Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12999 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
Oggetto: –
estinzione so-
cietà
– atto impositivo –
socio – principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28509/2016 proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (pec: EMAIL), elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n.2848/2/2016 depositata il 12 maggio 2016, non notificata. camerale del 27 febbraio 2024
Udita la relazione svolta nell’adunanza dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n.22900/58/2014 di rigetto dell’opposizione alla cartella di pagamento n. 08920130007819461 concernente l’iscrizione a ruolo per l’importo complessivo di euro 49.033,71 per l’annualità 2004, quale ex socia unica della società RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal Registro RAGIONE_SOCIALE Imprese in data 10/2/2009.
La cartella veniva emessa in forza della sentenza della CTP n. 80/41/10 con la quale venivano rigettati i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE contro due avvisi di accertamento per le annualità 2004 e 2005 e un atto di contestazione per gli anni di imposta 2004, 2005 e 2006. Nelle more del giudizio venivano proposte istanze di definizione RAGIONE_SOCIALE liti ex art. 39 comma 12 del d.l. 6/7/2011 n. 98, convertito con modificazioni nella l. 15/7/2011 n. 111, mentre l’appellante insisteva per la decisione dell’ annualità 2004. La CTR interveniva con sentenza n. 314/22/12 del 20/12/2012 dichiarando l’estinzione dell’intero giudizio per cessata materia del contendere. L’amministrazione finanziaria
iscriveva al ruolo n. 2013/000456, reso esecutivo in data 6/11/2013, l’importo di euro 49.033,71 per l’annualità 2004 sulla base della sentenza della CTP n. 80/41/10 e notificava la cartella impugnata alla base del presente processo alla contribuente, quale socia unica della estinta società RAGIONE_SOCIALE
La contribuente ricorreva al giudice tributario contro la cartella deducendo sia che la pronuncia di cessazione della materia del contendere contenuta nella sentenza della CTR n.314/22/12 aveva travolto la sentenza della CTP n. 80/41/10 sulla scorta della quale le somme erano state iscritte a ruolo, sia la non opponibilità nei suoi confronti della pretesa fiscale in quanto non parte del procedimento e del processo che lo aveva originato.
La CTR confermava la decisione di primo grado reiettiva della prospettazione della ricorrente, in quanto la pronuncia di cessazione della materia del contendere avrebbe riguardato esclusivamente l’avviso e l’atto di accertamento per i quali era stata ammessa dall’RAGIONE_SOCIALE la definizione della lite pendente. Ne conseguiva il consolidamento della sentenza della CTP n. 80/41/10 che aveva respinto il ricorso per l’avviso di accertamento non definito relativo al 2004.
Contro la sentenza d’appello la contribuente propone ricorso per cassazione, che affida a due motivi, che illustra con memoria, cui l’RAGIONE_SOCIALE replica con controricorso.
Ritenuto che:
Con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta, con riferimento all’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., l’o messa motivazione da parte della CTR circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, o comunque la motivazione apparente, con riferimento alla interpretazione RAGIONE_SOCIALE statuizioni contenute nella sentenza della CTR di Roma n. 314/22/12 e gli effetti conseguenti, essendo fondata su un richiamo a giurisprudenza non pertinente della Corte di cassazione ai fini della interpretazione RAGIONE_SOCIALE statuizioni contenute nella sentenza.
6. Il motivo è inammissibile, per più ragioni.
6.1. L’art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. La novella trova necessaria applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 12 maggio 2016 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l’« omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal ‘vecchio’ n.5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014).
6.2. La censura, ancorché riqualificata ai fini del l’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale assoluto in termini di motivazione apparente, egualmente non può trovare ingresso. Si rammenta al proposito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016).
La CTR nell’interpretare la sentenza n.314/22/2012 ha espresso la seguente ratio decidendi : «Ebbene, pare evidente che tale decisione, come emerge peraltro dalle stesse premesse della motivazione, si sia pronunciata unicamente con riferimento ai due atti oggetto della definizione RAGIONE_SOCIALE liti pendenti. Essa non ha avuto alcun riguardo all’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO, non compreso in tale istanza, peraltro nemmeno
suscettibile di esservi compreso in ragione dell’entità dell’importo. L’assunto dell’appellante che tale pronuncia, dichiarando semplicemente “cessata la materia del contendere”, si sarebbe (seppur erroneamente) pronunciata su tutto il devoluto in appello, e quindi anche su quella parte dell’appello con il quale si chiedeva la riforma della decisione di primo grado – dove essa aveva respinto 41 ricorso avverso il predetto avviso di accertamento (riferito al 2004 e non oggetto della definizione agevolata) – è palesemente infondato. La sentenza n.314/22/2012 della CTR di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere non poteva che pronunciarsi in conformità di quelle particolari domande legittimamente introitabili nelle more del grado di appello, in virtù del procedimento di definizione RAGIONE_SOCIALE liti pendenti. E poiché tale istanza riguardava solamente due dei tre atti oggetto dei ricorsi di primo grado e della relativa sentenza della CTP (che li aveva decisi previa riunione), la relativa sentenza della CTR si pronunciava di conseguenza solamente su di essi.» (cfr. pp.3 e 4 della parte motiva della sentenza impugnata).
Si tratta di una ratio logicamente argomentata e fondata sull’esame degli atti ai fini dell’interpretazione del contenuto della sentenza n.314/22/2012 che rispetta il “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) e sfugge al sindacato di legittimità sulla motivazione nei termini proposti con la censura in disamina.
7. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente prospetta, con riferimento all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., che la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con il disposto dell’art. 2495 cod. civ. come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. Secondo la società, la corretta applicazione dell’art. 2495 cod. civ. escluderebbe in radice la possibilità di iscrivere a ruolo somme nei confronti del socio sulla scorta di un titolo, sia avviso di accertamento sia pronuncia giurisdizionale, maturato nei confronti della società estinta, dovendo preliminarmente essere accertati i presupposti indicati dalla
norma per la successione nelle obbligazioni liquidate a carico della società estinta dante causa.
Il motivo è infondato.
8.1. L’interpretazione proposta dalla ricorrente è stata superata dalla giurisprudenza di questa Corte, si veda in particolare Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31904 del 05/11/2021.
8.2. Secondo il Collegio a data ulteriore continuità anche nella presente fattispecie al principio di diritto secondo il quale, in tema di società di capitali, la disciplina dettata dall’art. 2495, comma 2, cod. civ., come modif. dall’art. 4 d.lgs. n. 6 del 2003, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese l’estinzione immediata della società, implica che nei debiti sociali subentrano “ex lege” i soci. Pertanto, il Fisco, ove le proprie ragioni nei confronti dell’ente collettivo siano state definitivamente accertate, può procedere all’iscrizione a ruolo dei tributi non versati sia a nome della società estinta, sia a nome dei soci “pro quota”, in relazione ai relativi titoli di partecipazione, e ciò ai sensi degli artt. 12, comma 3, e 14, lett. b), d.P.R. n. 602 del 1973. 8.3. Va precisato che il principio vale non solo nel caso di mancata tempestiva impugnazione dell’atto impositivo, oppure di intervenuta estinzione del relativo giudizio, ma anche in quello di intervenuto giudicato sostanziale.
8.4. L’amministrazione finanziaria può inoltre anche azionare comunque il credito tributario nei confronti dei soci stessi, non occorrendo procedere all’emissione di autonomo avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 36, comma 5, d.P.R. cit., relativo al diverso titolo di responsabilità di cui al precedente comma 3, nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2014, di natura civilistica e sussidiaria.
8.5. In applicazione del principio di diritto suddetto con la esposta specificazione, la censura in disamina non può trovare ingresso.
In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite possono essere compensate in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia successiva alla presentazione del ricorso e come sopra precisata in relazione alla presente fattispecie.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2024