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Estinzione del giudizio: la rinuncia dopo la sanatoria

Un imprenditore contesta una cartella esattoriale e porta il caso in Cassazione. Aderisce poi a una definizione agevolata, salda il debito e rinuncia al ricorso. La Corte dichiara l’estinzione del giudizio, senza condannarlo alle spese né al raddoppio del contributo unificato, dato che la rinuncia è successiva all’instaurazione del giudizio.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Estinzione del Giudizio: Come la Definizione Agevolata Chiude un Processo Tributario

L’adesione a una sanatoria fiscale mentre è in corso un processo può cambiarne radicalmente le sorti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la scelta di avvalersi della definizione agevolata porti inevitabilmente all’estinzione del giudizio pendente, con importanti conseguenze anche sulle spese processuali. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche per i contribuenti.

I Fatti del Caso: Dalla Cartella Esattoriale alla Cassazione

La vicenda ha origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento da parte del titolare di una ditta individuale. Dopo un primo giudizio presso la Commissione Tributaria Regionale, la controversia giungeva fino alla Corte di Cassazione. Mentre il processo era in corso, il contribuente decideva di sfruttare le opportunità offerte dalla normativa sulla definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, prima con il D.L. n. 119/2018 e poi con la L. n. 197/2022.

La Svolta: l’Adesione alla Definizione Agevolata

Il ricorrente ha presentato formale istanza per aderire alla sanatoria fiscale, pagando integralmente tutte le rate dovute. Contestualmente, ha depositato presso la Corte di Cassazione una memoria con la quale manifestava espressamente la sua volontà di rinunciare a ogni giudizio pendente, chiedendo che venisse dichiarata l’estinzione del processo e la compensazione delle spese di lite.

La Decisione della Corte: l’Estinzione del Giudizio per Rinuncia

La Corte di Cassazione, esaminata la documentazione prodotta, ha accolto la richiesta del contribuente. I giudici hanno verificato che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione aveva quantificato gli importi dovuti per la definizione agevolata e che il contribuente aveva non solo aderito, ma anche saldato il debito. La dichiarazione di avvalersi della sanatoria, unita alla conseguente rinuncia, ha reso inevitabile la chiusura del processo.

Ai sensi dell’art. 391 del Codice di Procedura Civile, la Corte ha quindi dichiarato l’estinzione del giudizio per rinuncia del ricorrente.

Le Motivazioni: Perché il Giudizio si Estingue e le Spese non sono Dovute

La decisione della Corte si fonda su principi chiari che meritano un approfondimento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei costi del processo.

L’effetto della rinuncia sul processo

La Cassazione ha rilevato che l’adesione alla definizione agevolata implica una rinuncia implicita al contenzioso. In questo caso, la rinuncia è stata anche espressamente formalizzata dal contribuente. L’Amministrazione Finanziaria era a conoscenza di tale rinuncia, come provato da una memoria depositata in atti. Di fronte a questa manifesta volontà del ricorrente di non proseguire la causa, e avendo egli regolarizzato la sua posizione debitoria, il processo non aveva più ragione di esistere.

La gestione delle spese processuali e del contributo unificato

Due aspetti di grande interesse pratico riguardano le spese. In primo luogo, la Corte ha stabilito che le spese processuali non dovessero essere liquidate, poiché il meccanismo della definizione agevolata è concepito per assorbire anche i costi del processo pendente. Si tratta di un incentivo per il contribuente a scegliere la via della conciliazione.

In secondo luogo, e ancora più importante, i giudici hanno escluso la condanna del contribuente al pagamento del cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’. Questa sanzione si applica in caso di ricorsi inammissibili o respinti. Tuttavia, la Corte ha specificato che il presupposto per l’estinzione del giudizio (la rinuncia a seguito della sanatoria) è sorto dopo la proposizione del ricorso. Pertanto, non si può applicare una sanzione legata all’esito infausto di un giudizio che, di fatto, non è mai giunto a una conclusione sul merito per volontà della stessa parte che ha sanato il proprio debito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: la definizione agevolata rappresenta una via d’uscita non solo dal debito fiscale, ma anche dal contenzioso. Per i contribuenti con processi in corso, aderire a una sanatoria e formalizzare la rinuncia al giudizio è la strategia corretta per ottenere una rapida estinzione del giudizio. La decisione chiarisce inoltre che questa scelta non comporta oneri aggiuntivi, né in termini di spese legali di controparte, né sotto forma di sanzioni come il raddoppio del contributo unificato, a condizione che la sanatoria avvenga dopo l’inizio della causa.

Cosa succede a un processo tributario se il contribuente aderisce alla definizione agevolata?
Se un contribuente aderisce a una definizione agevolata (sanatoria) e paga quanto dovuto, il processo pendente viene dichiarato estinto per rinuncia al ricorso, poiché l’adesione stessa implica la volontà di chiudere la controversia.

In caso di estinzione del giudizio per sanatoria, il contribuente deve pagare le spese processuali?
No, le spese processuali non vengono liquidate. La Corte ha chiarito che il contenuto e la finalità della definizione agevolata assorbono anche i costi del processo pendente, incentivando così la chiusura dei contenziosi.

Se un ricorso viene abbandonato a seguito di una definizione agevolata, si deve pagare il raddoppio del contributo unificato?
No, il contribuente non è tenuto a pagare il doppio del contributo unificato. La Corte ha specificato che questa sanzione non si applica perché il presupposto per l’estinzione del giudizio (la rinuncia) si è verificato dopo la presentazione del ricorso, e non a causa di un rigetto o di un’inammissibilità dello stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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