Estinzione del giudizio in Cassazione: il silenzio che costa caro
L’estinzione del giudizio per inattività della parte ricorrente rappresenta un esito processuale tanto drastico quanto significativo. Una recente decisione della Corte di Cassazione, con il decreto n. 19457/2025, mette in luce le conseguenze del silenzio di fronte a una proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., trasformando l’inerzia in una vera e propria rinuncia tacita al ricorso, con inevitabile condanna alle spese.
I fatti di causa
La vicenda trae origine da un contenzioso tributario. Un Ente Locale aveva proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale, sfavorevole ai suoi interessi. La controparte, una società a responsabilità limitata in liquidazione, si era costituita in giudizio per resistere al ricorso.
Nel corso del procedimento, la Corte di Cassazione, valutati gli atti, ha formulato una proposta per la definizione del giudizio, come previsto dall’art. 380-bis del codice di procedura civile. Questa proposta è stata regolarmente comunicata a entrambe le parti.
La Proposta della Corte e l’inerzia del ricorrente
Il meccanismo dell’art. 380-bis c.p.c. è pensato per accelerare i tempi della giustizia, offrendo alle parti una possibile via d’uscita rapida dal contenzioso. La norma stabilisce, tuttavia, un onere preciso per la parte che ha presentato il ricorso: qualora non intenda aderire alla proposta, deve chiedere la decisione del ricorso entro un termine perentorio di quaranta giorni dalla comunicazione.
Nel caso di specie, l’Ente Locale ricorrente non ha compiuto alcuna azione a seguito della comunicazione. È trascorso il termine di quaranta giorni senza che venisse depositata un’istanza per la prosecuzione del giudizio e la decisione nel merito del ricorso.
Le motivazioni: L’estinzione del giudizio come conseguenza automatica
La Corte di Cassazione, preso atto del decorso del termine, ha applicato rigorosamente la normativa. Il decreto spiega che, a norma del secondo comma dell’art. 380-bis c.p.c., il silenzio della parte ricorrente equivale a una rinuncia al ricorso. Questa ‘rinuncia tacita’ non è una mera presunzione, ma una conseguenza legale predeterminata dal legislatore per definire i giudizi in cui il ricorrente mostra disinteresse a proseguire dopo la proposta della Corte.
Di conseguenza, trovando applicazione l’art. 391 del codice di procedura civile, la Corte non ha potuto fare altro che dichiarare l’estinzione del giudizio. Questo significa che il processo si è concluso senza una decisione sul merito delle questioni sollevate nel ricorso. La sentenza impugnata dall’Ente Locale è, di fatto, diventata definitiva.
Le conclusioni: implicazioni pratiche e la condanna alle spese
La decisione ha due importanti conseguenze pratiche. La prima è che l’estinzione del giudizio chiude definitivamente la controversia a livello di legittimità. La seconda, non meno rilevante, riguarda la regolamentazione delle spese processuali. L’art. 391 c.p.c. prevede che, anche in caso di estinzione, il giudice debba provvedere sulle spese. In questo caso, la Corte ha condannato l’Ente Locale ricorrente, la cui inerzia ha causato l’estinzione, a rimborsare tutte le spese legali sostenute dalla società controricorrente per difendersi nel giudizio di Cassazione. L’importo è stato liquidato in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie, esborsi e accessori di legge, rappresentando un ulteriore onere economico per la parte che ha promosso un’impugnazione senza poi coltivarla.
Cosa accade se la parte che ha fatto ricorso in Cassazione non risponde alla proposta di definizione del giudizio?
Se la parte ricorrente non chiede che si proceda alla decisione del ricorso entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il suo ricorso si intende rinunciato per legge.
Qual è la conseguenza principale della rinuncia tacita al ricorso?
La conseguenza è l’estinzione del giudizio. La Corte di Cassazione emette un decreto con cui dichiara chiuso il processo, senza esaminare il merito della questione.
Chi paga le spese legali in caso di estinzione del giudizio per mancata risposta alla proposta?
La parte ricorrente, la cui inattività ha causato l’estinzione, viene condannata a pagare le spese legali sostenute dalla controparte nel giudizio di Cassazione.
Testo del provvedimento
Decreto di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19457 Anno 2025
Civile Decr. Sez. 5 Num. 19457 Anno 2025
Presidente:
Relatore:
Data pubblicazione: 15/07/2025
DECRETO
sul ricorso iscritto al n. 6469/2022 R.G. proposto da: COMUNE DI CAGLIARI rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SARDEGNA n.542/2021 depositata il 03/09/2021
Vista la proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. e comunicata alle parti;
Considerato che è trascorso il termine di giorni quaranta dalla comunicazione della anzidetta proposta senza che la parte ricorrente abbia chiesto la decisione del ricorso;
Ritenuto, pertanto, che – a norma dell’art. 380 -bis, secondo comma, c.p.c. – il ricorso deve intendersi rinunciato e deve provvedersi a dichiarare l’estinzione del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 391 cod. proc. civ.;
Ritenuto che, a norma dell’art. 391, secondo comma, c.p.c., deve provvedersi sulle spese processuali, che vanno liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio di Cassazione.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 09/07/2025