Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 443 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 443 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
Oggetto: abuso del diritto/elusione – evasione riqualificazione – contraddittorio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23788/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL ) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n.1510/2/17 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 22.3.2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva parzialmente accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 11960/52/15, con la quale il giudice aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’ avviso di accertamento n. TK50CM100194/2013, avente ad oggetto per l’anno di imposta 2009 maggiore IRES e IVA, oltre a sanzioni e interessi.
Le riprese ad imposizione traevano origine da una verifica fiscale nei confronti della società, conclusa con la redazione del processo verbale di constatazione del 4 luglio 2012. Veniva contestato alla società di aver architettato una frode carosello, realizzata con una condotta qualificata come abusiva del diritto, al fine di far figurare costi da portare in detrazione e in deduzione dalla base imponibile.
In sintesi, la contribuente operava nel settore dell’ information technology e costituiva società ad hoc (cd. newco ) alle quali solo formalmente venivano assegnate risorse umane, in parte provenienti dalla stessa RETIS, le quali, di fatto, svolgevano alle dipendenze della contribuente plurime prestazioni d’opera, trasformate in prestazioni di servizi. Venivano maggiorati e trasferiti i costi da personale dipendente in capo alle società satelliti, le quali fatturavano le prestazioni alla RETIS sino a quando, dopo alcuni anni, venivano sistematicamente dismesse mediante trasferimento delle quote sociali e riduzione del loro debito verso l’erario mediante una serie di dichiarazioni rettificative. Venivano così fatturate dalle società satelliti alla contribuente ingenti prestazioni di servizi con il triplice vantaggio fiscale per la RETIS di ottenere:
a) ai fini IRES, la rappresentazione di costi maggiori pari alla differenza del costo del personale sostenuto dalle società satelliti e il costo delle prestazioni fittiziamente rese alla contribuente e da questa portata in deduzione ai fini fiscali, oggetto di ripresa nel presente processo;
ai fini IRAP, la deduzione dell’intero costo del personale;
ai fini IVA, l’indebita detrazione sulle fatture relative alle prestazioni di servizi resi dalle società satellite, oggetto di ripresa nel presente processo.
In ultima analisi, la ricorrente realizzava una condotta antieconomica sul piano industriale, dal momento che moltiplicava i costi per le prestazioni suddette, operazione qualificata dall’Amministrazione finanziaria come abusiva del diritto/elusiva.
Il giudice di prime cure accoglieva la preliminare e assorbente doglianza della società di violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’art. 37bis , comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, ossia per mancata instaurazione del contraddittorio rafforzato ivi procedimentalizzato, e articolato nella richiesta di chiarimenti, nell’acquisizione delle eventuali osservazioni presentate dal contribuente e nella successiva motivazione circa il ravvisato fine elusivo delle operazioni effettuate. Secondo il giudice di primo grado, la suddetta garanzia del contraddittorio valeva non soltanto per le fattispecie elusive tipizzate nella norma, ma, a maggior ragione, anche per l’ipotesi meno prevedibile dell’elusione/abuso del diritto non codificato qual era ritenuto essere il caso di specie.
Il giudice d’appello, al contrario, per quanto qui interessa, riteneva superabile la questione preliminare, affermando che nel caso di specie non fosse necessario il contraddittorio preventivo previsto dall’art. 37-bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , e decideva la causa nel merito. Il giudice riteneva dimostrata la partecipazione della contribuente alla frode fiscale, ma, ciò nonostante, riteneva che comunque le norme in pa-
rola non consentissero il recupero dell’IVA detratta dalla contribuente, benché pienamene cosciente della condotta delle società partecipate, confermando le sole riprese per le imposte dirette. Infine, il giudice accoglieva, su concorde prospettazione dell’Agenzia, la richiesta della società di applicazione del cumulo giuridico e la continuazione in luogo del cumulo materiale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per Cassazione l’Agenzia , affidato ad un unico motivo, al quale la contribuente ha replicato con controricorso e ricorso incidentale per un motivo.
Considerato che:
In primo luogo, dev’essere scrutinata e disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per mancata esposizione sommaria dei fatti della causa, poiché a differenza di quanto ritiene la controricorrente, l’atto contiene gli elementi essenziali dei fatti di causa, compendiati nelle prime pagine del ricorso che sintetizzano l’oggetto del contendere, i principali snodi processuali occorsi, le difese delle parti. Inoltre, in dipendenza dell’unica censura proposta, l’Agenzia individua anche il pertinente capo della decisione impugnata e riassume quella che è la ragione della decisione, soddisfando i requisiti dell’art. 366, comma 1, n. 3, cit..
In via preliminare su di un piano logico, va quindi esaminato l’unico motivo di ricorso incidentale perché afferente a questione procedimentale e quindi, se accolto, suscettibile di paralizzare l’esame del ricorso principale relativo al merito del contendere.
2.1. Con un unico motivo la ricorrente incidentale, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., censura la sentenza di appello, per aver mancato di riconoscere che nella fattispecie l’Amministrazione finanziaria avrebbe violato l’art. 37-bis, comma 4 del d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973 nonché il generale divieto di abuso del diritto e delle relative garanzie, per aver omesso l’invio della preventiva richiesta di chiarimenti previsto dalla menzionata
disposizione di legge, con conseguente illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
La censura è infondata.
3.1. Nel caso di specie, la ricostruzione del fatto alla base dell’avviso di accertamento e confermata dal giudice d’appello, sintetizzata nella prima parte della presente decisione, è logica e coerente e non pu ò̀ essere rivalutata in sede di legittimit à̀ . Il Collegio non ne condivide però la qualificazione giuridica in termini di abuso del diritto/elusione, poiché le contestazioni sono chiaramente dirette a contrastare l’evasione fiscale.
Affinché operi la clausola antielusiva occorre che la società faccia un utilizzo improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia realizzato allo scopo specifico, seppure non esclusivo, di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale. Al contrario, nel presente caso, dalla contestazione operata dall’Agenzia non emerge un uso distorto della normativa fiscale o del singolo strumento negoziale, in quanto la fattispecie ha riguardato una artificiosa moltiplicazione di costi da parte della contribuente attraverso il ricorso a società ad hoc fittizie cui è stato assegnato solo formalmente il proprio personale e che hanno fatturato le prestazioni come cartiere. Le prestazioni d’opera/servizi, sulla base della contestazione dell’Amministrazione finanziaria, sono state effettivamente realizzate, ma tra soggetti diversi da quelli che risultano dalla relativa documentazione contabile. Le prestazioni d’opera , secondo la prospettazione dell’Agenzia, sono state realizzate da personale in parte proveniente dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, e non realmente dalle società satelliti, che si sono limitate a fatturare le prestazioni come servizi. Solo sulla carta sarebbero state assegnate risorse umane a tali società, che poi sono state sistematicamente dismesse con riduzione del debito fiscale verso l’erario . La condotta antieconomica contestata alla contribuente come realizzata allo scopo di detrarre l’IVA e dedurre i maggiori costi dalla base imponibile, segue perciò uno schema che va sicuramente ricondotto al fenomeno dell’evasione.
3.2. Il giudice del rinvio terrà conto che, affinché operi la clausola antielusiva, occorre che la società contribuente faccia un utilizzo improprio o distorto della normativa fiscale o dello strumento negoziale e che tale uso sia realizzato allo scopo specifico, seppure non esclusivo, di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale; tali condizioni non sussistono nella presente fattispecie, in cui è contestata alla contribuente l’ artificiosa moltiplicazione di costi attraverso il ricorso a società ad hoc fittizie cui è stato assegnato solo formalmente anche proprio personale e che, come cartiere, le hanno fatturato prestazioni di servizi, anziché d’opera, consentendo la detrazione dell’IVA e la deduzione dei costi per il personale dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette, fattispecie da qualificarsi come evasiva delle imposte.
3.3. Ne deriva che l’invocato art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 giustamente non è stato ritenuto applicabile dal giudice d’appello, seppure dev’essere corretta la motivazione ex art.384, u.c., cod. proc. civ. in quanto la riconduzione della fattispecie concreta alla disciplina dell’abuso del diritto/elusione non è pertinente, errore del resto commesso dalla stessa Amministrazione finanziaria.
Non vi sono ostacoli particolari alla riqualificazione della fattispecie da elusiva/abusiva. In un precedente relativo all’interpretazione di fattispecie negoziale (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza n. 27550 del 30/10/2018) la Corte ha già operato un simile procedimento ermeneutico sussumendo il fatto nell’evasione e, nel presente ricorso, per effetto della riqualificazione non si realizza alcun nocumento al diritto di difesa, non solo perché i fatti posti a base dell’accertamento restano intatti e muta solo la sussunzione giuridica, ma anche in quanto nessuna lesione del contraddittorio endoprocedimentale è avvenuta nella fattispecie, riqualificata come evasione fiscale.
4.1. Al proposito il Collegio rammenta che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il vizio dell’avviso di accertamento derivante dall’inosservanza del termine dilatorio per il contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 12,
comma 7, l. n. 212 del 2000, non è rilevabile d’ufficio e dev’essere contestato dal contribuente nel ricorso introduttivo, riguardando la violazione di una norma posta a difesa del diritto dello stesso contribuente al pieno dispiegarsi del contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 22549 del 18/07/2022). Nondimeno, la questione del rispetto del contraddittorio procedimentale è stata introdotta dalla contribuente nel presente processo in primo grado, sia pure sotto l’angolo del contraddittorio rafforzato in risposta alla contestazione dell’abuso del diritto/elusione formulata dall’Amministrazione e di ciò dev’essere tenuto conto all’esito della riqualificazione della fattispecie in evasione fiscale.
4.2. Orbene, le Sezioni Unite, con la sentenza 29 luglio 2013 n. 18184, hanno statuito con riferimento ai diritti e alle garanzie del contribuente sottoposto a ispezioni, verifiche e accessi fiscali, che l’art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, va interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento -salve ragioni particolari di urgenza non dedotte nell’attuale ricorso – determina la nullità dell’atto, e il termine decorre dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
Nel caso in esame l’ispezione si è conclusa con p.v.c. del 4 luglio 2012 e l’avviso accertamento notificato il 12 marzo 2013 rispetta anche il termine dilatorio di 60 giorni previsto dalla legge.
4.3. Quanto all’imposta armonizzata, è vero che il diritto eurounitario da tempo conosce un generale obbligo di attivazione del contraddittorio nella fase del procedimento amministrativo, fondato sull’art. 41, §§ 1 e 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che consacrano il diritto ad una buona amministrazione declinandolo, al paragrafo 2, nel «diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale
che gli rechi pregiudizio» (Cfr. a riguardo le sentenze CGUE 24 febbraio 2022, C-582/20, RAGIONE_SOCIALE; 4 giugno 2020, C430/19, SC RAGIONE_SOCIALE; 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore; 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas; 3 luglio 2014, C-129/13 e C-130/13, Kamino e Datema; 18 dicembre 2008, C-349/07, Soprop é , § 37 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, in tale ambito vi è necessità di operare, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale (cfr. Cass. Sez. U. 9 dicembre 2015 n. 24823; Cass. Sez. 5, n. 701 del 15/01/2019; conforme, Cass. Sez. 5, n. 22644 del 11/09/2019): l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Nel ricorso incidentale la contribuente non ha neppure allegato quale sarebbe la concreta menomazione subita per la mancata attivazione del contraddittorio, né l’ha sostanziata e ancor meno provata, con conseguente manifesta assenza di rilevanza della questione, prospettata in modo formalistico e senza aderenza ad una reale compressione nell’esercizio del diritto nella fase del procedimento amministrativo.
Con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata degli artt. 19 del d.P.R. 26.10.1972 n. 633, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dei principi di diritto comunitario in tema di frode carosello, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. L ‘Amministrazione evidenzia che il giudice ha da un lato alle pagg.16 e 17 della sentenza stabilito: «Ritiene il Collegio che non sia revocabile in dubbio la sostanziale riconducibilità delle società (…) nell’ambito di influenza della stessa RAGIONE_SOCIALE, non solo per i legami derivanti dalle partecipazioni sociale, ma altresì perché ha trovato riscontro la tesi
della sostanziale monocommittenza che caratterizza le loro prestazioni di RAGIONE_SOCIALE e che non appare smentita, come vorrebbe la ricorrente, da occasionali prestazioni di servizi rese in favore di soggetti diversi». Dall’altro, in relazione a tale accertamento, l’Agenzia si duole del fatto che la CTR assume che, comunque, le norme suddette non consentano il recupero dell’IVA detratta dalla contribuente, benché pienamene cosciente della condotta delle società partecipate. Secondo l’Agenzia, al fatto che il soggetto passivo nel caso di specie sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione iscritta in una frode all’IVA, consegue l’indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti.
In via preliminare, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità della censura, perché non avrebbe colto la ratio decidendi , che non è incentrata sull’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, bensì sull’abuso del diritto, contestazione avanzata dall’Amministrazione finanziaria ab origine .
6.1. L’eccezione è inconducente, alla luce dell’operata riqualificazione della fattispecie in evasione fiscale in luogo di abuso del diritto/elusione.
7. Il motivo è fondato.
Sul piano del diritto eurounitario, la Corte di Giustizia UE nella sentenza C-114/22 del 25 maggio 2023, ha statuito l’ illegittimità del divieto, basato sulla normativa nazionale, in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte, a meno che sussistano gli elementi che consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, tale operazione come simulata oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto o da un abuso di diritto.
Nel caso deciso dal giudice del Lussemburgo la domanda di pronuncia pregiudiziale ha riguardato l’interpretazione dell’articolo 167, dell’articolo 168, lettera a), dell’articolo 178, lettera a), e dell’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006
relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, letti alla luce dei principi di neutralit à fiscale e di proporzionalit à .
La Corte di Giustizia ha ricordato che secondo l’articolo 167 della direttiva 2006/112, il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile, mentre l’esigibilità di tale imposta si verifica, ai sensi dell’articolo 63 di tale direttiva, nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi. Ne consegue che il diritto a detrazione è , in linea di principio, subordinato alla prova della realizzazione effettiva dell’operazione (CGUE, sentenze del 26 maggio 2005, Ant ó nio NOME, C-536/03, punti 24 e 25; del 27 giugno 2018, SGI e Val é riane, C-459/17 e C-460/17, punti 34 e 35; del 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing, C-235/21, punto 40). Pertanto, in mancanza di un’effettiva realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi, non pu ò sorgere alcun diritto a detrazione.
La giurisprudenza della Corte di giustizia UE ha peraltro gi à da tempo dichiarato che è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione di acquisto fittizia, non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta, poich é una siffatta operazione non pu ò avere alcun collegamento con le operazioni tassate a valle (CGUE sentenza dell’8 maggio 2019, EN.SA., C-712/17, punti 24 e 25).
Sulla base di tali premesse, questa Corte ha già affermato di escludere l’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA se è dimostrato che sussistono gli elementi per qualificare tale operazione secondo il diritto unionale come fittizia, oppure che essa, se effettivamente realizzata, trae origine da un’evasione di imposta o da un abuso di diritto (Cass. Sez. 5, sentenza n. 16279 del 12/06/2024).
Non vi sono ragioni per discostarsi da tale giurisprudenza nel caso in esame, in cui la contestazione delle operazioni va qualificata come diretta a contrastare l’evasione fiscale.
Ne deriva che il giudice erra a stabilire che l’ «IVA non concerne l’operazione normale o fisiologica (in realtà mai avvenuta) che l’Ufficio individua ed in ragione della quale ricostruisce il corretto carico fiscale (assunzione diretta di dipendenti), ma riguarda le operazioni (emissione di fatture per prestazioni di servizi) che hanno caratterizzato il comportamento delle società partecipanti alla vicenda complessiva, successivamente risultata abusiva. Per tali operazioni il sistema complessivo dell’abuso del diritto prevede la necessità di una loro considerazione correttiva, proprio al fine di evitare duplicazioni di imposta (che si avrebbe sommando al carico fiscale per l’ipotetico comportamento corretto, non tenuto, quello derivante dall’assetto abusivo, ma realmente posto in essere). In tal senso pare potersi ricavare una siffatta direttiva di razionalità da quanto disposto dall’art. 37-bis del d.p.r. n. 600/1973, laddove esso stabiliva che i soggetti ‘ possono richiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti disconosciuti dall’amministrazione finanziaria ‘ previsione peraltro confermata anche dal comma 11 del nuovo art. 10 bis dello Statuto del contribuente introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 128 del 2015» (v. pagine 32 e 33 della sentenza impugnata). La questione dovrà essere riesaminata dal giudice del rinvio, ovviamente tenendo conto che non si tratta di fenomeno elusivo ma evasivo, il che non muta le coordinate che presidiano i principi di indetraibilità dell’iva, come enunciato dalla giurisprudenza unionale già richiamata.
Per l’effetto, la sentenza impugnata dev’essere cassata e la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.10.2024