Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8712 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8712 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 17399-2018, proposto da:
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dalla quale, unitamente all’AVV_NOTAIO, è rappresentato e difeso –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 5103/23/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, depositata il 4.12.2017; udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO nell’ adunanza camerale del 15 gennaio 2025;
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza emerge che l’RAGIONE_SOCIALE notificò due avvisi d’accertamento alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e per essa alla legale
Accertamento -Elusione -Riqualificazione in evasione -Amministratore di fatto e socio occulto
rappresentante nonché a COGNOME NOMENOME ritenuto l’amministratore di fatto della società. Gli atti impositivi erano stati emessi, con riguardo agli anni d’imposta 200 5/2006, in parte per contestare fatture afferenti ad operazioni ritenute inesistenti, in parte per fatture relative a costi ritenuti indeducibili, con conseguente contestazione di indebita detrazione di iva e dichiarazione di IRES e IRAP inferiore a quella dovuta . L’ufficio notificò al COGNOME due ulteriori avvisi d’accertamento, con i qual i pretese il recupero del 40% del maggior reddito accertato in capo alla società, corrispondente agli utili a lui attribuiti ex art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Il COGNOME per entrambe le annualità propose due distinti ricorsi.
La Commissione tributaria provinciale di Mantova, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 289/02/2015 li respinse. L’appello proposto dal COGNOME fu rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, con sentenza n. 5103/23/2017. Il giudice regionale, confermando le statuizioni di primo grado, ha ritenuto che la cancellazione della società, in data anteriore alla notifica degli atti impositivi ma successiva alla verifica eseguita presso la sede della stessa, involgesse la elusività degli atti a ciò finalizzati. Ha inoltre rigettato le difese del ricorrente in merito alla rideterminazione del reddito sociale, così come degli utili attribuiti al COGNOME, riconoscendo tanto la fittizietà RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate e la genericità, per altro verso, di molte fatture al fine della emersione di maggiori costi, quanto il ruolo del ricorrente, amministratore di fatto e socio occulto della società.
Il ricorrente ha censurato la decisione con sette motivi, chiedendone la cassazione. L’Amministrazione finanziaria ha resistito con controricorso. La Procura generale, in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME, ha depositato requisitoria scritta.
Nell’adunanza camerale del 15 gennaio 2025 l a causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente ha denunciato:
con il primo motivo la violazione de ll’ art. 112 e 115 c.p.c., nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza sarebbe errata laddove ha ritenuto che l’abuso del diritto possa essere rilevato anche d’ufficio, perché, pur richiamando principi
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affermati dalla giurisprudenza di legittimità, si è tuttavia basata su fatti mai allegati e tanto meno provati dall’Amministrazione finanziaria.
Con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., nonché dell’art. 24 Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione avrebbe erroneamente affrontato la questione dell’abuso del diritto d’ufficio, senza prima instaurare sul punto il contraddittorio, così violando il diritto di difesa RAGIONE_SOCIALE parti.
Con il terzo motivo la violazione o falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La pronuncia sarebbe errata perché la fattispecie oggetto di causa esulava dalle ipotesi sussu mibili nell’art. 37 bis cit.
Con il quarto motivo l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. In relazione al dedotto carattere elusivo della cancellazione della società RAGIONE_SOCIALE dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese il giudice d’ appello non avrebbe tenuto conto della documentazione allegata dalla difesa del contribuente, che provava l’assenza di intenti elusivi e comunque l’estraneità del COGNOME alla vicenda .
I quattro motivi possono essere trattati unitariamente, perché connessi. Essi sono infondati, sebbene la motivazione della pronuncia vada corretta ai sensi dell’art. 384 , quarto comma, cod. proc. civ.
Va intanto rilevato che, sebbene la ricostruzione dei fatti posti a fondamento della riqualificazione della condotta e degli eventi che hanno portato alla cancellazione della società, confermata dal giudice di primo grado e poi da quello d’appello, sia logica e coerente per la correttezza RAGIONE_SOCIALE regole d’interpretazione RAGIONE_SOCIALE prove presuntive -per quanto si avrà modo di chiarire anche appresso-, il Collegio però non ne condivide la qualificazione giuridica in termini di abuso del diritto/elusione.
I fatti accaduti e vagliati dal giudice di merito, in particolare la costituzione della RAGIONE_SOCIALE il 9 dicembre 2010, ossia due mesi dopo la redazione del primo pvc nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; la liquidazione volontaria di questa società, con acquisizione di tutti i suoi clienti da parte della RAGIONE_SOCIALE; il suo scioglimento il 5 settembre 2012 e la tempestività della sua cancellazione dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese (solo dopo due giorni); la circostanza che l’odierno ricorrente e i suoi famigliari avevano con tinuato a
comportarsi come se la società RAGIONE_SOCIALE, posta in liquidazione e già cancellata, fosse ancora attiva nel novembre 2012, come risultante dal pvc redatto il 23 novembre 2012, ricadono piuttosto chiaramente in una condotta diretta a perseguire l’evasione fiscale nella forma più grave, ossia a tentare di sottrarsi definitivamente alle stesse conseguenze dell’accertamento erariale in atto .
Affinché operi la clausola antielusiva occorre che la società faccia un utilizzo improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia realizzato allo scopo specifico, seppure non esclusivo, di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale.
Al contrario, nel presente caso, dalla ricostruzione operata dall’RAGIONE_SOCIALE non emerge un uso distorto della normativa fiscale o del singolo strumento negoziale, in quanto la fattispecie così qualificata ha riguardato esclusivamente la ‘scomparsa’ di un soggetto passivo d’imposta, al fine di sottrarsi all’attività impositiva, nella speranza, inoltre, di escludere ogni altro soggetto, coinvolto nella gestione sociale, beneficiario e unico controllore di quella compagine, dalla possibilità di essere identificato, così da indirizzare nei suoi confronti le contestazioni per il recupero dell’iva indebitamente detratta ed i maggiori ricavi.
Nella sostanza, dunque quella riqualificazione giuridica, operata dal giudice di merito, non afferiva propriamente all’oggetto degli atti impositivi, ma ad un momento successivo, ossia alla individuazione del loro destinatario ed era finalizzata a ‘rimettere in vita’, sul piano della inefficacia degli atti -qualificati come elusivinei confronti dell’Amministrazione finanziaria, le operazioni tese ad estinguere la società.
Per mera completezza, non è preclusa la riqualificazione della fattispecie da elusiva/abusiva. Ciò trova riscontro in specifici precedenti, nei quali la fattispecie elusiva è stata sussunta nella fattispecie della evasione, con la conseguenza che, sussumendosi il fatto nell’evasione, non possono neppure trovare applicazione le disposizioni di legge ed i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna ed unionale, in tema di abuso del diritto (cfr. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27550). Né con tale riqualificazione si realizza alcun nocumento al diritto di difesa, perché i fatti posti a base dell’accerta mento restano intatti e muta solo la sussunzione giuridica, senza alcuna lesione del contraddittorio.
Con ciò va respinto il primo motivo, perché i dati rappresentati dal giudice di merito nella pronuncia erano obiettivi, e peraltro, chiarito l’intento del giudice, essi non dovevano di certo entrare negli atti impositivi, che afferivano a condotte temporalmente collocate in anni ben precedenti (2005 e 2006).
Va respinto anche il secondo motivo di ricorso, perché nessuna lesione al contraddittorio si è verificata.
Per le ragioni espresse privo di rilievo e interesse è anche il terzo motivo, con cui ci si duole che la pronuncia sarebbe errata perché la fattispecie oggetto di causa esulava dalle ipotesi sussumibili nell’art. 37 bis cit. Come più volte rilevato, nel caso di specie la condotta elusiva non riguardava gli anni d’imposta accertati, ma il tentativo finalizzato «con l’estinzione della società ad evitare le gravi conseguenze degli accertamenti fiscali» (sesta pagina della sentenza, ultimo capoverso). La questione, infatti esula del tutto dalle ipotesi per le quali era applicabile l’art. 37 bis ( ratione temporis vigente).
Il quarto motivo, già privo di rilievo per quanto chiarito, è inoltre inammissibile, sia per la conforme motivazione resa in primo e secondo grado dai giudici di merito, sia perché il vizio di motivazione, nei limiti ancora ammissibili in ragione RAGIONE_SOCIALE modificazioni intervenute con il d.l. 22 giugno 2021, n. 83, deve attenere ad un fatto storico e non ad una rivalutazione degli stessi, come invece sottende e pretende la doglianza formulata dal ricorrente.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 39 e 40 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ. La sentenza avrebbe erroneamente negato la deducibilità dei costi perché l’Amministrazione finanziaria non aveva allegato elementi gravi precisi e concordanti.
S ull’errore d’interpretazione RAGIONE_SOCIALE regole di governo RAGIONE_SOCIALE prove presuntive va intanto premesso che la giurisprudenza di legittimità, nel tracciare il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, ha affermato che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere
insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole co mpletamento ( ex multis cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; Cass., 2 marzo 2017, n. 5374; 12 aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Deve inoltre avvertirsi che ai fini della prova presunti va non è escluso che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico indizio. Nella prova civile, infatti, ed anche ai fini dell’accertamento tributario, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione siano plurimi, benché gli artt. 2729, primo comma, cod. civ., 38, comma 3 e 39, comma 4 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale. Il convincimento del giudice può essere fondato anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato al caso concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass., 29 luglio 2009, n. 17574; 15 gennaio 2014, n. 656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162). Ebbene, nel caso di specie il giudice d’appello ha sviluppato con logica consequenziale le proprie argomentazioni, valorizzando proprio gli elementi da cui evincere l’indeducibilità dei costi.
Dalla semplice e piana lettura della motivazione del giudice d’appello emergono le circostanze fattuali valorizzate (la omessa presentazione di dichiarazioni dei redditi da parte del COGNOME -cha a differenza di quanto sostiene la difesa del COGNOME, non è priva di rilievo perché rientra nella ordinaria diligenza di qualunque operatore economico accorto capire lo spessore e le modalità di gestione economica dei soggetti con cui si intende avere intese commerciali-, i pagamenti che risultavano avvenuti in contanti lo stesso giorno della riscossione, l’assenza di personale dipendente e collaboratori esterni, l’utilizzo costante di contoterzisti da parte della RAGIONE_SOCIALE, così che risultava illogico affidarsi al COGNOME, che a sua volta si affidava anche lui a contoterzisti; la constatazione che il COGNOME nello stesso
giorno eseguiva prelievi di pari importo agli accrediti ricevuti; quanto alla indeducibilità di costi artatamente gonfiati o comunque indeducibili, la genericità della descrizione nelle fatture RAGIONE_SOCIALE operazioni e della identificazione dei clienti; le spese di sponsorizzazione, non altrimenti giustificate).
Rispetto al preciso vaglio degli elementi ritenuti di rilievo da parte del giudice d’appello, dolersi della mancata valutazione RAGIONE_SOCIALE allegazioni difensive non tiene conto, oltre che della assenza di ogni specificazione su quali allegazioni sarebbero state trascurate dal giudice, soprattutto del principio di diritto consolidato, secondo cui la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, ed evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass., 13 gennaio 2005, n. 520; 20 febbraio 2006, n. 3601; 29 dicembre 2020, 29730).
Con il sesto motivo si è doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione regionale avrebbe erroneamente qualificato il COGNOME quale socio occulto della RAGIONE_SOCIALE senza prove sufficienti né del ruolo di amministratore di fatto della società, né della partecipazione alla compagine sociale come socio occulto, mancando ogni riscontro che avesse tratto profitto dalle operazioni illegittime contestate.
Con il settimo motivo ha lamentato l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. In relazione alla qualifica di amministratore di fatto e di socio occulto il giudice d’appello non avrebbe considerato le circostanze di fatto e la documentazione allegata dal contribuente a confutazione degli addebiti dell’ufficio.
I due motivi, che possono trovare trattazione congiunta perché connessi, sono altrettanto infondati.
Anche sulle responsabilità del COGNOME, quale amministratore di fatto e socio occulto della RAGIONE_SOCIALE, sostanzialmente unico controllore e beneficiario RAGIONE_SOCIALE condotte illecite messe in atto a mezzo della società e finalizzate al conseguimento di redditi maggiori di quanto dichiarato, il collegio regionale ha valorizzato specifici elementi (il richiamo specifico alle dichiarazioni di soggetti che avevano avuto rapporti con la società, che avevano identificato nel COGNOME l’unico interlocutore della società, a fronte di una amministratrice quasi ottuagenaria, che non aveva mai avuto esperienze lavorative significative; le operazioni di ripiano di ingenti debiti sociali, cui aveva provveduto il solo ricorrente in anni prossimi a quelli oggetto di verifica; le dichiarazioni rese dal COGNOME nel processo penale afferente il medesimo oggetto, poi definitosi con sentenza di patteggiamento della pena).
Valgono in questo caso le considerazioni già illustrate con riguardo al quinto motivo, laddove le difese del ricorrente tentano solo di ottenere una inammissibile -in sede di legittimità- rivalutazione nel merito.
Il ricorso va in definitiva rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese di causa, che si liquidano nell’importo di € 14.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 15 gennaio 2025