Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24135 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24135 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
Oggetto:
accertamento
–
estinzione società
–
successione
dei
soci
al
momento
dell’estinzione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17451/2021 R.G. e sul ricorso iscritto al n. 17704/2021 R.G. qui riunito proposti da:
COGNOME NOME e COGNOME ciascuno in proprio ed entrambi, sia congiuntamente che disgiuntamente, nella qualità di ex soci e quali soggetti indicati quali successori della società RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese di Agrigento in data 4 ottobre 2013, rappresentati e difesi tutti dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Caltanissetta (PEC: EMAIL ed elettivamente domiciliati in Roma nella INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in atti
-ricorrenti sia nel giudizio n. R.G. 17451/2021 sia nel giudizio n. R.G. 17704/2021 –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– intimata nel giudizio n. R.G. 17451/2021 e controricorrente nel giudizio n. R.G. 17704/2021 –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 7638/14/20, depositata in data 23/12/2020 e non notificata;
Udita la relazione sulle cause svolta nell’adunanza camerale del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-con l’avviso di accertamento n. RJ1030200484/2010, notificato in data 15 novembre 2010, erano contestati alla RAGIONE_SOCIALE ricavi non dichiarati per € 548.374,00, determinati, in via presuntiva, dalle operazioni finanziarie di prelevamento e di versamento operate nei conti correnti bancari personali dei singoli soci, titolari di autonome e distinte attività imprenditoriali e commerciali;
-con il predetto atto impositivo, l’Agenzia delle Entrate rideterminava il reddito di impresa in complessivi € 561.194,00, a fronte del reddito dichiarato pari a € 12.820,00, determinando le seguenti maggiori imposte: Ires per € 180.963,00; Irap per € 29.210,00; Iva per € 63.525,00, ed irrogava sanzioni pecuniarie per complessivi € 272.992,50;
-sulla base dell’accertamento presuntivo del maggior reddito di impresa in capo alla società e sulla base della presunzione che esso fosse stato suddiviso tra i soci della stessa, l’Agenzia delle Entrate di
Agrigento formulava e notificava nei confronti dei singoli soci, due distinti avvisi di accertamento: a) l’avviso di accertamento n. RJ1010200486/2010 (relativo all’anno 2006), notificato in data 15 novembre 2010 a Tirone Chiaramonte Giuseppe, con il quale contestava in capo a quest’ultimo un maggior reddito presunto di capitale di € 109.675,00, e determinava maggiori imposte Irpef per € 38.635,00 e addizionale regionale Irpef per € 1.538,00, e irrogava sanzioni per € 40.173,00; b) l’avviso di accertamento n. RJ1010200485/2010 (relativo all’anno 2006), notificato in data 15 novembre 2010 al NOME COGNOME con il quale contestava in capo a quest’ultimo un maggior reddito presunto di capitale di € 109.675,00, e determinava maggiori imposte Irpef per € 41.737,00 e addizionale regionale Irpef per € 1.639,00, e irrogava sanzioni per € 43.376,00;
-impugnati tali atti, la Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, con la sentenza n. 429/05/2012, pronunciata il 7 marzo 2012 e depositata il 12 novembre 2012, accoglieva integralmente il ricorso proposto dalla società e annullava l’avviso di accertamento n. RJ1030200484/2010 emesso nei confronti della stessa;
inoltre, la Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, con la sentenza n. 635/5/14 disponeva l’annullamento dell’avviso di accertamento n. RJ1010200485/2010 emesso nei confronti di NOME COGNOME e con la sentenza n. 2557/5/14 disponeva l’annullamento dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2010 emesso nei confronti di COGNOME Giuseppe;
-l’Agenzia delle Entrate di Agrigento proponeva appello;
con ordinanza collegiale n. 1462/2019 del 16 aprile 2019, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia dichiarava l’interruzione del processo a seguito dell’estinzione della società; il giudizio proseguiva nei confronti dei soci della stessa;
riassunto il giudizio, con la sentenza qui gravata la CTR ha accolto gli appelli dell’Ufficio;
ricorrono a questa Corte i contribuenti, sia quali successori della RAGIONE_SOCIALE con riguardo alle pretese dirette nei confronti della società in forza dell’avviso di accertamento ad essa notificato, sia in proprio con riguardo ciascuno all’avviso di accertamento notificato a seguito della partecipazione nella società di cui si è detto, con distinti e successivi atti, ciascuno affidato a undici motivi;
-l’Agenzia delle entrate replica con controricors o al solo ricorso iscritto al n.r.g. 17704/21; è rimasta intimata nel giudizio n.r.g. 17451/2021.
Considerato che:
-va preliminarmente disposta ex art. 335 c.p.c. la riunione al presente giudizio dell’autonomo giudizio iscritto al n.r.g. 17704/2021 in quanto si tratta di giudizi relativi a impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza;
-la seconda impugnazione proposta dai ricorrenti va peraltro dichiarata inammissibile per difetto di interesse senza che qui si verifichi la ragione di inammissibilità derivante dal principio di consumazione dell’impugnazione: essa preclude la riproposizione di un secondo ricorso soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità del primo (cfr. Cass., Sez. Un., 28 marzo 2024, n. 8486), nella specie non intervenuta all’epoca della proposizione del secondo ricorso; viene ad esistenza però la sopravvenuta carenza di interesse, essendosi valutato che la medesima impugnazione era stata correttamente proposta già con la notifica ed il deposito del primo atto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1190 del 17
gennaio 2025) dal quale si è originato il giudizio iscritto al n. R.G. 17451/2021;
-le relative voci delle spese processuali vanno compensate, in ragione della sopravvenuta carenza d’interesse;
-infine, sul punto, non è dovuto il c.d. ‘ raddoppio ‘ del contributo unificato per atti giudiziari, trattandosi di inammissibilità sopravvenuta del ricorso (Cass., Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 25485);
-venendo ora all’esame delle doglianze proposte con il solo ricorso che risulta ammissibile, il primo motivo lamenta la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c.; secondo parte ricorrente il Giudice di secondo grado è incorso nel vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, attinente al deposito del bilancio finale di liquidazione; secondo i ricorrenti, nella motivazione della sentenza, i Giudici, dopo aver dichiarato infondati gli appelli dell’Agenzia delle Entrate, esordiscono affermando che ‘ preso atto della cancellazione della società, i giudizi proseguono nei confronti dei soci. Tale fatto non è contestato’; contrariamente a quanto affermato, quindi, secondo i contribuenti la prosecuzione del giudizio nei confronti dei soci è stata contestata facendo leva sulla produzione del bilancio finale di liquidazione dal quale risultava che nessun attivo era stato distribuito tra i soci;
-osservano inoltre i ricorrenti che già in sede di costituzione in giudizio mediante controdeduzioni all’appello del 11/07/2013, era stata espressamente comunicata la cancellazione della società mediante deposito in atti della ricevuta di avvenuta
cancellazione dal registro delle imprese e deposito del bilancio finale di liquidazione, circostanza che imponeva, già in quella sede, l’interruzione del processo in considerazione della perdita di legittimazione processuale, sia della società, per avvenuta estinzione, che dell’ex liquidatore; erroneamente, quindi, sarebbe avvenuta la riassunzione del giudizio -sempre secondo i ricorrenti -nei confronti dei soci, difettando l’interesse dell’Amministrazione finanziaria ex art. 100 c.p.c.;
-il motivo è infondato;
-come recentemente questa Corte ha chiarito nella sua massima espressione nomofilattica in relazione alla posizione dei soci successori della società venuta a estinzione risulta irrilevante la percezione di alcunché in sede di bilancio di liquidazione;
-le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025) hanno difatti chiarito che, per configurare la responsabilità dei soci in relazione al debito tributario della società estinta a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, l’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione non può essere rilevata nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo originariamente notificato alla società, benché il processo prosegua da o nei confronti dei soci in qualità di successori della società estinta;
-il che è appunto quanto si è verificato nel caso in esame, in cui i soci risultano attinti, per il profilo in discussione, in forza della posizione di meri successori ex lege della società estinta;
-il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto; dell’art. 36, c. 2 n. 2, 3, 4 del d. lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 4 c.p.c., oltre alla violazione e falsa
applicazione degli artt. 112, 132 c.p.c. e 111 Cost.; lamenta la nullità assoluta della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c.; secondo i ricorrenti la sentenza di appello risulta viziata in quanto totalmente omessa l’esposizione concisa delle varie fasi processuali e delle attività difensive svolte dai ricorrenti; ancora, la sentenza impugnata difetterebbe dell’esposizione concisa dei fatti di causa e delle richieste delle parti con conseguente impossibilità di individuare il thema decidendum e le ragioni che stanno alla base della decisione assunta;
-il motivo è infondato;
-anzitutto, va ribadito il consolidato orientamento di questa Corte in base al quale, in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., 20/01/2015, n. 920; Cass., 15/11/2019, n. 29721); nel caso in esame, difatti, risulta esplicato il percorso che ha condotto alla decisione; inoltre, benché manchi la descrizione delle vicende successive alla cancellazione, di tale evento il giudice d’appello ha tenuto conto, articolando in maniera comprensibile la propria decisione, giustappunto con la statuizione censurata col primo motivo;
-invero, la motivazione consente di comprendere le ragioni del decisum , e si colloca quindi al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’;
-con specifico riguardo poi al profilo con cui si denuncia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, che consisterebbe nell’avere il giudice di merito trascritto in motivazione il contenuto dell’atto di appello dell’Ufficio, la censura risulta infondata alla luce dei principi enunciati tempo fa (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 642 del 16 gennaio 2015) secondo i quali, sia nel processo civile sia in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato; e nel caso in esame il giudice d’appello ha indubitabilmente fatto proprie le considerazioni che ha riportato;
-infine, è irrilevante il punto concernente l’affermata omessa considerazione dell’esistenza ‘ del deposito del bilancio finale di liquidazione e conseguenzialmente dell’assenza di riparto per mancanza di attivo ‘, per l’ininfluenza già espressa in sede di esame del primo motivo;
-il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 per mancanza di autorizzazione del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate ad effettuare il controllo bancario, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente di tale autorizzazione non vi è alcuna traccia documentale nel processo, nonostante ne sia stata evocata l’esistenza da parte dell’Agenzia delle Entrate;
-il motivo non ha fondamento;
-invero, dalla lettura della sentenza della CTR si evince l’esistenza in actis delle autorizzazioni di cui si è detto (si veda a pag. 4 punto 2 ultimo periodo della sentenza impugnata), delle quali la pronuncia di merito riporta (a pag. 2 terzo capoverso) anche i numeri di protocollo; la censura, quindi, cozza contro l’accertamento di fatto operato in questa sede dal giudice del merito, che ha rilevato la produzione delle stesse nel giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate;
-il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. in quanto nessuna richiesta di giustificare le movimentazioni finanziarie sarebbe -secondo i ricorrenti -stata mai sottoposta alla RAGIONE_SOCIALE; secondo i ricorrenti mai la Società RAGIONE_SOCIALE, nel corso del procedimento prodromico alla notifica dell’ avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, è stata chiamata a dare giustificazioni sulle movimentazioni finanziarie riscontrate nei conti correnti bancari dei contribuenti COGNOME e COGNOME i quali sono stati gli unici
(personalmente ed individualmente) chiamati a giustificare le operazioni bancarie;
-il motivo è inammissibile perché non si confronta col contenuto della decisione impugnata, nella parte narrativa della quale, assunta a base del ragionamento sviluppato in quella motiva, si legge che anteriormente all’emissione del provvedimento l’Agenzia ‘ invitava al contraddittorio la Società ed i singoli soci al fine di fornire adeguate giustificazioni in ordine alle movimentazioni finanziarie così come comunicate dagli Enti interpellati ‘ e che ‘dalla lettura dei Verbali di contraddittorio redatti e sottoscritti si evince come in ordine al rapporto n. NUMERO_CARTA intrattenuto dalla Società presso la Banca Monte dei Paschi risultano giustificate le movimentazioni mentre quelli intestati ai singoli soci … per tutte le movimentazioni ivi indicate risultano generiche le giustificazioni addotte e pertanto non idonee a superare la presunzione posta dalla legge …’; né comunque emerge che la società vi abbia provveduto in sede contenziosa;
-il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 oltre che dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. in quanto nessuna prova -secondo parte ricorrente -è stata offerta in giudizio dall’Amministrazione Finanziaria in ordine alla asserita riferibilità alla società dei conti correnti dei soci, titolari di autonome ditte individuali;
-in sintesi, la censura sottolinea che la società estinta era soggetto diverso dai predetti COGNOME e COGNOME e, pertanto, non era possibile imputare alla stessa Società i dati emergenti dai conti correnti personali, senza prima dare la
prova della concreta riferibilità alla Società dei conti bancari personali intestati ai soci; cioè, con tale eccezione, la Società ha fatto emergere nel corso del giudizio di merito che nessun elemento concreto era stato fornito dall’Agenzia delle Entrate per dimostrare che i conti correnti dei soci erano fittiziamente intestati a questi ultimi, e che quegli stessi conti correnti erano nella effettiva disponibilità della Società: non avendo fornito alcuna prova della fittizia intestazione dei conti in argomento;
-il motivo si rivela infondato;
-va infatti tenuta ben distinta la fattispecie nella quale oggetto dell’indagine finanziaria sono conti dei soci, rispetto a quella in cui oggetto dell’indagine sono i conti di soggetti assai vicini ai soci, per diverse ragioni, ma non soci per non avere alcuna partecipazione nella società;
-si richiama al riguardo l’indirizzo, anche recentemente ribadito da questa Corte (Cass. 19/04/2025, n. 10364), secondo cui le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti personali dei soci della stessa soltanto se l’Amministrazione fornisce la prova che tali rapporti bancari sono riferibili anche alla società, in quanto utilizzati anche per operazioni legate alle attività d’impresa di quest’ultima; una volta assolta detta dimostrazione, tuttavia, l’operatività della presunzione legale posta dall’art. 32, comma 1, n. 1 e 7 del d.P.R. n. 600 del 1973 determina una inversione dell’onere probatorio, spettando al contribuente giustificare i vari movimenti bancari, dimostrando la loro estraneità alla determinazione del reddito;
-in particolare, si è affermato il principio in base al quale «le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità
limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti» (Cass. n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02, in cui si richiamano Cass. n. 12817/2018, n. 17423/2003, n. 11145/2011; n. 17243/2003, n. 8826/2001; da ultimo, Cass. 4/08/2025, n. 22430);
-nel caso in esame v’è rispondenza ai principi delineati, in quanto il giudice d’appello ha ritenuto che la posizione economica dei due soci e della società fosse ‘un unicum ‘ ; la lettura complessiva della sentenza lascia emergere che la valutazione poggia, per un verso, sulla ristrettezza della compagine sociale e per altro verso sulla circostanza, riportata in narrativa (come si legge a pag. 2 primo capoverso della pronuncia gravata) come dato di fatto acclarato, che gli «unici due soci… come appurato non possiedono ulteriori fonti di reddito se non quello di partecipazione nella odierna società»;
-il sesto motivo lamenta la violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 per mancata allegazione dei documenti richiamati in motivazione dall’avviso di accertamento, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.;
-secondo i ricorrenti, il Giudice del gravame doveva prendere in debita considerazione l’eccezione formulata dalla società contribuente in ordine alla illegittimità dell’accertamento perché carente di motivazione ed emesso in violazione dell’art. 7 della Legge n. 212 del 2000. Infatti, nell’avviso di accertamento notificato alla Società non risultavano allegati svariati atti ai quali si faceva riferimento in seno alla motivazione dello stesso atto impugnato;
-il motivo è infondato;
-con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto dei diritti del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
-pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16.12.2020, n. 28756; Cass. 15.05.2018, n. 11866);
-i ricorrenti, invece, non hanno spiegato, in concreto, le ragioni specifiche per le quali avrebbero dovuto essere allegati ulteriori atti o documenti, indicando in quale modo tale eventuale
omissione avrebbe leso il loro diritto di difesa, limitandosi ad esporre generiche doglianze in relazione ad atti non conosciuti;
-in realtà, col motivo si sovrappone al piano dell’allegazione quello della prova, dovendosi, invece, distinguere il piano della motivazione dell’avviso di accertamento da quello della prova della pretesa impositiva e, corrispondentemente, l’atto a cui l’avviso si riferisce dal documento che costituisce mezzo di prova (Cass. n. 8016 del 2024; da ultimo, Cass. n. 22156 del 2025);
-il settimo motivo si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 43 del d. Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per essere la riassunzione del giudizio avvenuta dopo sei anni dalla comunicazione dell’evento interruttivo del giudizio stesso;
-sottolineano i ricorrenti che la cancellazione dal Registro delle imprese di Agrigento della società RAGIONE_SOCIALE è avvenuta in data 9 luglio 2013 allorché è stato ivi depositato il Bilancio Finale di liquidazione e la comunicazione di estinzione della Società, poi disposta in data 4 ottobre 2013. In data 11 luglio 2013, l’ex liquidatore ed ex legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, depositava nel procedimento di appello avanti la Commissione Tributaria Regionale, atto di controdeduzioni nel quale comunicava alle parti costituite in giudizio (Agenzia delle Entrate di Agrigento) ed al Giudice del gravame, l’avvenuta estinzione della Società appellata. Ed è in tale data dell’11 luglio 2013 che si sarebbe verificata, ai sensi dell’art. 40 del d. Lgs. 546 del 1992, ancora secondo i ricorrenti, l’interruzione del processo per essere venuta meno e per aver perduto la capacità di stare in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE;
-di conseguenza, in forza di tale prospettazione l’istanza di prosecuzione del giudizio sarebbe stata depositata dall’Agenzia delle Entrate presso la Segreteria della Commissione Tributaria Regionale di Palermo in data 5 novembre 2019, quando erano già decorsi ben sei anni dalla comunicazione in giudizio dell’evento interruttivo;
-il motivo è infondato;
-alla luce del chiaro disposto dell’art. 43 c. 2 d. lgs. n. 546 del 1992 il termine per la riassunzione del processo tributario interrotto decorre da quando è stata dichiarata tale interruzione; si è coerentemente stabilito (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 11661 del 4 maggio 2021) che proprio perché nel processo tributario la riassunzione del processo interrotto avviene con il deposito dell’istanza di trattazione al presidente della sezione, da effettuarsi nel termine di sei mesi dal provvedimento che dichiara l’interruzione, grava sulla segreteria della Commissione tributaria l’onere di comunicare alle parti la data della nuova udienza; d’altronde, sul piano sistematico, preme rilevare che, finanche in un caso d’interruzione automatica, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che il termine per la riassunzione decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte (Cass., Sez. Un., 7/05/2021, n. 12154); pertanto, antecedentemente all’ordinanza con la quale è stata dichiarata l’interruzione, non è iniziato a decorrere il termine previsto d ell’art. 43, comma 2, d.l.gs. n. 546 del 1992 (in termini, Cass. 3/09/2024, nn. 23537 e 23538);
-nella fattispecie, quindi, la dichiarazione di interruzione è avvenuta con l’ordinanza n. 1462/2019 depositata in data 16 aprile 2019; alla luce di ciò l’istanza di trattazione depositata dall’Amministrazione Finanziaria in data 6 novembre 2019 è tempestiva in quanto depositata entro il termine semestrale di cui si è detto, termine che veniva a scadenza il 16 novembre 2019;
-l’ottavo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. in quanto la riassunzione del giudizio interrotto sarebbe avvenuta nei confronti di un soggetto –COGNOME NOME – che non è succeduto alla società estinta; in dettaglio, si sostiene che avendo COGNOME ceduto la sua quota di partecipazione del 50% all’altro socio NOME COGNOME rimasto pertanto unico socio al 100%, ed essendo detta variazione della compagine sociale stata correttamente registrata presso il Registro delle Imprese di Agrigento in data 18/05/2012, ed acquisita al Registro il 20/06/2012, l’atto di riassunzione del giudizio di appello depositata in data 05/11/2019 dall’Agenzia delle Entrate di Agrigento, doveva essere rivolta, contrariamente a quanto avvenuto, nei confronti dell’unico socio della società COGNOME Giuseppe;
-il motivo è fondato limitatamente al profilo della controversia concernente l’accertamento nei confronti della società e l’identificazione della qualità dei successori ;
-ritiene la Corte che debba qui applicarsi e ribadirsi nuovamente, con convinzione, il principio già enunciato da questo Giudice di Legittimità (Cass. 4/10/2022, n. 28830; in linea, anche Cass. 1/04/2022, n. 10645) in forza del quale se è vero che
l’estinzione della società comporta la prosecuzione del giudizio per effetto della successione alla società dei soci, nondimeno questo riguarda i soci che tali fossero risultati al momento della cancellazione della società (Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070; Cass., Sez. II, 11 maggio 2022, n. 14859; Cass., Sez. V, 4 gennaio 2022, n. 2). Diversamente, l’accertamento della corretta preventiva notificazione dell’avviso alla società non può avere rilievo, anche in caso di successione dei soci per estinzione della società determinatasi nelle more del giudizio, in relazione alla posizione dei soci che si siano in precedenza avvicendati nella compagine della società partecipata (come si assume sia avvenuto per NOME NOME) e che abbiano quindi perso tale qualità al momento del verificarsi della fattispecie estintiva della società cancellata e della conseguente insorgenza della successione in capo ai soci dei rapporti pendenti già facenti capo alla società;
-deve quindi ritenersi che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non può produrre alcun effetto nei confronti di un socio già uscito dalla compagine societaria al momento in cui la società stessa -sia pur da tale socio effettivamente partecipata al momento in cui sorgevano le obbligazioni tributarie oggetto di rettifica ed accertamento, qui riferite al periodo di imposta 2006 -è venuta ad estinzione;
-a diverse conclusioni si perviene in relazione all’avviso di accertamento riguardante direttamente il socio in relazione al periodo antecedente alla cessione della propria quota;
-sul punto, ritiene la Corte opportuno enunciare espressamente il seguente principio di diritto: ‘nel caso di estinzione della società di capitali per cancellazione dal registro delle
imprese, con conseguente successione dei soci partecipanti alla compagine societaria, tale successione comporta, quanto alle obbligazioni tributarie già sorte in capo alla società poi estinta, il subentro dei soli soci che tali risultino al momento della cancellazione della società’ ;
-di qui l’accoglimento in parte qua del motivo in argomento;
-infondato è, invece, il nono motivo di ricorso, che deduce la violazione dell’art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per non avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello erariale; secondo i contribuenti, nell’atto di appello dell’Ufficio vi sarebbe soltanto la semplice riproduzione delle controdeduzioni proposte in primo grado; inoltre, la parte in cui il Giudice di primo grado ha affermato l’annullamento dell’accertamento emesso nei confronti del socio per l’intervenuto annullamento dell’accertamento emesso nei confronti della Società, non sarebbe mai stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate;
-il motivo è infondato giustappunto in base alla deduzione della riproduzione in appello delle controdeduzioni dell’Agenzia, volte alla conferma di tutti gli avvisi, compreso quello concernente il reddito di capitale del socio in questione; e comunque va ribadito che, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione in appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo da parte del contribuente ovvero della legittimità dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs.
n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza (Cass. 10/01/2024, n. 1030);
-il decimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello violato il divieto di praesumptio de praesumpto ; secondo i ricorrenti, poiché l’accertamento effettuato nei confronti della Società deriva esclusivamente dall’applicazione delle presunzioni stabilite dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, erroneamente si è applicata una presunzione di terzo grado (derivante dalle due presunzioni esposte precedentemente) provvedendo a ritenere, senza alcun elemento probatorio di supporto, che il maggiore reddito (in via presuntiva) determinato in capo alla Società, dato dai maggiori ricavi presunti accertati, fosse stato -con determinazione presuntiva ‘distribuito’ tra i due soci della società estinta COGNOME Giuseppe e COGNOME
-il motivo è infondato;
-il meccanismo probatorio di cui alle disposizioni sopra riportate opera presuntivamente solo nella misura in cui resiste al confronto con la prova del contrario offerta dal contribuente: ove, infatti, esso prevalga -non riuscendo il contribuente a dar prova del contrario -il fatto oggetto della presunzione non è più presunto ma provato;
-in altri termini, come questa Corte ha ritenuto (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27982 del 7 dicembre 2020), in tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e
concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo ‘noto’, il che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni;
-venendo alla fattispecie concreta, ne discende che una volta raggiunta la prova della rilevanza ai fini impositivi delle operazioni oggetto di indagine finanziaria, tale prova non veste più i panni della presunzione e come tale costituisce -all’esito del percorso di cui si è detto -fatto divenuto noto; ne deriva che in quanto fatto ora noto, può fungere da punto di partenza logico e giuridico dal quale dedurre -sempre salva la prova del contrario da parte del contribuente -un fatto in quel momento ignoto, nella specie l’avvenuta distribuzione ai soci del maggior utile accertato a livello societario;
-l’undicesimo motivo si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 132 c.p.c. e 111 c. 6 Cost. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito liquidato le spese, in totale carenza di motivazione, a favore dell’Agenzia delle Entrate pur in mancanza di costituzione in giudizio a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato o a mezzo di un legale del libero Foro;
-il motivo va disatteso;
-costantemente questa Corte afferma (tra moltissime Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1019 del 10 gennaio 2024) che nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione
del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo;
-in conclusione, quindi, va accolto l’ottavo motivo di ricorso nei limiti in motivazione ; l’impugnazione nel resto va rigettata;
-la sentenza impugnata è pertanto cassata con rinvio al giudice di merito limitatamente al profilo di cui al motivo oggetto di accoglimento;
p.q.m.
dispone la riunione del giudizio n. R.G. 17704/2021 nel giudizio n. R.G. 17451/2021; dichiara inammissibile il ricorso proposto nel giudizio n. R.G. 17704/2021 e compensa le relative voci di spesa; quanto al ricorso proposto nel giudizio n. R.G. 17451/2021 accoglie l’ottavo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione; rigetta il ricorso nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente al profilo di cui al motivo oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione alla quale demanda di provvedere anche con riguardo alle spese processuali di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025.