, 2729 c.c. e 75, commi 1 e 2, del D.P.R. N. 917/1986, in relazione alla negata deducibilità delle spese legali per euro 55.162,41» , per essere le prestazioni asseritamente ultimate in anni precedenti a quello oggetto di
verifica e quindi non di competenza dell’anno 2003. Assume la società che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva obiettato nulla in primo grado in merito a quanto sostenuto da essa ricorrente nel ricorso introduttivo, mentre in sede di gravame aveva ‘abbinato’ tale recupero a quello concernente le spese per sponsorizzazioni, affermando che il principio di competenza avrebbe imposto ‘di ricercare al massimo la corrispondenza, in ciascun esercizio, tra ricavi e proventi da una parte e costi ed oneri dall’altra relativi alle medesime operazioni contabilizzate ‘. La C.T.R., a sua volta, travisando i termini della questione, statuiva che « trattasi di prestazioni relative a più anni per le quali……. doveva essere precostituito un apposito fondo spese in modo da ripartire gli oneri nei vari anni ….’.
6.1. Il motivo è infondato.
Premesso che a pagina 3 dell’odierno ricorso la società ha affermato, al punto 5) dell’elenco delle contestazioni, che il rilievo riguardava la violazione del criterio di ‘competenza’, va osservato che il giudice del merito, per come si evince dalla motivazione della sentenza, riportata parzialmente in ricorso, ha chiaramente inteso affermare che il momento del pagamento non era rilevante, occorrendo invece ripartire le spese nei vari anni in cui le prestazioni erano state ultimate, statuizione che appare giuridicamente corretta.
6.2.Ed invero, i costi relativi alle spese legali sono deducibili nell’esercizio se è provata l’ultimazione della prestazione del professionista (almeno fino a quel momento) ed è il contribuente a dover dimostrare tale circostanza (Cassazione n. 12127 del 14.4.2022). Sono pertanto irrilevanti la ricezione ed il pagamento della fattura. La società ricorrente non deduce che le prestazioni professionali di cui alle fatture contestate fossero state ultimate nell’anno 2003, limitandosi a generiche affermazioni sulle attività che l’avvocato può svolgere dopo il deposito di una sentenza.
7. In conclusione, la sentenza va cassata in relazione all’unico motivo accolto e rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione; rigetta nel resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19.3.2025.